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Colonialisti piromani. Torni lo spirito non violento della Prima Intifada.Intervista a Hanan Ashrawi

di U. D. G. (a cura di) - 17/03/2010





Quello israeliano è un governo di piromani. Sistematicamente hanno dato fuoco ad uno possibilità di dialogo e hanno scelto la strada dello scontro frontale. Con un’aggravante ulteriore rispetto al passato: stavolta hanno esaltato l’aspetto religioso, ideologico, nella loro logica militarista e colonizzatrice. Ciò che sta avvenendo a Gerusalemme, su Gerusalemme riporta alla memoria la “passeggiata” di Ariel Sharon alla Spianata delle Moschee: la provocazione che innescò la seconda Intifada». A ricordarlo è una delle personalità più rappresentative della dirigenza palestinese: Hanan Ashrawi, parlamentare, più volte ministra dell’Anp, la prima donna portavoce della Lega Araba, oggi paladina dei diritti umani nei Territori. «I falchi israeliani – riflette Ashrawi – si sentono al di sopra di tutto e di tutti. Hanno umiliato il vice presidente Usa (Joe Biden), hanno chiuso la porta in faccia a Obama, fatto orecchie da mercante alle critiche dell’Unione Europea... È un delirio di onnipotenza che rischia di scatenare in Medio Oriente una nuova, devastante guerra di religione».
Gerusalemme è tornata ad essere teatro di violenti scontri... «C’è chi ha puntato a questo, inanellando una serie di decisioni provocatorie che hanno chiarito, qualora ce ne fosse stato il bisogno, qual è la logica che anima coloro che oggi governano Israele...».
Quale sarebbe questa logica?
«Quella militarista, colonizzatrice, impastata di nazionalismo e fondamentalismo religioso. La logica di chi non contempla il compromesso, di chi sfida apertamente le leggi internazionali, incurante delle critiche della comunità internazionale. Costoro sono dei pericolosi piromani che stanno dando fuoco alla polveriera mediorientale».
Come fermarli?
«Isolandoli. Con i fatti, non a parole. Facendo intendere loro, con i fatti, che il tempo dell’impunità è finito. Quando parlo di fatti, penso agli accordi economici e militari che molti Paesi, l’America e non solo, hanno con Israele. Penso a pressioni diplomatiche, a manifestazioni di protesta. Il silenzio è complicità con questi piromani».
C’è il rischio che si ritorni ai tempi, tragici, della seconda Intifada? «La rabbia è tanta e rischia di esplodere. Noi palestinesi dobbiamo riflettere sugli errori commessi ed evitare di cadere nella trappola dei falchi israeliani. Ho sempre ritenuto che la militarizzazione dell’Intifada sia stato un grave errore che non dobbiamo ripetere. Tra gli “shahid” e la rassegnazione esiste una terza via...».
Quale?
«La via della rivolta popolare, non violenta, che recuperi lo spirito della prima Intifada, di quella “rivolta delle pietre” che riportò la questione palestinese al centro dell’interesse internazionale. La via della disobbedienza civile, quella del boicottaggio di tutti i prodotti israeliani che provengono dalle colonie. È la via che da tempo palestinesi e israeliani stanno praticando a Beilin (villaggio palestinese in Cisgiordania, ndr), opponendosi alla realizzazione del Muro dell’apartheid. È la protesta non violenta che palestinesi e israeliani stanno portando avanti contro la costruzione di nuovi insediamenti ebraici a Gerusalemme Est. Non è facile, lo so bene. Ma è la strada giusta». Stati Uniti, Europa, il Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia) ribadiscono che l’unica soluzione possibile è quella fondata sul principio “due popoli, due Stati). È anche lei di questo avviso?
«Il principio è giusto ma la sua realizzazione si fa ogni giorno più problematica. Le basi di un accordo globale sono quelle delineate dalle risoluzioni Onu, indicate dalla Road Map... Non c’è nulla da inventare. Occorre la volontà politica di puntare al compromesso. Una volontà che non è propria dei “piromani” israeliani».
Tra i nodi da sciogliere c’è quello di Gerusalemme. Netanyahu ha affermato di ritenerla materia non negoziabile.
«Non negoziare lo status di Gerusalemme significa non voler negoziare una pace globale. Perché Gerusalemme è parte inalienabile della soluzione “due popoli, due Stati”. Uno Stato di Palestina senza Gerusalemme Est sua capitale non esiste in natura...». U.D.G.