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Le sanzioni all'Iran fermeranno la guerra o la provocheranno?

di Simone Santini - 17/03/2010

 
 

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Poco appare in superficie ma queste settimane devono aver visto un brulicare di incontri sotterranei a livello internazionale per preparare le famigerate sanzioni contro il regime iraniano accusato di voler costruire la bomba atomica.

Paesi più attivi, ovviamente, Stati Uniti e Israele ma forse con obiettivi diversi da quelli palesi.

 

 

Mentre i paesi occidentali sembrano ormai formare un blocco compatto a mostrare un volto duro verso Teheran, dubbi ed ambiguità si nutrono sull'atteggiamento delle due potenze orientali che siedono al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, Russia e Cina.

Più morbida e possibilista appare Mosca sulla questione delle sanzioni, mentre Pechino, che ha molto da perdere sul piano economico/commerciale e dal punto di vista geopolitico, sembra ancora riottosa. Nelle scorse settimane, in un momento in cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto ricercare la massima distensione con Pechino, si è invece assistito ad una recrudescenza dei rapporti che appare in netta distonia con la previsione del nuovo secolo Pacifico. Quasi una riedizione della guerra fredda dai toni molto aspri, fondata sulla diatriba degli attacchi alla libertà di Google in Cina (epifenomeno di una più ampia cyber guerra), sulla fornitura americana di sei miliardi di dollari in armamenti a Taiwan, cioè a quella che è ancora considerata dai cinesi continentali una provincia ribelle, infine sull'incontro di Obama col Dalai Lama, con lo sfondo delle rivendicazioni del Tibet.

Qualcuno ha interesse a far fallire un ampio sostegno internazionale alle sanzioni contro l'Iran? Sono state mosse tattiche secondo la logica del "poliziotto buono e poliziotto cattivo"? Probabilmente entrambi gli aspetti.

moshe_yaalonstanley_fischerA fine febbraio, infatti, una delegazione israeliana si è recata proprio in Cina a perorare la causa anti-iraniana. Gli esperti di Tel Aviv, guidati dal ministro per gli Affari strategici Moshe Ya'alon, hanno mostrato ai cinesi, secondo quanto riporta il quotidiano Ha'aretz, "il quadro completo di intelligence di cui dispone Israele circa il programma nucleare iraniano, il quale dimostra chiaramente come l'Iran stia sviluppando armi nucleari" e ricavando una impressione molto positiva dai toni dell'incontro.

Della delegazione faceva parte anche il capo della Banca centrale isrealiana, il finanziere ebreo-americano (nato in Rhodesia) Stanley Fischer, poi divenuto cittadino israeliano per poter ricoprire proprio la carica di Governatore centrale. Eminente economista ed accademico (professore per dieci anni al MIT è stato relatore alla tesi di Ben Bernanke, ora a capo della Fed), ha ricoperto ruoli di vertice alla Banca Mondiale, al Fondo Monetario Internazionale e in una delle più importanti banche mondiali, Citigroup. Cosa ci faceva un finanziere di questo livello in un incontro bilaterale in cui si sarebbe dovuto parlare di aspetti tecnici e di intelligence su presunti programmi nucleari?

La posizione israeliana appare essere molto più complessa e sottile di quanto appaia in superficie. Come si può desumere dall'atteggiamento della leadership dello stato ebraico, ed espressa anche in pubbliche dichiarazioni (1), Tel Aviv mira ad un piano articolato. Nel breve periodo dovranno approntarsi sanzioni che pubblicamente si richiedono estremamente aggressive ("sanzioni coi denti" secondo l'espressione del primo ministro israeliano Netanyahu), ben sapendo tuttavia che esse non potranno essere risolutive.

Vi è infatti la difficoltà tecnica di approntare misure che colpiscano il cuore del regime (individuato nelle milizie Pasdaran, che in questi ultimi anni hanno assommato potere politico con un crescente peso economico) senza gravare troppo sulla popolazione iraniana e che siano così realmente dolorose da convincere Teheran a cedere alle pressioni occidentali. Inoltre sarà estremamente complicato ottenere il consenso di tutti i paesi interessati (Cina in testa) nonché eventualmente cinturare i confini con Iraq, Pakistan e Afghanistan, del tutto instabili e resi permeabili da traffici di ogni tipo.

Israele dunque sa che le sanzioni falliranno, anzi punta proprio su questo. In questa fase Tel Aviv si aspetta esclusivamente di ottenere per le sanzioni uno status giuridico internazionale autorevole. A fronte del fallimento sostanziale di tali misure, invece, questo potrà portare ad una escalation, molto probabilmente militare.

Solo una condizione catastrofica di tale tipo, anche se di breve durata, ma che minacciasse le forniture energetiche di tutto il pianeta, potrebbe giustificare il passo finale di questa strategia: isolare l'Iran definitivamente dal contesto internazionale, con un embargo totale attuato sotto controllo della potenza militare statunitense sui suoi confini.

