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Filologia dell’equiparazione presidenziale su antisemitismo e antisionismo

di Antonio Caracciolo - 15/03/2010


Il motivo è frequente e sembra essere uno dei campi di battaglia sul fronte ideologico, che costituisce buona parte delle guerra nella nostra epoca. Sembrerebbe quasi che l’uccisione fisica di uomini, che caratterizzava la vecchia guerra, sia un dettaglio trascurabile non perché gli uomini non vengano uccisi oggi più di ieri, ma perché avendoli già uccisi sul piano ideologico diventa un fatto neppure meritevole di menzione, di stampa, la loro concreta uccisione. Dunque, mi sembra opportuno avviare qui uno studio filologico su quella che viene fatta passare per un’acquisizione permanente del pensiero presidenziale, per fortuna, accompagnata spesso dal riconoscimento del diritto alla critica della politica dei governi israeliani, quasi che questi nascessero dal nulla. Forse la migliore critica all’equiparazione presidenziale viene, casualmente, da un ebreo israeliano, lo storico Ilan Pappe, costretto con minacce ad emigrare da Israele proprio perché lui il governo israeliano lo critica per davvero. Esattamente, il 24 di gennaio 2009, a pochi giorni da Piombo Fuso, rispondendo ad una domanda del pubblico, Ilan Pappe osservava che se non si vuole essere antisemiti occorre essere, si deve essere antisionisti. Non era in nessun modo una polemica con il presidente Napolitano, che Pappe addirittura scambiava con il presidente Berlusconi. Era soltanto una risposta sul merito di una domanda. Noi cercheremo di ricostruirne la filologia, mettendo insieme tasselli che abbiamo trovato sparsi qua e là, ma che ora richiedono una trattazione organica.

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Sommario: 1. La “negazione” di Israele. – 2. Nello stile delle Brigate Rosse. –

1. La “negazione” di Israele. – Bisognerebbe riuscire a capire cosa significa esattamente questa espressione, quando viene usata dal Presidente. Se partiamo da un dato storico difficilmente confutabile, e sul quale occorrerebbe che il Consulente presidenziale informasse meglio il Presidente, si deve ammettere la realtà della Nakba, la cui rievocazione da parte dei palestinesi – udite udite – è ora proibita per legge! Intendo riferirmi alla pulizia etnica della Palestina nel 1948. La chiamano “guerra di indipendenza” (?!), come fossero le guerre risorgimentali italiane di indipendenza, ma il suo vero nome è “pulizia etnica”. Gente venuta dal mare, spesso imbarcatasi clandestinamente proprio in Italia, come rivela il recente libro di successo scritto da Erich Salerno, sul Mossad in Italia, gente salita su delle navi che sbarcava in Palestina reclamando un diritto a quella terra in base a titoli alquanto discutibili. Gli “indigeni” venivano cacciati dalle loro terre e dalle loro case. Se non venivano massacrati, venivano espulsi senza riconoscere loro nessun “diritto al ritorno” alle loro case, di cui ancora conservano fisicamente e simbolicamente le chiavi. Così nasce Israele ed ancora oggi è la stessa cosa con la politica degli “insediamenti”, con le 1600 licenze a costruire e con altre mille baggianate che approfittano dell’ignoranza dei più o della memoria corta di altri., sfruttata dalla malafede di pochi Furono 750.000 i palestinesi espulsi, ripuliti, su una popolazione di un milione e mezzo. Sarebbe come se metà della popolazione italiana, 30 su 60 milioni di abitanti, venisse espulsa dalla sera alla mattina, a seguito di continui sbarchi di clandestini, non disperati e sciancati, come quelli che conosciamo e vediamo nelle nostre strade, ma armati e organizzati di tutto punto, intenzionati non ad integrarsi, ma a cacciarti dalla tuo casa ed a prendersi quello che tu considero tuo. Ebbene, caro presidente, cosa intendi dire? Che è bene ciò che i clandestini scesi dalle navi in Palestina, diciamo da Balfour in poi, hanno fatto agli «indigeni» o non è bene? Saremmo grati al tuo Ufficio studi, diretto da un convinto sionista, se ci dessero lumi non tanto sotto il profilo etico-politico, cosa di cui non abbiamo bisogno, per fortuna, ma semplicemente sotto il profilo logico, per essere almeno certi che quando un presidente della Repubblica, che rappresenta tutti gli italiani, possa parlare secondo una logica comune, una logica condivisa, che ognuno possa comprendere. In realtà, io temo che vi sia stata una prevaricazione degli Uffici su ciò che il presidente legge. Nessuno umanamente può parlare da un momento all’altro su temi disparati se non ha uffici e impiegati al suo servizio che fanno il lavoro che poi il capo firma e approva. Io qui mi rivolgo al presidente ma in realtà faccio uso di una finzione letteraria. Penso semmai al suo Consulente, una cui lettera firmata giace sulla mia scrivania. Questo importantissimo signore ha talmente eluso la sostanza del problema da me posto al Presidente da sconsigliare qualsiasi continuazione di ogni corrispondenza epistolare. Meglio qui procedere per ipotesi, il più astrattamente possibile.

