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Stiamo per assistere alla resa dei conti?

di Gianfranco La Grassa - 04/03/2010

 


Non si creda troppo alla favola degli infilzati come polli. Abbiamo scritto mille volte che il Pdl è un’accozzaglia di persone senza alcuna idea politica coerente; così come la sedicente sinistra è un altro informe cumulo di politicanti e mestatori ormai privo di storia e tradizioni, attorniato da un ceto intellettuale che non ha più alcuna reale egemonia (pur occupando tutti i media), e con un seguito di scalmanati ottusi, in genere legati in qualche modo alla mangiatoia “pubblica”, uniti dal solo sentimento antiberlusconiano. Vi si aggiunga una magistratura faziosa – in nome proprio e per conto altrui – che ritenta il “colpo di mano” (in realtà di Stato) di quasi vent’anni fa. Al vertice (nel paese) gruppi imprenditoriali corrotti, parassiti, asserviti allo “straniero” (sappiamo ormai di chi si tratta, nevvero?), esattamente come lo furono coloro, di cui essi sono eredi, nel lontano 1943. Di fronte alla colossale menzogna del fascismo berlusconiano montante – cui l’opposto fronte risponde con l’altrettanto demenziale accusa di comunismo o perfino respingendo al mittente l’epiteto di fascista – è necessario parlare fuori dai denti.

Data anche la mia età, non rinnego una sola virgola dell’antifascismo resistenziale di cui mi sono nutrito in gioventù. Credevo però in quella sua corrente (di gran lunga più numerosa e coerente) che commise l’errore di pensare all’Urss come paese governato in nome e per conto del popolo; con qualche “imperfezione” (umana) e tuttavia, nell’insieme, sempre migliore dello “sporco” capitalismo. Da molto tempo ho preso atto che lì non vi era nemmeno l’ombra del socialismo (di comunismo non parlò mai nessuno a mio ricordo); tuttavia, non concedo alcuna preferenza al capitalismo angloamericano che vinse il nazifascismo. Si tratta di una falsa democrazia, quella di lobbies e cosche che nulla hanno in comune con la stragrande maggioranza della popolazione, la quale vota ogni tot anni nell’illusione di scegliere da quali banditi essere resa succube di pochi gruppi dominanti, i più decisivi di questi essendo situati in altro paese, oltreoceano.

Ho chiarito più volte il mio non antiamericanismo (culturale); sono però del tutto convinto che il capitalismo americano (prima era quello angloamericano) è il nostro “naturale” nemico, e lo sarà a lungo. Vorrei essere chiaro: non il capitalismo massone, plutocratico, ebraico, ecc. Basta con simili diversioni che danneggiano solo la doverosa lotta contro questi prepotenti. E’ stato il capitalismo angloamericano il nostro nemico di sempre (malgrado le alleanze); e oggi lo è quello solo americano che ha riassorbito ormai l’inglese, del tutto succube e sua mera propaggine in Europa. Il fascismo fu avversario di tale capitalismo, senza tuttavia mai regolare i conti con le quinte colonne interne: il capitalismo “privato” anche a quei tempi guidato dalla Fiat. Ebbe l’occasione storica per assegnare ai privati una botta decisiva all’epoca dei fallimenti, che imposero una vasta “pubblicizzazione” dell’industria e delle banche, ma non ne approfittò, si fece pecorone di fronte a quel capitalismo, apparentemente “fedele” alla monarchia ma soprattutto all’intenzione, perseguita anche nel dopoguerra, di vivere a sbafo delle “risorse statali”, cioè della ricchezza prodotta dalla parte maggioritaria del paese, che lavora e produce senza poter nulla decidere da sé e per sé.

Il fascismo si scatenò principalmente contro il comunismo, che certo commise il simmetrico errore di allearsi con la melmosa socialdemocrazia, la cui parte tedesca – sempre stata una delle più forti – non solo aveva massacrato gli “spartachisti”, ma fu anche durante il primo dopoguerra la parte più schifosamente prona di fronte al capitalismo angloamericano e poi, dopo la seconda guerra mondiale, a quello solo americano. La sinistra di tipo socialdemocratico è stata troppo spesso nido di traditori, di venditori del proprio paese alla potenza di volta in volta predominante. I comunisti prima la identificarono con il fascismo (da cui la categoria del socialfascismo, una delle idiozie più clamorose, dato che il fascismo era comunque nazionalista e antianglosassone al contrario della socialdemocrazia); poi vi si alleò per contrastare il fascismo. Nel dopoguerra fu però la socialdemocrazia a profittare pienamente della divisione del mondo a Yalta, con l’Italia ridotta a serva di quel capitalismo nostro nemico da sempre; mentre i pochi tentativi europei di dignitosa autonomia nazionale (primo fra tutti il gollismo) furono accusati di fascismo (e ti pareva! La solfa non cambia mai, anche se De Gaulle fu uno dei pilastri della “Resistenza” francese contro la Repubblica di Vichy; inutile però chiedere coerenza ai traditori e rinnegati, le parole non servono).

