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L'uomo è una larva che la crisi della morte trasformerà in magnifica farfalla

di Francesco Lamendola - 21/03/2010

 

 

Dice il gran padre Dante, in due magnifiche terzine che l'uomo moderno, imbevuto di concezioni materialiste e, perciò, intimamente disperato riguardo al proprio destino finale, dovrebbe rileggersi almeno una volta al giorno, riflettendo a fondo sul loro significato ("Purgatorio", X, 121-126):

"O superbi cristian, miseri lassi,
che, della vista della mente infermi,
fidanza avete ne' retrosi passi,
non v'accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l'angelica farfalla,
che vola alla giustizia sanza schermi?"

Bruchi destinati a diventare meravigliose farfalle: questo è il nostro destino; e la morte è la porta stretta, il passaggio critico che consente tale trasformazione.
Quello che Dante e qualunque persona medievale, anche non colta, sapeva perfettamente, noi moderni lo dobbiamo riscoprire con fatica ed esponendoci al ridicolo da parte della cultura dominante, specialmente se siamo persone dotate di un buon livello di istruzione. La modernità si fa beffe di un simile concetto perché,  in ossequio allo scientismo imperante, crede solo a quello che vede, che sperimenta direttamente, che può riprodurre in laboratorio.
I pochi medici che, dopo aver assistito un gran numero di malati terminali fino al momento del decesso, sono giunti alla profonda convinzione che la morte non è altro che un passaggio verso un livello superiore di esistenza, sono stati esposti al dileggio da parte della comunità dei loro seriosi colleghi, chiusa e corazzata nelle sorpassate certezze positivistiche che, tuttavia, sono ancora spacciate come oro colato alla massa dei non addetti ai lavori.
Questo è il tipico caso in cui si tocca con mano come la nostra Mente superiore sia tutt'altra cosa dal nostro piccolo Logos razionale, che vorrebbe spiegare ogni cosa con argomenti di tipo scientifico. Coloro che hanno assistito, nell'ora del trapasso, un gran numero di persone, SANNO  - di un sapere che non deriva dalla ragione, ma dal sicuro intuito della realtà - che la morte non è la fine, ma l'inizio di una nuova e più libera avventura dell'anima.
Il medico e psichiatra svizzero Elisabeth Kübler-Ross, autrice del libro "La morte e il morire" (Assisi, Cittadella, 1976), conosceva molto bene questa tematica; a lei si devono fondamentali acquisizioni nella psicologia della morte. Ebbene, la sua testimonianza - come, del resto, quella di molte altre persone che hanno fatto le sue esperienze - è che noi possiamo sapere che la morte non è la fine di tutto, ma piuttosto un passaggio di stato, con lo stesso grado di certezza, o, se possibile, con un grado di certezza ancora maggiore, che se ne avessimo avuta la dimostrazione matematica, solo osservando ciò che accade ai morenti.
Negli affreschi medievali l'anima, al momento del trapasso, è rappresentata nell'atto di uscire dal corpo fisico del morente e di involarsi verso l'alto; talvolta si vedono angeli e demoni disputarsene il possesso. Mentre la prima struttura iconografica può considerarsi esatta quasi ala lettera, stando anche ai racconti di coloro che sono usciti dalla morte cerebrale per tornare alla vita, la seconda è più marcatamente simbolica e sarebbe necessario un lungo discorso per renderne ragione dal punto di vista della sensibilità e della cultura moderne; discorso che ora non è il tempo né il luogo di fare e che rimandiamo ad altra occasione.
Quello che ci importava sottolineare è che la visione medievale della morte come trasmigrazione dell'anima da uno stato in cui essa è unita al corpo ad uno stato in cui essa può muoversi liberamente (e altro discorso ancora sarebbe vedere se essa non sia destinata ad assumere sempre nuovi corpi, finché non si sia interamente purificata dall'attaccamento alle cose), che si ricollega anche a quanto insegnato dai grandi filosofi greci, Platone in primis, non deve essere considerato come una azzardata metafora o come una elucubrazione intellettualistica, ma come un dato di verità colto con uno strumento diverso dal Logos strumentale e calcolante, ma non certo meno attendibile, vale a dire la consapevolezza intuitiva e profonda, che coinvolge tutto il nostro essere e non solo quel piccolo frammento che è la ragione.
In un certo senso, gli antichi e i medievali VEDEVANO l'anima uscire dal corpo, così come la vedevano gli sciamani delle società native: intendendo, per "vedere", la facoltà di scorgere la realtà non con gli occhi del corpo, ma con la seconda vista, ossia con la vista interiore e globale. Noi moderni, invece, guardiamo i nostri cari morire, ma non sappiamo più vedere quello che accade loro: abbiamo smarrito questa facoltà originaria, per eccesso di razionalismo e per eccesso di fiducia nei nostri sensi fisici che sono, invece, così tremendamente limitati (si pensi a quanti suoni, odori, ecc., possono essere colti agevolmente dagli animali, ma non dagli esseri umani e a quante cose possono sfuggirci per insufficienza visiva).
Ha scritto Elisabeth Kübler-Ross nel suo secondo libro "La Morte e la Vita dopo la Morte. La nascita a una nuova vita" (titolo originale: "About Death and Life After Death", 1983; traduzione italiana di M. F. Sanguinetti, Roma, Edizioni Mediterranee, 1991, pp.15-20):

