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Obama, hipnobama

di Marco Della Luna, Paolo Cioni - 21/03/2010

   
   

Il politico è per sua natura e necessità un manipolatore. Un impiantatore di verità, di valori, di emozioni, di certezze. Deve far proiettare su di sé le loro aspirazioni e apparire come plausibilmen- te capace di realizzarle. Se non ci riesce, ha perso. Non è un neutrale, scientifico, obiettivo e disinteressato informatore del popolo. Egli vuole ottenere determinate cose dal popolo. Si deve servire del popolo. Manovrarlo. Gli elettori sono per lui uno strumento da usare, quindi non può rispettarli come soggetti liberi, consapevoli e auto-determinati, né considerarli sul proprio piano – anche se ciò non esclude che egli possa voler agire anche per quello che egli considera il loro interesse. Mezzi e fini della gestione del potere, come prima di noi aveva spiegato Machiavelli, non sono palesabi li all’opinione pubblica perché non li accetterebbe o perlomeno diverrebbe più difficilmente governabile. La comunicazione verso il pubblico della politica vive quindi nel makebelieve: al popolo si parla sempre entro una rappresentazione della “realtà” avente caratteristiche accettabili e comprensibili per il popolo stesso.

Recentemente il mondo ha assistito alla campagna elettorale presidenziale negli U.S.A. e alla strepitosa vittoria di Barack Hussein Obama. Strepitosa sia per le sue dimensioni, sia perché egli ha riunito su di sé entusiastici consensi di settori sociali, etnici, religiosi tra loro distanti (era approvato da Hamas e altri estre- misti islamici, ma l’hanno votato anche gli Ebrei); sia per l’aura messianica o mosaica che molti milioni di persone, in patria e all’estero, avvertono intorno a lui; sia e soprattutto per il fatto che tutto questo consenso e questa gigantesca aspettativa di grandi cose si concentra su una persona che non ha mai fatto alcunché di significativo, che non ha mai dato prova di avere capacità reali, anche solo lontanamente adeguate alla sua promessa di un cambiamento generale (promessa peraltro rimasta nel vago). Quindi quel consenso e quell’entusiasmo sono oggettivamente incongrui con la realtà. Scaturiscono da una dimensione diversa, soggettiva, irrazionale – verosimilmente da un vissuto immaginario in cui la grandiosità delle promesse e dei toni di Obama hanno acquisito una realtà anti- cipata – forse l’unica realtà che acquisiranno mai. A che cosa si deve un siffatto successo? È stato forse costruito in modo tecnico? Circola in Internet, sotto il titolo An Examination Of Obama’s Use Of Hidden Hypnosis Techniques In His Speeches, un’anonima analisi psicologica della campagna elettorale di Obama, anzi delle due campagne – quella per la nominatione quella per l’election– che ravvisa all’opera una serie di armi di persuasione ipno- tica e attribuisce a esse il trionfo di Obama (non ancora coronato dall’elezione, al tempo in cui il documento è stato formato). Obama sarebbe, secondo l’anonimo autore, innanzitutto un abi- lissimo ipnotista che avrebbe usato le tecniche ericksoniane per compensare la mancanza di altri mezzi.

La suddetta analisi psicologica osserva preliminarmente i caratteri carismatici, irrazionali, irrealistici della fede in Obama, le cui “percezioni popolari sono dimostrabilmente incompatibili con i suoi conseguimenti, la sua storia, il suo retroterra”; però “collimano perfettamente coi messaggi che si scopre che Obama manda, indirizzandoli alla percezione subconscia”. Molti seguaci di Obama – continua lo studio in questione – sono tanto presi dalla passione da svenire in sua presenza o da paragonarlo a Gesù o sentirlo come un J. F. Kennedy redivivo.

Obama inequivocabilmente usa la sopradescritta tecnica del ricalco (pacing) e della sequenza di affermazioni ovvie e consenta- nee per indurre un abbassamento della vigilanza critica su ciò che dice. Affermazioni di tal tipo sono: “Adesso è il momento”, “Mentre sto dinanzi a voi”, “Ecco perché stanotte sono qui”, “Abbiamo bisogno di cambiamento”, “Sì, possiamo”. Esse sono ripetute più volte nel medesimo discorso, e sono solitamente inserite dopo l’evocazione di un problema o la prospettazione di un obiettivo. Ossia, Obama menziona un male comunemente sentito (disoccupazione, guerra), qualcosa che deve essere corretto, e fa seguire un’affermazione del tipo “È ora di cambiare”. Poi enuncia un obiettivo moralmente con- diviso (assistenza sanitaria per tutti) e fa seguire un’affermazione del tipo “Sì, possiamo”. Poi ancora richiama ideali nazionali, come la promessa di prosperità, e afferma il dovere di mantenere questa promessa. Queste tre linee, insieme di comunicazione e di condivisione, convergono nell’affermazione clou “È per questo che sono qui ora” – ossia: “È per questo che dovete votarmi”. Le tre linee di consentaneità e ovvietà, di approvazione anche morale, accreditano quanto Obama dirà come verità assoluta, rivelazione, sottraendolo al vaglio della logica. A ciò contribuisce anche il pacing della respirazione, che Obama esegue con alcune specifiche locuzioni idonee a suggerire il movimento respiratorio, come “Together we rise… and fall”, ossia ossia “Insieme saliamo… e cadiamo”. Con tali tecniche l’oratore ottiene anche di rafforzare la focalizzazione dell’attenzione su di sé: l’ipnosi è anche concentrazione, polarizzazione dell’attenzione, dell’interesse.