Tuttavia, i socialdemocratici tedeschi, in una delle loro pagine che andrebbe meglio spiegata e chiarita nelle finalità, svolsero una certa “ostpolitik”; non certo quelli italiani. Nemmeno Craxi, malgrado la sceneggiata di Sigonella, fece una vera politica d’autonomia reale, pur se rispetto agli ex piciisti d’oggi sembra un campione di dignità nazionale. In ogni caso, nessuna forza politica è apparsa in Italia così schifosamente serva del capitalismo americano come il Pci. Esso iniziò assai presto la sua marcia verso “occidente” (cioè gli Usa, perché questo era ed è l’occidente!); all’inizio si confuse la tattica, legata all’inevitabile accettazione di Yalta e della divisione del mondo colà stabilita, con la strategia di una presunta rivoluzione morbida, attuata per via democratica. Si accettò quindi senza vera intelligenza la presunta democrazia delle lobbies e cosche del capitalismo americano (gangsteristico); ci s’immise a un certo punto in un gioco di banditismo, di subdola infiltrazione nei gangli delle istituzioni (in alcuni corpi speciali “in armi”, nella magistratura, nella burocrazia ministeriale, ecc.) nonché di accordo trasformistico con il capitalismo italiano peggiore.

Uno dei momenti salienti fu il “patto” tra Agnelli e Lama sulla scala mobile. Sembrò una grande conquista sociale; fu invece il cavallo di Troia per trasformare Cgil e Pci in effettivi, pur se non nella forma ufficiale, apparati dello Stato; mantenuti da esso tramite mille fili e “mangiatoie” varie, ponendosi così nella condizione opportuna per penetrare nell’industria “pubblica” onde prepararle quell’infausto futuro, in cui fu svenduta a quella privata. Craxi – mi dispiace, ma anche in questo non mi sembra abbia mostrato una lungimiranza strategica – fece la sua lotta contro il mero effetto dell’accordo Confindustria-Pci, inimicandosi così anche parte della popolazione. Egli vinse la battaglia (di retroguardia) del referendum, ma non certo la guerra, perché in questa erano ormai divenute più rilevanti le infiltrazioni dei rinnegati piciisti nelle istituzioni (magistratura in particolare), che infine – certo solo dopo che crollò il “socialismo” europeo e soprattutto l’Urss – mostrarono in pieno il loro viso di venduti sicari senza onore né dignità, facendosi strumento della vittoria dei soliti industriali asserviti, fin dal 1943, al capitalismo angloamericano, poi divenuto solo americano.

Sottolineo che deve essere rivisto con attenzione pure tutto il periodo del dopoguerra; in cui si segnalano, per un lungo periodo, gli svarioni del Pci, legati al puro tatticismo con cui, fra l’altro, esso sostenne ambiguamente l’industria pubblica nel corso dell’intenso sviluppo capitalistico italiano, che non va rinnegato e trattato come negatività, atteggiamento stupido che porta alla sconfitta perché il salto di qualità della vita, per vasti settori popolari decisamente poveri, può essere sottovalutato solo da intellettuali a pancia piena. Gran parte di questi poté infatti pensare, senza preoccupazioni “volgarmente materiali”, all’“alto ideale” del comunismo; in un primo tempo, però, perché poi, una volta fallito quest’ultimo, si gettò senza autocritica alcuna, come tutti gli opportunisti privi di scrupoli, all’insensato ideale della vita frugale e “pastorale” dei “bei tempi antiqui”. Imbroglioni e disgustosi un tempo, imbroglioni e ancor più disgustosi oggi. Il capitalismo americano, e i suoi servi italiani, hanno contribuito, per particolari contingenze storiche, ad un passaggio fondamentale dell’Italia, quello dell’industrializzazione, che va spiegato: criticamente si, ma senza il disprezzo dei “tanto (poco) cervello e niente fame”, prima comunisti e ora di sinistra, datisi ormai alla pura sovversione assieme agli agenti filoamericani di “color viola” e alla magistratura senza più freni, che ha gettato ogni maschera, mostrando per conto di chi ha sempre agito dal colpo di Stato dei primi anni ’90 in poi.

Bisogna ancora spiegare come l’industria pubblica – creata, ma non con vera consapevolezza strategica, dal fascismo e arricchita dalla Dc con l’Eni e da Dc e Psi con l’Enel – abbia contribuito allo sviluppo industriale italiano del dopoguerra, riuscendo a mantenere, non però a mio avviso per autentica vocazione nazionale, una qualche distanza rispetto alla totale dipendenza dal capitalismo americano (quello anglo essendo stato riassorbito, come già detto, quale semplice appendice di quest’ultimo). Ho scritto più volte che si è svolta una sorda battaglia tra il “pubblico” e il “privato”, quello già traditore nella seconda guerra mondiale e poi completamente succube degli americani. Ho già spiegato in mille occasioni, ma altre mille saranno necessarie, che la differenza tra pubblico (o anche statale) e privato non è d’“essenza”, riguarda soltanto le specifiche congiunture storiche in cui viene assunta una forma oppure l’altra. I finto-marxisti hanno identificato lo statale con il primo passo verso il socialismo (e addirittura comunismo); i finto-keynesiani come la possibilità di affidare le sorti della società alla “mamma” che “tutti allatta” senza discriminanti, tutti mantiene “dalla culla alla tomba” (quella tomba in cui da lunga pezza si sarebbero dovuti seppellire il finto-marxismo e il finto-keynesismo). Comunque, a suo tempo riprenderemo l’argomento.