"Molti dicono: "È chiaro che la dottoressa Ross ha visto troppi pazienti moribondi. Sta diventando un po' ridicola."
Quello che gli altri pensano di voi è un problema loro, non vostro. È importante ricordarsene. >Se si ha la coscienza pulita e si svolge il proprio lavoro con amore, diranno tutto il male di voi e tenteranno di rovinarvi la vita, salvo poi onorarvi dieci anni dopo e conferirvi diciotto lauree per lo stesso lavoro. È ciò che è capitato a me.
Dopo esser stati per molti anni al letto di morte di bambini e vecchi e aver ascoltato ciò che essi dicono, ci si rende conto che essi sanno quando la morte si avvicina. All'improvviso vi dicono addio, quando non avete idea che la morte sia imminente. Se non ignorate questo fatto, e continuate ad ascoltare, allora il morente vi dirà tutto ciò che vuol farvi sapere.  Dopo la morte di quel paziente, vi sentirete in pace perché potreste essere la sola persona che ha preso seriamente le sue parole.
Abbiamo studiato ventimila casi in tutto il mondo di persone che erano state dichiarate clinicamente morte  e che sono poi ritornate alla vita. Alcune si risvegliarono naturalmente, altre a seguito di rianimazione.
Voglio riassumere in breve quello che ogni essere umano dovrà sperimentare al momento della morte. È un'esperienza che tutti devono vivere, indipendentemente dal fatto che siano Australiani, Indù, Musulmani, Cristiani o non credenti. Non dipende nemmeno dall'età o dalla condizione sociale. La morte infatti è un processo umano, come la nascita.
L'esperienza della morte è quasi identica a quella della nascita. È come nascere a un'esistenza diversa che può essere dimostrata molto semplicemente.
Da migliaia d'anni ci hanno indotto a "credere" in ciò che riguarda l'aldilà.
Per me non è più questione di credere, ma di sapere. E sono disposta a dirvi come potete arrivare anche voi a questa conoscenza, purché vi interessi veramente. Se non vi interessa, non fa nulla: tanto, dopo la morte, lo saprete comunque. E io sarò là, tutta felice, specie per coloro che ora dicono: "Povera dottoressa Ross!"
Al momento della morte vi sono tre stadi. Se riuscite ad accettare il linguaggio che uso nelle mie conversazioni con i bambini morenti e che ho applicato ad esempio nella lettera a Dougy, accetterete che io vi dica che la morte di un essere umano è identica a ciò che accade quando la farfalla esce dal bozzolo.  Il bozzolo può essere paragonato al corpo umano.  Quest'ultimo non è il nostro vero io, è solo una dimora in cui vivere per un po' di tempo.  Morire è solo trasferirsi da una dimora in un'altra più bella, per usare un paragone simbolico. Non appena il bozzolo è in condizioni disperate - a causa di suicidio,  di assassinio, di attacco cardiaco, oppure di una malattia cronica, non importa qual è la causa - esso lascia libera la fa farfalla, l'anima, per così dire.  In questo secondo stadio, dopo che la farfalla simbolica ha lasciato il suo corpo materiale,  si sperimentano cose importanti che si dovrebbero conoscere per non aver più paura della morte.
A questo secondo stadio si dispone di energia psichica, mentre al primo stadio si dispone di energia fisica. Allora si aveva ancora bisogno di un cervello funzionante, di una coscienza vigile, per comunicare con i propri simili. Appena questo cervello o questo bozzolo è troppo danneggiato,. Non si ha più coscienza.  Non momento in cui questa viene a mancare e, per così dire, il bozzolo è inm condizioni tali che manca la facoltà di respirare ed è impossibile misurare le pulsazioni o le onde cerebrali, la farfalla ha già lasciato il bozzolo. Ciò non significa necessariamente che si è già morti, ma piuttosto che il bozzolo non funziona più. Lasciando il bozzolo si raggiunge il secondo stadio, che è caratterizzato dall'energia psichica. Le energie fisica e psichica sono le sole che l'uomo può gestire.
