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Abbandonarsi è lasciar andare il proprio Sé per ritrovarlo più vero e trasparente di prima

di Francesco Lamendola - 01/03/2010

 

«Perché mi guardi a quel modo?». Negli occhi di Sabina non c’è disagio o imbarazzo, ma una forte, incontenibile curiosità.
«Perché, mentre eri così abbandonata sulla sabbia calda, con le membra come sciolte nella brezza marina, il tuo viso aveva assunto un’espressione straordinaria, quale non ti ho mai vista quando sei perfettamente desta.»
«Che genere di espressione?»
«Felice. Più giovane. E… innocente.»
«Grazie per avermi detto che, d’ordinario, sono brutta e vecchia»; e scoppia a ridere, proprio come una ragazzina.
«Prego, non c’è di che.»
«Ti odio.»
«Me ne farò una ragione.»
«Ma voi pittori ed ex pittori, siete tutti così?»
«Così, come?»
«Avete sempre la mania di fare il ritratto a tutti quanti, magari mentalmente, come tu adesso stavi facendo con me, mentre prendevo il Sole, semiaddormentata?»
«A un pittore - e io, come sai, non dipingo più da secoli - piace tentar di cogliere il mistero delle cose che si nasconde dietro la superficie; così come al poeta, del resto… E anche al filosofo. Le vie sono diverse, ma la meta è la stessa.»
«E che cosa hai visto dietro la mia espressione di bella addormentata in riva al mare?»
«Molte cose», le rispondo; e sorrido in silenzio.
«Per esempio?»
«Abbandono.»
«Dai, continua. Uffa, ma bisogna tirare fuori le parole con le tenaglie, a quest’uomo!»
«Come sai, ci sono diversi tipi di abbandono. Per esempio, quando uno si rilassa e lascia andar via tutte le tensioni accumulate nella sua vita ordinaria: famiglia, lavoro, eccetera. Questo lo chiameremo abbandono del primo tipo, il più semplice.»
«E il mio, era l’abbandono del secondo tipo?»
«Esatto. Era un abbandono sensuale, proprio delle donne. Che si lasciano andare al puro piacere di esistere, di respirare, di accogliere la luce, il profumo di salmastro, il suono delle onde che si frangono a riva…»
«Perché, voi signori uomini non ne siete capaci?»
«No, credo di no. Non così, almeno: non con quella pienezza estatica, non con quella… innocenza, appunto.»
«Ah, sì: parlami dell’innocenza. Che cosa intendevi dire, quando hai affermato che ti sembravo innocente?»
«Che eri sensuale, ma innocente. Non sapervi che ti stavo guardando, che qualcuno ti stava guardando. Eri beata con te stessa, così, perché ti eri abbandonata… Gli uomini, nella loro rozzezza e nel loro egocentrismo, vanno subito a pensare che ci sia un messaggio in codice, un messaggio diretto a loro. Pensano: “Quella sta solo facendo finta di dormire, in realtà ci vuole stuzzicare: guarda come si atteggia in modo sensuale”. Ma non hanno capito niente…»
Ora Sabina mi guarda con evidente stupore, quasi dilatando gli occhi, come se mi vedesse per la prima volta. Alla fine le sfugge:
«Accidenti, e queste cose dove le hai trovate? Non certo sui libri… Ma lo sai che credo proprio tu abbia ragione?»
«Questo è il secondo tipo di abbandono, che io chiamerei sensuale. È un fondersi con le cose a livello fisico, respirando con tutta la pelle, accogliendo la luce come un dono divino…»
«E il terzo tipo?»
«Il terzo tipo è l’abbandono artistico. Hai mai osservato il viso delle persone, durante un concerto di musica classica?»
«No, ma ho ben presente l’espressione della gente a un concerto di musica rock.»
«Quello non è abbandono: è isterismo, cioè il suo contrario.»
«Esagerato.»
«No, realista.»
«Aristocratico. Passatista. Ancién régime.»
«Modernista da quattro soldi. Miserabile.»
«Rimbaud: “Bisogna essere assolutamente moderni”.»
«Confucio: “La tradizione è fondamentale per l’osservanza dei riti, per il culto della famiglia e specialmente per il rispetto dei genitori.»
«Conservatore. Reazionario. Nazista.»
«Comunque, hai osservato il viso delle persone durante un concerto di Händel, di Mozart o di Vivaldi?»
«… o del tuo adorato, insostituibile Bach?»
«È un viso ringiovanito, disteso, trasfigurato. Un viso di luce.»
«Sì, credo di capire cosa vuoi dire. Ti ho mai raccontato che, da ragazza, sparivo per delle giornate e mi tuffavo nei musei e nelle pinacoteche, come un altro si tuffa dal trampolino nell’acqua di una piscina olimpionica? Mi perdevo in contemplazione davanti a un Giambellino, a un Botticelli, a un Van Gogh, e… credo di aver avuto quel tipo di espressione sul viso, in quei momenti che non sono più momenti, perché sono fuori del tempo.»