Una condizione, insomma, del tutto simile a quella che venne imposta per oltre dieci anni all'Iraq dopo la prima guerra del Golfo. Preludio alla maturazione delle condizioni interne per un regime change.
È in questo contesto che va inserita e compresa la presenza del governatore della Banca centrale di Israele a Pechino.

Quale esponente di punta del mondo finanziario globalizzato, Stanely Fischer aveva molteplici funzioni: dire ai cinesi che, nel contesto attuale, le loro forniture energetiche non saranno strutturalmente compromesse dalla strategia in opera, magari perché le forniture iraniane saranno sostituite da quelle delle aristocrazie arabe del Golfo, e perché i prezzi potrebbero essere stabiliti precedentemente alla crisi attraverso operazioni finanziarie internazionali di cui lo stesso Fischer potrebbe essersi presentato come garante.

Fischer ha infatti lasciato trasparire una velata minaccia contro Pechino quando ha sostenuto che "un Iran nucleare farebbe rincarare il prezzo del petrolio" mentre appare evidente che una vera crisi militare sarebbe in tal senso molto più destabilizzante. Come dire: accordatevi ora con noi su prezzi e forniture lasciandoci quindi le mani libere; anche se vi opponeste la guerra ci sarebbe comunque, in ogni caso voi non la potrete impedire ed a quel punto ne subireste tutte le drammatiche conseguenze.

Infine, la presenza di Fischer ha avuto un significato simbolico eppure altamente politico, ovvero rassicurare che tale manovra non è indirizzata contro gli ambienti finanziari cinesi, al contrario li si vuole supportare in vista di un possibile futuro scontro con l'attuale leadership politico/militare per il controllo delle strutture fondamentali del paese. È l'attuale leadership cinese ad essere sotto attacco nell'affaire Iran, non il paese e le sue capacità produttive che possono essere invece un architrave del prossimo ordine mondiale.

Se il progetto di attacco all'Iran, come delineato, andasse in porto, questo avrebbe ripercussioni geopolitiche decisive di altissima importanza strategica. Sottrarre Teheran alla tutela, cooperazione, possibile integrazione con Pechino, significherebbe che la Cina dipenderebbe sempre più da fonti di energia controllate direttamente o indirettamente dagli Stati Uniti, e, essendo insufficienti e precarie quelle africane, non potrebbe far altro che cercare una penetrazione massiccia in Asia centrale, in Kazakistan e Turkmenistan particolarmente.

Ma qui troverebbe rapporti di forza ed interessi già consolidati. Non solo la presenza delle compagnie petrolifere occidentali ma soprattutto contratti di fornitura stipulati da Gazprom. È la Russia infatti il dominus in queste aree. L'Asia centrale, venendo a mancare il bilanciamento fornito attualmente dall'Iran, diverrebbe contemporaneamente un autentico spazio vitale sia per la Russia che per la Cina, da terreno di possibile alleanza e cooperazione in ambito SCO (Shanghai Cooperation Organization) a terreno di scontro e concorrenza vitale.

Tutto ciò che la Cina riuscisse a sottrarre in quei mercati sarebbe automaticamente tolto ai russi e minerebbe la possibilità per Mosca di garantire la stabilità delle forniture all'Europa. La vittoria dell'Impero sarebbe a quel punto definitiva, potendo giocare Cina contro Russia, e potendo determinare col proprio appoggio la supremazia di una sull'altra. Ma un appoggio alla Cina verrebbe concesso solo in cambio di un sostanziale mutamento nella politica del paese condotta dalla sua attuale dirigenza secondo logiche di interesse nazionale indipendente e di egemonia globale.

La patata bollente sembra dunque nelle mani dei leader cinesi ma nessuna delle loro possibili mosse appare vincente. Opporsi radicalmente alle sanzioni (e in questo modo assecondando la manovra usraeliana) le farebbe nascere già morte, aprendo immediatamente la strada al "partito del bombardamento". Accettando le sanzioni si potrebbero guadagnare alcuni mesi di tempo, e tuttavia il loro fallimento decreterà davanti al mondo che tutte le opzioni pacifiche tentate sono cadute nel vuoto.

A Pechino ci può essere la tentazione di un gioco pericolosissimo: accettare la guerra contro l'Iran e sperare che i piani militari occidentali falliscano, magari fornendo sotto banco aiuto agli iraniani. Il precedente del Kosovo non è affatto tranquillizzante, quando i cinesi comunicarono alle forze armate serbe i codici che consentirono per la prima volta nella storia militare l'abbattimento di un bombardiere invisibile Stealth. Ma per ritorsione un missile intelligente americano, benché impazzito, colpì per "errore" l'ambasciata cinese a Belgrado. L'Iran non è il Kosovo e la posta in gioco è decisamente più alta, è impensabile che gli Stati Uniti consentano alla Cina una sfida diretta alla loro potenza militare senza una punizione esemplare che potrebbe davvero scatenare scenari apocalittici. Alla fine Pechino sarà giocoforza costretta ad abbozzare e lasciare Teheran al suo destino, cercando di ricavarne i massimi vantaggi tattici. Ma la partita strategica sarà stata irrimediabilmente compromessa.