Il dono più grande che Dio ha fatto all'uomo è il libero arbitrio. E fra tutti gli esseri viventi l'uomo è l'unico dotato di libero arbitrio, col quale può decidere di usare quelle energie in modo positivo o negativo. Appena l'anima lascia il corpo, ci si rende conto immediatamente che si può percepire tutto quello che accade nel luogo della morte, sia in ospedale, sia nel luogo dell'incidente o dovunque si sia abbandonato il corpo. Non si registrano gli avvenimenti con la consapevolezza terrena, ma con una nuova consapevolezza. Si registra tutto, ma solo durante il periodo in cui non c'è più pressione sanguigna, in cui mancano le pulsazioni e il respiro e in alcuni casi anche le onde cerebrali.
Ci si rende conto di ciò che ognuno dice, di ciò che pensa e di come agisce. E in seguito si sarà in grado di riferire nei più minuti dettagli che ad esempio, il nostro corpo fu estratto dal'auto con la fiamma ossidrica. È perfino accaduto che qualcuno sia stato in grado di ricordare la targa dell'auto che lo aveva investito e il cui pilota aveva deciso di andarsene,. Scientificamente è impossibile spiegare come qualcuno privo di onde cerebrali sia in grado di leggere una targa. Occorre molta umiltà agli scienziati. Si deve umilmente accettare il fatto che vi sono milioni di cose che ancora non siamo in grado di capire. Ciò non significa che quello  che non siamo in rado di capire non esiste o non è reale.
Se io soffiassi dentro un fischietto per cani voi non potreste udire,  mentre qualunque cane sentirebbe benissimo.  Il motivo è che l'orecchio umano non è in gradi di percepire frequenze così alte.  Allo stesso modo l'uomo medio è incapace di vedere un'anima  fuori dal corpo fisico mentre invece l'anima  uscita al corpo può percepire vibrazioni terrene  e capire quello che accade sul luogo dell'incidente  o in qualsiasi altro luogo.
Molte persone hanno esperienze corporee durante un intervento chirurgico, infatti osservano il chirurgo al lavoro.  Questo fatto deve essere tenuto presente da tutto il personale medico e infermieristico, mentre il paziente è fuori coscienza dovrebbero parlare solo di cose  che anche il paziente può udire. Infatti le persone prive di coscienza possono udire tutto. Tutti dobbiamo sapere, quando ci accostiamo al letto di nostro padre o di nostra madre già in coma profondo, che quest'uomo o questa donna  possono udire tutto quello che diciamo. In questi momenti non è troppo tardi per dire: "Perdono" o "Ti voglio bene" o qualsiasi altra cosa si voglia dire. Per dire queste parole non è mai troppo tardi, nemmeno per dirle ai morti, perché possono ancora udirci.  Anche allora si possono concludere "cose lasciate in sospeso" che possono risalire anche a dieci o venti anni prima. Ci si può così liberare dal peso dei propri debiti per poter ricominciare a vivere."

Il terzo stadio, per la Kübler-Ross, è - infine - quello in cui l'anima, uscita da uno stretto e buio passaggio in un luogo aperto, luminoso e pieno di bellezza, viene accolta da una presenza amica e si sente sollecitata a fare un bilancio della propria vita interiore, per vedere se ne ha compreso l'intimo significato: ossia che tutto è Amore, Amore incondizionato (ne abbiamo già parlato in un precedente articolo, intitolato "Che cosa hai fatto nella tua vita che ti sembri sufficiente?", sempre sul sito di Arianna Editrice).
Conclusione: noi non siamo corpo; non ci identifichiamo con il corpo; non ci esauriamo nel nostro corpo.
E quando il corpo muore, noi non finiamo, ma piuttosto incominciamo, e con molti più strumenti a disposizione, là dove avevamo interrotto il nostro lavoro.
Che è sempre uno e sempre lo stesso: evolvere spiritualmente, comprendere la natura della realtà e del nostro destino, offrirci in dono alla luce dell'Essere, che ci ha originati e che ci accompagna, passo dopo passo, sulla via del ritorno.