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Da Weil a Pasolini, il «manifesto» no global di Zaia

di Cremonesi Marco - 08/03/2010

Radici e biodiversità «I cittadini devono ritrovare i legami con le loro radici e la biodiversità di cui queste si nutrono»

Non devono ingannare le straordinarie ciliegie in copertina, né il titolo, «Adottare la terra», e neanche il ruolo di ministro alle Politiche agricole dell' autore, Luca Zaia: questo non è un libro sull' agricoltura. Non solo, comunque. È, invece, un autentico manifesto leghista, il tentativo di dare fondamenta e orizzonte culturale al movimento fondato da Umberto Bossi. Una consapevole «rifondazione padana» in chiave no global in cui l' agricoltura, «biografia di un popolo», non solo è il tramite con la terra madre, con l' heimat, ma anche l' antidoto a quelli che nella visione di Zaia sono i grandi mali: la tekne che sta «portando con sé la fine di una civiltà» (il simbolo sono gli ogm) e la finanza predatoria degli swap e dei futures. Gli autori che il ministro-scrittore chiama a testimoni appartengono quasi tutti alla sinistra, non necessariamente marxista, mentre il basso continuo è la dottrina sociale della Chiesa, con frequenti richiami a papa Benedetto XVI. Ma, appunto, c' è spazio anche per l' appassionato omaggio a Simone Weil, per Zygmunt Bauman, per Carlo Levi e Pier Paolo Pasolini fino, con riserva, a Rousseau. Zaia parte dalla contrapposizione tra il contadino, colui che si «alza all' alba e per prima cosa guarda il cielo», uomo intriso della religiosità spontanea di chi sa che «il lavoro non li metterà al riparo dalla grandine» e ha bisogno di credere «che oltre quella siepe c' è sempre un Dio». Dall' altra parte c' è l' homo metropolitanus che ha ormai smarrito ogni legame con le sue radici e la biodiversità di cui queste si nutrono. L' uomo che si nasconde la morte così come la macellazione del maiale, immerso in «un mondo uniforme, neutro, inodore e insapore». Zaia, va detto, è ben attento a che tutto ciò non sfoci in un passatismo sterile o, peggio, nel richiamo alla «terra e al sangue». Anzi: il suo contadino-leghista deve essere un buon manager, un bravo imprenditore, un eccellente artigiano e anche un chimico che sa usare i prodotti di sintesi «con misura e intelligenza». E soprattutto, da un pragmatismo ai limiti della spregiudicatezza, lezione ben appresa da Umberto Bossi. Per il ministro la distinzione tra i due tipi umani è il punto di partenza per il recupero di «un' economia umanizzata» che si batte, per esempio attraverso i dazi, contro il «feticcio del libero mercato, ultima versione del pensiero nichilista». Il vecchio «liberismo» della Lega è ormai lontanissimo. Anzi, per Zaia, il primo avversario sono proprio le multinazionali: «Ma noi siamo come Davide: abbiamo una fionda e una buona mira». E invita a leggere in questi termini la controversa trattativa con McDonald' s sfociata nell' ormai famoso panino McItaly. Partita stravinta, secondo Zaia: da una parte, «migliaia di tonnellate di cibo vendute alla catena», dall' altra il fatto che «con un panino possiamo far capire ai giovani che c' è un gusto alternativo ai sapori fastfood». Inutile dire che tra le multinazionali sradicanti, il ministro include anche l' Unione europea. Zaia riesce a restituire la sua visione del mondo in modo leggero, attraversato dagli aneddoti della sua carriera di ministro «con i piedi nella terra»: dalla concione ai produttori di latte dalla cima di un covone al giuramento tra gli stucchi del Quirinale del «provincialotto» di Godega di Sant' Urbano.