Obama parla in modo innaturalmente lento, cadenzato, con frequenti pause mediante le quali ti tiene in sospeso a ogni due o tre parole. Ciò dà peso e potenza anche a frasi troppo generiche per avere un significato reale. Le pause danno tempo di lavorare alle emozioni, alle immagini, alle evocazioni suscitate dalle varie suggestioni. La mancanza di significato concreto e analizzabile dei suoi discorsi (che durano mediamente il doppio di quelli usuali) distrae l’intelletto dalla meta-analisi della complessiva situazione (cioè dal chiedersi che genere di situazione sia questa, che cosa voglia l’oratore, che cosa stia facendo, per quale scopo stia parlan- do in questo strano modo); inoltre infligge all’intelletto una serie di frustrazioni, perché esso non sa su che cosa lavorare, oppure deve lavorare a vuoto sulle frasi vuote. Davanti a frasi vaghe, come “Chi ama questo Paese può anche cambiarlo”, la mente subconscia si mette a colmare i vuoti semantici con materiale proprio, a cercare significati possibili, e tendenzialmente finisce per trovare e scegliere quello che più le aggrada. Così il medesimo discor- so politico e la medesima promessa possono essere adatti a persone che hanno sensibilità e interessi divergenti.

Tutto ciò induce la disattivazione della funzione critica a vantaggio dell’opera di influenzamento subconscio. La psiche del- l’ascoltatore si dispone a ricevere il discorso di Obama non come un ragionamento da capire e analizzare, ma come una melodia da gustare e a cui abbandonarsi. Ossia, lo riceve attraverso l’emisfero destro, l’emisfero non dominante. In effetti l’eloquio di Obama è sensibilmente musicale. È stato detto che parla come un rapper. Dopo la melodia, le immagini. Le immagini sono uno strumento molto efficace perché attivano processi irrazionali e molte associazioni aventi contenuto emotivo; inoltre, dirigono l’attenzione verso l’interno, distogliendola dal contesto oggettivo. Le immagini evocate da Obama e ricordate dall’anonimo autore sono “voltar pagina”, “una brezza sta soffiando da una parte all’altra della nazione… e il cambiamento è nell’aria”, “scrivete il prossimo capitolo nella storia d’America”.

A questo punto Obama è penetrato ai livelli inconsci, e può iniziare l’impianto dei comandi ipnotici – ossia suggestioni, affermazioni del tutto indimostrate e derivate dalle premesse mediante un nesso solo apparente: egli cita alcuni temi sociali come un miglior salario per gli insegnanti o una buona assistenza sanitaria per tutti (valutazioni generalmente condivisibili), e continua affermando “Abbiamo bisogno di cambiamento… ed è per questo… che sarò il vostro prossimo Presidente”. Che ci sia bisogno di un cambiamento è ovvio, è un sentire condiviso. Ma non è ovvio né dimostrato perché Obama sia adatto a produrre quel cambiamento, quelle riforme, non avendo egli mai dimostrato di avere capacità al riguardo. L’espressione “è per questo” esprime un nesso di implicazione logica tra “Abbiamo bisogno di cambiamento” e “sarò il vostro prossimo Presidente.” Ma nella realtà, ossia esaminando l’affermazione criticamente, non si trova alcun nesso reale tra “Abbiamo bisogno di cambiamento” e “sarò io il vostro prossimo Presidente”. Non sequitur. Analogamente, Obama richiama i vari problemi, innanzitutto quelli economici, e fa seguire l’affermazione “ed è per questo che voglio essere il vostro prossimo Presidente”, come se fosse una conseguenza di quanto detto prima. In realtà, per farne una conseguenza bisognerebbe che Obama potesse dire “ed essendo io competente in questo campo (militare, economico, sociale), come ho dimostrato in questa e quella occasione, sono la persona adatta a risolvere il problema; perciò è vostro interesse votarmi”. Ma non può dire ciò, perché una tale affermazione suonerebbe falsa, non avendo egli dimostrato alcuna competenza macroeconomica. Non può dire quello, ma in fondo non ne ha bisogno. Gli basta costruire la carica di scontento verso il presente (in effetti, nei suoi discorsi sorride di rado, appare sovente accigliato, severo), di desiderio di cambiamento e di consenso col suo pacing, per poi arrivare alla conclusione affidandosi non al nesso logico ma al trasporto, all’abbrivio emotivo e cognitivo della folla, per così dire, che a livello inconscio e soggettivo coglie un legame causale (finto) tra le varie proposizioni e lo scambia per una dimostrazione della verità della conclusione.