«Questi primi tre tipi di abbandono sono come i gradini di una scala ascendente: esprimono l’abbandono di sé in qualche cosa di sempre più alto. Dal primo, che è semplicemente l’abbandono degli inutili fardelli, si passa al secondo, che è l’abbandono alla gioia di esistere; e poi al terzo, l’abbandono alla bellezza pura. Ma poi ce n’è un quarto, del tutto spirituale, che non ha bisogno né del profumo del mare, né di una tela dipinta, per spiccare il salto verso la dimensione superiore dell’essere: ed è quello del mistico.»
«Mi viene in mente una scena che ho visto tanto tempo fa, presso un gruppo religioso un po’ strano; lo sai che ho sempre frequentato gente strana. Ebbene, ricordo questo guru, questo maestro, immerso in preghiera; sorrideva. Aveva gli occhi chiusi e sorrideva, di un sorriso bellissimo, radioso. E mi sono un po’ meravigliata, perché noi siamo soliti associare la preghiera a un volto serio, quasi tormentato, o per lo meno malinconico. Lui, invece, pareva che ridesse….»
«Era anziano?»
«Avrà avuto almeno settantacinque anni, credo… Ma, in quel momento, ne dimostrava meno di cinquanta: una cosa stupefacente.»
«Non tanto stupefacente. Hai mai notato come sembra ringiovanire il viso di una persona, nell’amore? E la preghiera non è altro che amore, una espansione di amore al massimo livello.»
«Già: è vero.»
«Anche i nazisti hanno ragione, qualche volta.»
«Ma non in quanto nazisti; in quanto esseri umani.»
«Mi riconosci lo statuto ontologico di essere umano; è già qualcosa.»
«Ma non farti illusioni; questo è il massimo che ti concedo.»
«Allora, lo vuoi sapere o no com’era il tuo viso, mentre ti stavo osservando, poco fa? Guarda che lo so che stai morendo dalla curiosità: la curiosità è femmina. Figuriamoci poi se riguarda l’aspetto fisico… Credo che arrivereste a uccidere, pur di sapere che impressione fate.»
«Hai detto che era un abbandono sensuale…. E che un uomo potrebbe fraintendere quel genere di espressione, perché lo crede sempre riferito a sé. Un raro episodio di modestia da parte di un tipico maschilista cavernicolo, del genere Uomo di Cro-Magnon…»
«Non eri solo sensuale; eri anche altrove. In quel momento, eri altrove; dove, non lo so. Anzi, mi piacerebbe saperlo: dov’eri, Sabina?».
Il suo labbro inferiore si piega in quella caratteristica maniera che suggerisce una indefinibile ironia, mentre una luce maliziosa le si accende nello sguardo, quando sussurra con aria complice: «Indovina.»
Quel sorriso sfuggente, che la illumina come la Monna Lisa di Leonardo, riesce sempre a incantarmi, perché vi passa il profumo del mistero.
Per un po’ restiamo in silenzio, e si ode solo il rumore del mare che viene a lambire la spiaggia con la sua carezza sempre uguale.
È tutto così semplice e naturale: il cielo, il mare, la sabbia calda, il respiro fresco e commovente della vita… Tutto è come dev’essere.
«Credo di aver trovato la risposta», mormoro poi, quasi a me stesso.
Lei continua a fissarmi con quell’aria sorniona e quella luce brillante nello sguardo: «Sì, vero?»
Lascio ancora che il silenzio riempia le nostre bocche, i nostri pensieri, che penetri nella nostra stessa essenza, a lungo.
«A cosa stai pensando?», mi chiede, infine.
«Stavo pensando che abbandonarsi, nel senso più bello e profondo del termine, significa liberarsi dall’ossessione dell’attaccamento alle cose e al proprio falso Ego, che ci tengono avviliti e prigionieri in una dimensione asfittica, inautentica, ove l’anima non trova il cibo di cui necessita per sopravvivere. Significa lasciar andare tutto, anche il proprio Sé; per ritrovarlo, poi, più vero e trasparente di prima…»
Sabina mi guarda ancora un poco in silenzio, poi afferra una conchiglia e se la porta all’orecchio, pensosa:
«… e sentire come un’eco dell’essere, allo stesso modo che si sente, nel cavo di una conchiglia, l’eco lontana del mare.»
Annuisco, sorridendo.
«Sai - riprende - un poco mi dispiace che tu abbia messo via nell’armadio i colori e tutto l’occorrente per dipingere….»
«Sì…?»
«Avresti potuto farmi il ritratto… Lo sai che noi donne siamo vanitose.»
«Ma non ti sei accorta che te lo sto già facendo?»
Spalanca la bocca per lo stupore, come una bambina, e mi sgrana gli occhi addosso:
«Davvero? Ma quando?»
«Qui, adesso.»
«Io non vedo niente. Di’ un po’, mi prendi in giro?»
«Guarda meglio.»
«E che cosa dovrei vedere?»
«Noi. Queste nostre parole. Questi pensieri, queste sensazioni. Questa comunione profonda tra due anime. Tutto.»
Un lampo di luce passa nei suoi occhi chiari; un lampo di consapevolezza, che parla più di mille parole.
«Sì, è vero. Adesso vedo…»
No, non c’è bisogno di parole.
È un momento magico, unico; uno di quei momenti preziosi che si presentano raramente, nella vita, e che spandono un profumo di infinito. Ed è bello, pieno di forza e di verità. Pieno di luce.