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Vicino Oriente: le origini mediatiche dell`aggressione sionista

di Enea Baldi - 03/03/2010

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Molto spesso le certezze non sono altro che il frutto di un insieme di preconcetti. La scuola, maggiormente, è la fucina in cui vengono forgiate quelle che da adulti, pochi, svilupperanno la tendenza a riconoscere quali idee infondate. Questo meccanismo che in qualche modo tende a “paralizzare” la naturale sensibilità di giudizio dell’infanzia, ha eziogenesi indotte. Per quanto concerne lo studio della storia, ad esempio, “l’induzione”, semplicisticamente, deriva dal fatto che a scriverla - e quindi a tramandarla - siano stati, a turno, i vincitori delle innumerevoli guerre che si sono succedute nell’arco della storia per il dominio e la ricchezza della terra: fondamentalmente gli unici due moventi che hanno da sempre spinto gli uomini a prevalere su altri uomini, con ogni mezzo messo a disposizione delle tecnologie delle epoche.
Uno degli aspetti che è indispensabile considerare quando ci si avvicina a un tema che conosciamo poco o affatto, è quello dell’analisi storiografica, analisi che deve essere condotta secondo un criterio il più possibile pragmatico e giuridico, nonché oggettivamente universale. In poche parole, non tutto ciò che apprendiamo come “esistito” dal punto di vista letterario, ha riscontri storici. Ad esempio un testo che narra di un personaggio, la cui esistenza non è accertata dalla cultura di altri popoli, è molto probabile che sia nato dalla fantasia di un narratore e non di uno storico. L’analisi geo-comparata, nel caso delle verità storiche è fondamentale.
Prendendo come esempio il Cristianesimo, per quanto il suo influsso abbia condizionato le culture di tutto il mondo, dal punto di vista storiografico non esiste alcuna prova dell’esistenza di Cristo. La Bibbia, pur essendo uno tra i testi universalmente più letti, per quanto concerne la valenza del suo contenuto letterario è da considerarsi alla stessa stregua di un romanzo. Cristo, a parte che dagli apostoli, non è menzionato da nessun altro autore, in nessun testo dell’epoca, che possa cronologicamente collegare la sua esistenza a fatti ed episodi storici accertati. Cristo, in definitiva, non è certo che sia esistito, seppure non è certo che non lo sia.
Così come, non esiste alcuna certezza che il cosiddetto “Stato” recriminato ed ottenuto in terra di Palestina, ufficialmente, nel 1967 dall’entità sionista, sia davvero un tempo appartenuto agli ebrei come riportato nella Torah, un testo sacro ma non storico. Perché altrimenti chiunque si potrebbe affidare, per recriminare come propri, benché atavici, i diritti nazionalistici, affidandosi, ad esempio, a testi come il Corano, o ai libri epici dell’antica Grecia. 
Al contrario dell’ebraismo l’Islam non ha mai preteso uno Stato che lo identificasse dal punto di vista religioso: i musulmani, così come i cristiani ma anche gli ebrei non sionisti, vivevano e vivono la loro religiosità, all’interno delle nazioni di origine, rispettandone regole e leggi. Riflettendo meglio, non è sbagliato affermare che gli unici Stati al mondo che siano riusciti a far nascere da un concetto teocratico una nazione, sono quello sionista di Israele e lo Stato della città del Vaticano.
Detto ciò non possiamo prescindere dal fatto che entrambe le due entità teocratiche, dal punto di vista (questa volta sì storico) siano da identificarsi sotto un aspetto solo apparentemente dualistico.
Ciò che è importante sottolineare a questo punto, è il fatto che, malgrado l’informazione stia spingendo, da oltre mezzo secolo, sul movente religioso o etnico quale causa dei conflitti nel Vicino Oriente, nella realtà dei fatti, più che la religione, è il controllo degli Stati per l’accaparramento delle energie e delle altre preziose materie prime, ad interessare i Signori della guerra; e la nascita dello Stato di Israele è parte integrante di questo progetto. Tutti i conflitti - a differenza di quanto accadeva prima della nascita delle tecnologie audiovisive, in cui il popolo era chiamato nelle piazze a decidere del proprio futuro (attraverso suffragi, proteste, rivoluzioni, ma anche acclamazioni di capi di Stato) - oggi, prevedono un esclusivo riscontro di solidarietà mediatica, affinché il consenso sia tale da giustificare gli orrori anche quando meriterebbero il giudizio di Tribunali civili e militari.
L’arguzia di chi alla fine dell’Ottocento utilizzò il motto, “una terra senza popolo”, confidando nell’ausilio di giornalisti, scrittori, politici e anche di artisti e scienziati, affinché, agli occhi dell’opinione pubblica, le ragioni di un popolo si eclissassero nell’arco di un cinquantennio, è confermata oggi, dall’avallo dell’opinione pubblica europea nei confronti della politica di Israele, malgrado siano sotto gli occhi di tutto il mondo, video, documenti, relazioni, risoluzioni Onu, che confermano - senza ombra di dubbio - le responsabilità criminose dell’entità sionista nei confronti del popolo Palestinese, nonché le reiterate aggressioni e minacce indirizzate a Siria, Libano e Iran che l’informazione embedded è sempre pronta a rettificare come “legittime rimostranze” verso Paesi nemici della “democrazia”. Uno degli aspetti fondamentali che caratterizzano il progetto di “colonizzazione mediatica” di Israele, differenziandolo sostanzialmente, soprattutto da un punto di vista politico, da quello indotto dall’ “evangelizzazione filo-cristiana”, risiede nella sua assoluta contrarietà a strategie di proselitismo, inevitabile crogiuolo di conservatorismo della razza. L’ebreo israeliano, è per sua natura, profondamente razzista, malgrado il governo sionista si sforzi di far apparire il suo Stato come il migliore tra i “democratici”. Tel Aviv è una città blindata dove l’apartheid e le leggi razziali hanno ridotto in minoranza i palestinesi e quelli rimasti sono considerati alla stessa stregua di servi.
Israele ha usato e sta tutt’ora usando ogni strategia bellica, convenzionale e non, contro i palestinesi; e quelli che per il momento non è riuscito a schiavizzare, li tiene prigionieri, da una parte in Cis Giordania e dall’altra nella Striscia di Gaza, un vero e proprio campo di concentramento. Israele paradossalmente sta per portare a compimento quello che è sempre stato il capo di accusa nei confronti del nazismo che ha poi scaturito la sua nascita come Stato, quale risarcimento per i danni subiti: “il programmatico sterminio di una razza”. Ma mentre per il nazismo l’Occidente nutre un atavico sentimento, se non di odio, quantomeno di ostracismo e risentimento, per Israele, manifesta invece la stessa comprensione e tolleranza che si dimostra nei confronti di “un fatto dovuto”.
Insieme agli Stati Uniti, ma anche all’Ue, Israele sta quindi per portare a termine sotto gli occhi della comunità internazionale un genocidio. L’Ue, che commemora e ossequia ogni dettame dell’entità sionista, vittima alla stessa stregua di quei Paesi che ora subiscono l’aggressione dell’imperialismo angloamericano, che chiama “missione umanitaria” l’evidente sostegno bellico alle guerre democratiche di esportazione di Washington, L’Ue che ha abdicato la politica sociale a favore dei popoli a quelle della finanza, dei signori della Guerra e delle Banche... L’Europa, conscia, eppure schiava di un Sistema aberrante le cui responsabilità criminali, impunite e avallate dagli stessi organismi internazionali creati e controllati dal Sistema stesso, ricadranno purtroppo sulle generazioni europee future.