La severità, la censorietà di cui Obama si carica nel criticare il presente, si concentrano nella punta del suo dito quando egli, impiegando il linguaggio del corpo, fa il gesto di indicare a braccio teso, aggrottando le sopracciglia, così da assumere il carattere di un potente e autorevole capo – uno i cui comandi vanno obbediti, senza che si noti che in generale le affermazioni che egli, come quasi tutti i politici, ricorrentemente fa, sono tanto emotivamente forti quanto contenutisticamente vuote: “marciare nel futuro”, “possiamo cambiare”, “è tempo di nuova energia e nuove idee”. Un altro gesto strano e tipico di Obama è unire, in determinati passaggi dei suoi discorsi, indice e pollice (gesto che in America, evidentemente, non ha lo specifico significato che ha in Italia). In tale gesto l’anonimo autore dell’analisi che stiamo compendiando ravvisa un segnale che attiva un’ancora ipnotica (nel precedente paragrafo abbiano spiegato che cosa è un’ancora). Esaminando l’uso che Obama fa di esso (e soprattutto di come Obama prima punta l’indice al pubblico, poi lo unisce al pollice), ritiene che la sua funzione sia quella di operare un’associazione tra se stesso, la fame di cambiamento (comunque ciascuno lo immagini per sé) e l’impugnare la matita con cui gli elettori voteranno nella cabina elettorale, in modo che allorché prenderanno la matita tra l’indice e il pollice per votare, si attivi l’associazione con Obama stesso e il suo verbo messianico di “cambiamento”. Una immagine rinforza quest’ancora: quella, già citata, del “voltar pagina”, che concor- re a costellare l’esperienza del voto in cui l’elettore in effetti ha da girare una pagina: la scheda elettorale. Per quegli stati dove si vota pigiando un tasto, Obama completa l’ancoraggio continuando il gesto delle due dita col puntare l’indice in basso – cioè compiendo il gesto di premere il pulsante, ma che è insieme, nel linguag- gio del corpo, un gesto di potenza, di imperio; e fa ciò accompagnandosi con l’altisonante ma oggettivamente insignificante affermazione “Non c’è destino che non possiamo compiere”.

Un ulteriore strumento del linguaggio corporeo adoperato da Obama è l’inclinare il capo a destra. Esponendo la vena giugulare a un possibile aggressore o avversario, questo gesto, per un riflesso atavico e proprio a molte specie animali, innesca negli altri una reazione istintiva di rinuncia all’aggressività – nell’uomo, anche all’aggressività intellettuale, critica, politica.

Obama naturalmente usa anche la tecnica delle storielle ipno- tiche. Egli racconta, nel suo ritmo lento e cadenzato, storie appa- rentemente riferite a se stesso e al passato, ma che chi lo sta ascol- tando vive come proprie e attuali, in cui egli si siede in silenzio, si rilassa, raccoglie i pensieri e si ritrova a riflettere su se stesso. Il “sedere in silenzio” è un ricalco del vissuto del pubblico, che appunto sta a sedere in silenzio mentre Obama parla. Il “raccogliere i pensieri” induce la concentrazione sul vissuto soggettivo. Il finale “riflettere su di me” (con un forte accento sul “me”) si accompagna al gesto di indice e pollice, per il già noto ancoraggio subliminale.

La storia ipnotica contiene una serie di inviti a immaginare sedici mesi di tempo, poi grandi distanze nello spazio, poi un milione di voci… ossia, inviti a formarsi immagini sempre più difficili da visualizzare consciamente. È una china, questa successione di comandi, che porta al blocco della mente consapevole per impossibilità di esecuzione del compito che essa ha ricevuto e accettato, così che l’emisfero non dominante resta sguarnito e indifeso alle suggestioni che seguono – un passaggio radicalmente irrazionale, arbitrario, prettamente propagandistico e demagogico (il neretto indica l’enfasi):
Noi stiamo insiemea mia voce viene udita… perché voi avete detto… perché avete decisoche il cambiamento deve avvenire… perché avete creduto[gesto-ancora] che quest’anno sia diverso da tutti gli altri… perché voi avete scelto [gesto-ancora] di ascoltare[tema del trance nella narrazione] le vostre più grandi speranze, le vostre più alte aspirazioni… noi portiamo un giorno nuovo e migliore… Stanotte io posso stare qui e dire [ricalco] che sarò il candidato democratico… il Presidente degli Stati Uniti” [puntando con la mano in basso (come per toccare uno schermo o premere un bottone di voto): gesto di comando].

