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Il destino ci salverà dal mercato

di Dario Fertilio - 03/03/2010


S e mai esisterà in futuro un mondo in cui tutti saremo giovani e felici, sazi e sani, uguali possessori di ogni possibile diritto immaginabile, ebbene, Marcello Veneziani non vorrà viverci. Anche se allora scienza e tecnica dispiegheranno i loro effetti benefici. Ma no, lui si rifiuterà. Gli sembra infatti che una società simile manchi di un aspetto essenziale: l' amore per il proprio destino. Proprio così: la parola fatale, pietra angolare del suo ultimo saggio, è «destino». Vocabolo greve come un macigno, di solito accuratamente scansato da chiunque - conservatore o progressista - voglia sottrarsi alle ironie e censure del pensiero dominante. Termine ingombrante, tanto più che Veneziani lo nobilita come «disegno intelligente da perseguire» e «senso da conferire o riconoscere al mondo». E dunque, destino sia: di questo tratta provocatoriamente il suo Amor Fati, in uscita oggi da Mondadori (pp. 256, 18), che prende di mira senza esclusione di colpi le scuole di pensiero dominanti. Anzitutto quella scientista, schiaffeggiata metaforicamente come «progressista del nulla», cioè fiduciosa e ottimista sul progresso tecnico e sull' infinita prospettiva di miglioramento della condizione umana, quando invece «liberandoci dal destino non ci ha restituito la libertà e il senno, ma ci ha lasciati in balia del caso, un tiranno più cieco e più folle». Poi quella tradizionalista e neocon, desiderosa di spostare all' indietro la lancetta del tempo restaurando i valori del passato oggi in caduta libera: ai suoi seguaci riserva addirittura la definizione di «conservatori del morto». E ancora, provocazione nella provocazione, Veneziani se la prende con il pensiero liberale, cioè con quegli stessi von Hayek e Popper vezzeggiati fino a pochi anni fa dai profeti del mercato globale: anche loro secondo lui succubi del caso, dell' idea di un' autoregolazione spontanea del mercato, nonché del mito individualista incapace di riconoscere il senso di una comunità, dello stare insieme in vista di un progetto comune. E qui potremmo anche fermarci, giacché le altre frecciate di Marcello Veneziani sono rivolte a esperienze storiche ormai fuori corso: il socialismo reale, convinto di poter mettere ordine al caos del mondo per mezzo di comitati centrali e fili spinati; il fascismo condotto alla rovina da un' idea sbagliata di destino, la nietzschiana «volontà di potenza», per non aver saputo puntare sulla «accoglienza alla vita e al mondo che non ci appartiene». Marcello Veneziani contro tutti, insomma, benché il suo Amor Fati non appartenga affatto al genere del pamphlet polemico, piuttosto a quello delle meditazioni filosofiche in forma di aforisma bruciante, gioco di parole caustico, neologismo (viviamo in «un' epoca fondata su agito ergo sum»; siamo circondati dagli attimisti, cioè quelli che si sono arresi «alla scomparsa del passato e del futuro nel gorgo del presente»). Chiaro che, esponendosi senza remore, Marcello Veneziani vada incontro alle repliche. Uno scienziato come Edoardo Boncinelli, ad esempio, smonta il concetto di destino in sé: «Se non sappiamo niente riguardo alla sua esistenza, è evidente che non lo possiamo giudicare. Ma d' altra parte, tutte le volte che lo conosciamo o crediamo di conoscerlo, ci affrettiamo a modificarlo: e quando questo succede, distruggiamo la stessa base metodologica della sua conoscenza». Sul versante liberale, il filosofo Dario Antiseri non pensa affatto che il singolo debba rassegnarsi a essere senza destino: «Un individuo realizza il proprio progetto di vita all' interno di quel bene comune che sono le regole della società aperta, cioè della convivenza di uomini e gruppi portatori di idee e ideali diversi e magari contrastanti». Tanto meno lo convince la critica di Veneziani all' individualismo: «Rendere sostanze i concetti collettivi - come Stato, partito, classe, eccetera - è pura mitologia liberticida. Gli individui sono le uniche realtà che esistono, pensano e agiscono, producendo in tale modo conseguenze volute e non volute». La critica più sorprendente di Veneziani, quella alla «retorica dei diritti umani», riceve invece un consenso parziale dal filosofo cattolico Giovanni Reale: «Sono d' accordo sul fatto che non si possa invocare alcun diritto senza indicare il rispettivo dovere. Oggi invece c' è un pullulare di presunti diritti non accompagnati dai doveri». Ma d' altra parte Reale non può accettare la tesi sulla «non sacralità della vita»: «Il primo che l' ha definita sacra è stato Platone. Significa semplicemente che ti può essere tolta soltanto da colui che te l' ha data. Diritto alla vita, dunque, significa da un lato rifiutarsi di farne un idolo, sacralizzando la tecnica, ma dall' altro anche proteggere quella di coloro che non sanno difendersi». Ma forse Marcello Veneziani, più che sfidare le scuole di pensiero dominanti, con Amor Fati completa un' altra tappa della sua ricerca avviata anni fa ne La sposa invisibile: non la carriera e il successo personali, ma il bisogno di sfuggire al destino di non averne nessuno.