In Italia, non vi è dubbio che l’industria “pubblica” abbia rappresentato – oggettivamente, per le ragioni storico-congiunturali del dopoguerra – un minimo di autonomia nazionale; i “privati” sono invece stati, già a partire dalla guerra, il nocciolo del tradimento, dei continui cambi di casacca, attribuiti troppo facilmente al “carattere italiano”, mentre hanno motivazioni strutturali, che si “personificano” (perché nelle concrete situazioni storiche devono agire i “soggetti”) nei grandi gruppi imprenditoriali privati italiani di rara inettitudine e disonestà, vere “bande all’americana” (la “Chicago anni ‘20”, di cui parlò due-tre anni fa uno che li conosce[1]).

Queste bande “chicaghesi” si sono nuovamente scatenate, e vogliono distruggere definitivamente l’industria ormai soltanto semipubblica, per completare l’opera messa a punto sul panfilo “Britannia” (con tutti uomini legati alla “sinistra”, a quell’“antifascismo” del tradimento a favore del capitalismo americano) e mascherando la battaglia da opera di Giustizia, contro la “corruzione”; come se un individuo, mettiamo pure ladro, possa essere perseguito e condannato da un sicario al servizio di gangster venuti dall’estero. Per 18 anni si è persistito nel tentativo di completare l’opera iniziata, ma oggi si sta accelerando e siamo di nuovo ai gangster rinnegati che tentano di mettere fuori legge dei “rubagalline” per conto dei “Don Rodrigo” d’oltreatlantico e di alcuni bravacci della nostra “grande” finanza e industria privata (grande nel succhiare risorse prodotte da altri; quella che deruba chi lavora con i “libri della Legge” in mano).

Stiamo arrivando al redde rationem; non so quanti ne abbiano consapevolezza. Avremo comunque modo nei prossimi giorni, settimane, mesi (non credo anni) di seguire le “forze in campo”, dove ormai il mescolamento è incredibile, destra e sinistra appaiono sempre più concetti o fanciulleschi o fatti circolare apposta da queste bande “di Chicago” scatenate all’assalto del paese, che se la vede ormai molto brutta. Tutto ciò dipende dall’assenza, in qualsiasi schieramento, di verità, dignità, onore e….di ogni carattere che non sia semplicemente obbrobrioso. Dipende dalla disonestà di intellettuali che si fingono radicali e sono semplicemente reazionari e servi degli Usa. Dipende da chi timidamente accetta che destra e sinistra fanno entrambe schifo, ma continua a far credere che sussista sostanzialmente simile opposizione (soltanto formale e “topologica”), raccontandoci poi che – insomma, tutto sommato, pur con tutte le critiche da fare – la sinistra è un po’ migliore della destra. Bene, noi ci porremo come sempre in controcorrente. Accettiamo solo la distinzione tra chi vuole la difesa di un minimo di autonomia nazionale e chi, con la scusa delle “lotte del lavoro” (che nessuno dice di fermare, sia chiaro), appoggia di fatto, ma più spesso con piena consapevolezza e per svendita al prezzo di “trenta denari”, la sempre più completa limitazione della nostra sovranità. 

Sia chiaro: da una ricognizione sul campo, da effettuarsi ogni giorno, continua a risultare che non esiste al momento alcuno schieramento in grado di veramente difenderci dalle bande “chicaghesi”; tuttavia, alcuni banditi sono più pericolosi e criminali, danno il là alla campagna in corso per creare il caos e l’impossibilità di un normale funzionamento sia delle istituzioni sia della stessa vita dei cittadini, che non possono non preoccuparsi, fra l’altro, di una situazione in cui non è affatto cessato l’allarme per la crisi. Mille altre cose sarebbero da dire, ma spazi e tempi sono “assassini di idee” e la gente poco abituata a leggere. Siamo comunque ad “Alien: scontro finale”.      


note

[1]In un intervento nel blog di pochi anni fa così iniziavo: “Il sig. Guido Rossi, ex presidente (da pochi giorni) di Telecom, si è sfogato sul capitalismo italiano dicendo che sembra di essere nella Chicago di fine anni ’20, inizio ‘30 (quelli di Al Capone, ormai immortalati in innumerevoli film). ‘Il signore sì che se ne intende’, come si diceva in un vecchio Carosello con riferimento al brandy Stock. E’ da vent’anni almeno che il sig. Rossi è dentro non so quanti affaracci di questa (da lui così definita) Chicago. Egli è stato più o meno sempre il referente politico del PCI-PDS-DS, i “pentiti” del “socialismo reale” e miracolati dall’operazione mani pulite….”.