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Nella Russia di Stalin tutto è propaganda

di Vittorio Emanuele Parsi - 07/03/2010


Vittorio Emanuele Parsi recensisce due studi che si concentrano su differenti aspetti della storia dell’Unione Sovietica sotto il controllo di Stalin.
Il primo di questi libri è un lavoro di semiotica che analizza la propaganda nelle opere artistiche e architettoniche realizzate durante lo stalinismo. Queste opere erano caratterizzate da un’estetica che aveva lo scopo di semplificare al massimo i concetti politici, in modo che essi fossero compresi e recepiti dalle masse. Il secondo libro analizza la giovinezza di Stalin e la sua formazione in seminario, un periodo che secondo l’autore avrebbe caratterizzato profondamente la personalità politica del dittatore.

«Il bisogno moderno di raffigurare o visualizzare l’esistenza si realizzò nell’Urss degli anni trenta-cinquanta in modo rutilante e con tratti di grande originalità»: ne Gli occhi di Stalin. La cultura visuale sovietica nell’era staliniana, un viaggio attraverso cinema, cartelloni pubblicitari, opere architettoniche e pittura, Gian Piero Piretto riesce a svelare la natura del totalitarismo anche ai lettori più refrattari alle letture politologiche. Il rapporto perverso tra falsità effettuale e verità dell’ideale, per cui «vedere tornò a essere credere, non interpretare», cioè possedere certezze e non esercitare una coscienza critica, è riproposto attraverso gli occhi di Stalin: occhi che guardano, che sorvegliano e rassicurano, nell’infinita dialettica tipica di ogni totalitarismo, in cui i cittadini sudditi, semplicemente, non sanno mai se il loro comportamento, il loro linguaggio, il loro stesso pensiero è «conforme»,ma dovremmo dire «adeguato», a una realtà nuova in continua edificazione, in permanente rivoluzione. […]
Il libro di Piretto è uno studio di semiologia dell’immagine davvero rigoroso, che purtuttavia non rinuncia a essere accattivante e suggestivo. Come sostiene l’autore, nella Russia sovietica, all’approfondimento dei problemi si sostituì progressivamente la loro trionfalistica soluzione, attraverso la proposizione di concetti facili, preconfezionati e facilmente condivisibili, sia in termini razionali che in termini emotivi. Quello che consentì nella Russia sovietica di pilotare dall’alto un programmatico impoverimento dell’estetica, affinché fosse abbordabile per chiunque, fruibile da tutti, fu la volontà e la possibilità di porre ogni forma di arte e di cultura, compresa quella visuale, al servizio della propaganda.
È la natura monopolistica e onnivora del sistema totalitario, del resto, che consente che il potere politico possa compiere un’operazione di tale portata, nell’assenza di una società e di un mercato capaci di produrre e proporre valori e contenuti concorrenziali rispetto a questi. D’altronde è comune constatazione che sia in buona parte inevitabile che l’avvento della politica di massa abbia portato alla progressiva semplificazione della comunicazione politica, per lo meno nei suoi contenuti. Il dubbio è che, nella videosfera in cui siamo tutti immersi, neppure la concorrenza tra mercato e politica riesce a garantirci che l’equazione vedere=credere non finisca per trasformare le democrazie in videocrazie, nelle quali l’homo videns di Giovanni Sartori sostituisca il cittadino. È invece dedicato al periodo di formazione del leader sovietico il lavoro dello storico Simon Sebag Montefiore Il giovane Stalin. Nella storiografia occidentale non sono molte (e tutt’altro che recenti) le opere dedicate alla figura del dittatore comunista negli anni precedenti il 1917, e questo lavoro viene a colmare un vuoto oggettivamente importante, giovandosi della possibilità di accedere non solo agli archivi russi, ma anche a quelli georgiani. Il libro è frutto di un lavoro meticoloso, durato molti anni, ma, pure in questo caso, l’accuratezza della ricerca e della ricostruzione non si traduce in un appesantimento della trama narrativa. Dal volume, le tante «carriere» di chi più di ogni altro ha incarnato il comunismo sovietico (il seminarista, il poeta, il bandito, il rivoluzionario…), la sua «prolungata giovinezza», emergono per fornire un ritratto tridimensionale, scrupoloso nel rintracciare un percorso di formazione tanto lungo quanto accidentato (più che movimentato), che ha segnato gli anni futuri e le attitudini del futuro erede di Lenin. Mi pare però doveroso segnalare che l’autore sa dimostrarsi immune da quelle forme di psicologismo che spesse volte sembrano tentare irrimediabilmente i biografi. Montefiore riesce oltretutto a rappresentare vividamente lo spaccato della società georgiana in cui Stalin inizia la sua esistenza, le sue peculiarità «nazionali» e il difficile rapporto con la dominazione semicoloniale russa, e ci mostra l’intrecciarsi dei destini dei tanti comprimari e delle innumerevoli comparse che avranno la ventura, ma più spesso la sventura, di intrecciare la propria esistenza con quella del «piccolo padre rosso».

Gian Piero Piretto, Gli occhi di Stalin, R. Cortina, pp. 247, € 22.
Simon Sebag Montefiore, Il giovane Stalin, trad. di G. Ferrara Degli Uberti, Longanesi, pp. 554, € 29.