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2. Nello stile delle Brigate Rosse. – Sto procedendo nella lettura del libro di Erich Salerno sull’azione del Mossad in Italia. Ne interrompo la lettura per una riflessione che si collega al tema di questo post. Siamo esattamente al 4 novembre del 1946 ed in Roma ha luogo un tremendo attentato “terroristico”, che viene rivendicato dagli ebrei che brigavano per poter andare ad insediarsi in Palestina e che per questo erano in urto con la politica britannica di quel periodo. Sarebbe fin troppo facile ritorcere l’odierna propaganda israeliana contro il “terrorismo” (palestinese), dimentichi di quel loro “terrorismo” che fu alla loro culla di nascita. La storia non è il luogo della coerenza. Ed è una vana ricerca. Conoscere la storia può servire allo studioso che non si voglia lasciar prendere per i fondelli da quattro impiegati dell’Hasbara o da quattro velinari che scrivono su giornali, il cui sostentamento non è certo ricavato dalle vendite in edicola. No! La nostra riflessione verte su un altro punto, cioè su due date: il 1946, anno dell’attentato in Roma all’Ambasciata britannica il 1917, anno della fatidica Dichiarazione Balfour, con la quale si prometteva ad altri cose non proprie, ma di altri ancora: un vero spirito mercantile, degno di quella pirateria che è alle origini della potenza inglese. Non passano trenta anni fra le due date. Nella propaganda volta a ribadire i titoli della “legittimità” ad esistere dello stato di Israele la dichiarazioni Balfour è la prima in ordine di tempo, sempre citata. Naturalmente, una siffatta dichiarazione è discutibilissima da un un punto di vista etico-politico, ma non da parte dei beneficiari, dai quali per lo meno il beneficante si sarebbe aspettato gratitudine, ad appena trenta anni ed a processo storico non ancora concluso.

Altra osservazione che personalmente mi lascia di stucco è la totale ignoranza dell’esistenza del popolo palestinese nelle rivendicazioni lasciate a firma dell’attentato all’ambasciata britannica nel novembre del 1946. Nel testo non sfiora neppur il dubbio che in Palestina ci abitavano i palestinesi, o arabi che lor dire vogliano. Non entrano nel conto! Come a dire che altri litighino fra di loro per in diritto di entrare a casa mia, senza minimanente curarsi di cosa io ne pensi di questa disputa sulla mia pelle e a mie spese. Il diritto di Israele ad esistere nasce proprio bene, su un solidissimo fondamento. È da chiedersi se allora, nel 1946, il titolo della pretesa era ancora la dichiarazione Balfour come i beneficiari lo potessero esigere a suon di bombe e attentati contro il benefattore. La risoluzione ONU era ancora da venire ed ancora più lontano lo sfruttamente dell’«Olocausto» come titolo di legittimazione per farne un’altro sulla vite e sui beni dei palestinesi. Resterebbe la titolazione biblica, ma una Bibbia è cosa che mal si concilia con le bombe: se ne erano già accorti i veri ebrei residenti in Palestina che nel 1882 non sembra apprezzassero l’arrivo dei “sionisti” e già presagissero una guerra che da allora non ha mai avuto termine, una guerra che non è più solo contri i palestinesi, ma contro i britannici ed il mondo intero, reo di non essere condiscendente a ciò che offende il comune senso etico e morale.