Accanto alle dinamiche di fondo fin qui riportate, esistono varie operazioni tattiche che nell'ultimo periodo hanno avuto sviluppi e colpi di scena. Riportiamo due aspetti di grande interesse.

A metà febbraio la AIEA (Agenzia Atomica Internazionale) ha divulgato un rapporto che lancia l'allarme sulla possibilità che l'Iran stia effettivamente lavorando alla bomba atomica. Il rapporto, confidenziale, non si basa in realtà su investigazioni e dati riscontrati dai propri ispettori ma su notizie di intelligence provenienti in questo caso dai servizi segreti tedeschi. Informazioni in realtà tutt'altro che nuove e che circolano negli ambienti dei servizi occidentali e periodicamente fatte filtrare alla stampa con piccoli aggiustamenti per determinarne un senso di novità.

L'analista britannico Nafeez Mosaddeq Ahmed (2) ha rilevato trattarsi invece sempre della stessa documentazione di "fabbricazione" americana, i cosiddetti "studi allegati" che fin dalla fine della scorsa estate erano serviti a Israele per mettere in cattiva luce l'allora direttore generale dell'Aiea El Baradei accusandolo di averli occultati.

El Baradei, più volte, aveva invece sottolineato come sul suo tavolo (e non solo sulla questione iraniana) fossero giunti vari dossier di dubbia provenienza (alcuni poi dimostratisi falsi), dunque tutti da verificare, e che questo compito spettasse esclusivamente agli ispettori della stessa Agenzia operando sul campo. In nuovo direttore, il giapponese Yukiya Amano, ha mostrato un nuovo approccio alle problematiche, ovvero usare l'Agenzia non nella funzione naturale di verifica e controllo ma quale cassa di risonanza di notizie e documenti provenienti da servizi segreti occidentali. Questo getta un'ombra sulle future attività della Aiea e sulla sua imparzialità.

abdelmalekrighiLo scorso 23 febbraio le forze di sicurezza iraniane hanno catturato Abdolmalek Righi, capo del gruppo ribelle sunnita Jundallah attivo nella regione del Belucistan, già autore di numerosi attacchi terroristici, tra cui, nell'ultimo anno, quello contro alcuni alti ufficiali dei Pasdaran in ottobre alla vigilia dei negoziati di Vienna sul nucleare, e contro la moschea di Zahedan in maggio, durante l'ultima campagna elettorale.

L'aereo su cui Righi stava volando è stato intercettato sui cieli iraniani mentre si stava dirigendo da Dubai in Kirghizistan e costretto ad atterrare. Pare che Righi stesse per incontrare un alto responsabile dell'amministrazione americana, poi indicato da fonti iraniane in Richard Holbrooke, consigliere speciale di Obama per Afghanistan e Pakistan.
Riportiamo le sconvolgenti rivelazioni di Righi ottenute dalle autorità iraniane dopo il suo arresto. Non è possibile verificare se e quanto esse siano state estorte o manipolate, ma la loro gravità è tale da non poter certo essere ignorate. La fonte è il sito italiano della radio-televisione IRIB (Islamic Republic of Iran Broadcasting) che a sua volta cita la rete satellitare iraniana in lingua inglese Press-Tv.

Confessa Abdolmalek Righi:
"Dopo che Obama venne eletto, gli americani ci contattarono e mi incontrarono in Pakistan. Lui (l'agente americano/ndr) mi disse che gli americani chiedevano un colloquio [...] Io all'inizio non accettai ma lui ci promise grande cooperazione. Disse che ci avrebbero dato armi, mitragliatrici ed equipaggiamenti militari; ci promisero pure una base militare in Afghanistan, a ridosso del confine con l'Iran [...] Il nostro meeting avvenne a Dubai e anche lì ripeterono che ci avrebbero dato la base in Afghanistan e avrebbero garantito la mia sicurezza in tutti i paesi limitrofi all'Iran in modo che potessi mettere in atto le mie operazioni [...] Nei nostri incontri gli americani dicevano che l'Iran aveva preso la sua strada e che al momento il loro problema era proprio l'Iran e non al-Qaeda e nemmeno i talebani; solo e solamente l'Iran. Dicevano di non avere un piano militare adatto per attaccare l'Iran; questo, dicevano, è molto difficile per noi. Ma la CIA contava su di me perché riteneva che la mia organizzazione fosse in grado di destabilizzare il paese [...] Un ufficiale della CIA mi disse che era molto difficile per loro attaccare l'Iran e perciò il governo USA aveva deciso di dare supporto a tutti i gruppi anti-iraniani capaci di creare difficoltà al governo islamico. Per questo mi dissero che erano pronti a darci ogni sorta di addestramento, aiuti, soldi quanti ne volevamo e la base per poter mettere in atto le nostre azioni".


(1) Si veda ad esempio l'intervista a Benyamin Netanyahu citata in "Fuochi d'estate sul Medio Oriente"
http://www.clarissa.it/esteri_int.php?id=1266

(2) http://networkedblogs.com/p28334256

 

Fonte: http://www.clarissa.it/esteri_int.php?id=1272.