Messaggio profondo, implicito: “Se voi volete rimanere in sintonia con tutto questo che io sto evocando e che vi fa sentir bene e protagonisti, con questa potenza, con questa vostra speranza, allora dovete votare me”. L’autore dello studio in esame lancia la sua opera come una denuncia di un attentato alla democrazia e come un appello a opporsi a esso. Ma, anche se l’esito dell’elezione pare confermare l’analisi in parola, non pare a noi che, anche qualora Obama sia stato eletto grazie alla suggestione subipnotica, ciò comporti un reale e allarmante cambiamento o un attentato alla democrazia. Non è razionale demonizzare Obama per l’uso dell’ipnosi: la gente sempre è ipnotizzata o, alla meglio, vota senza cognizione di causa. Il politico vince sempre sul fattore ignoranza-inganno. Vediamo invece la grande vittoria di Obama come un’autorevole conferma delle nostre tesi sulla “democrazia”.

Il nostro commento è piuttosto che le capacità con cui si vince sono una cosa, e quelle necessarie per governare sono una cosa in gran parte diversa – anche se aver prodotto un grande entusiasmo dietro di sé è un notevole aiuto anche per governare, perlomeno all’inizio.



Alla prova dei fatti, una volta eletto Obama ha preso clamorosi provvedimenti contro la recessione e la sfiducia economica, che però stanno avendo (scriviamo ai primi di Marzo 2009) risultati negativi. A questo punto, per mantenere il tipo di consenso fideistico che lo ha portato alla Casa Bianca, nonostante gli insuccessi e l’aggravarsi della recessione, Obama dispone di diversi strumenti di lavoro sulla mente popolare. Ovviamente può lanciare una campagna di mobilitazione, estendibile fino alla guerra, contro “colpevoli” esterni della recessione – dalla minaccia terroristica iraniana alla concorrenza sleale della Cina. Può lanciare una campagna isolazionista e protezionista. Può anche giocare al rilancio della speranza e della posta – ossia, può sostituire le speranze tradite dai fatti con promesse e speranze ancora più alte e fascinose, tali da giustificare un ulteriore investimento di fiducia.

Per altro verso, a ben riflettere, un ascoltatore lucido e razionale non avrebbe avuto bisogno dell’analisi tecnico-psicologica che abbiamo qui svolto per scartare in blocco come ingannevoli e insinceri i discorsi di Obama e non perdere tempo ad ascoltarlo: se si guarda al loro contenuto concreto, si trova che questo è praticamente assente, e che il poco che sussiste è vago e adattabile in molte direzioni, quindi non vincolante, non impegnativo per chi lo enuncia. E che mira fortemente alla suggestione. Ciò vale peraltro per la maggior parte dei discorsi dei politici, democratici e non democratici che siano (vedasi, come esempio di programma politico di un non democratico, il mussoliniano Programma di San Sepolcro). Inoltre, se si guarda al passato di Obama, dalla laurea in poi, si riconosce una storia di personaggio politico preparato nell’alveo del- l’estasblishment americano, quindi tutt’altro che “vergine”. Tuttavia, la maggior parte del pubblico non è alla ricerca dell’obiettività. Il motivatore delle folle è soggettivo, è il sentirsi meglio nell’entrare in un certo stato psichico, in un certo sistema di emozioni e idee. Questo sentirsi meglio produce fiducia nei fattori che lo generano: nella persona del leader carismatico, nelle sue tesi e promesse. Lo testimonia un noto colonnista, Michele Bader62, il quale racconta il proprio volontario cedere al fascino di Obama, a cui egli, pur razionalmente riconoscendo la inconsistenza dei suoi discorsi, si abbandona, perché l’abbandono a esso gli consente di uscire da una disposizione mentale e culturale fatta di distacco, disinganno, “coolness”, e dal conseguente senso di vuoto esistenziale, per ritrovare l’entusiasmo della militanza partecipativa. Qualcosa di analogo al vissuto gratificante di L. mentre i suoi soci la defraudavano, e, in generale, al vissuto dei convertiti: trovare un nuovo gusto nella vita, ecc.

Un bisogno soggettivo si afferma e si appaga attraverso comportamenti che hanno consistenza ed effetti oggettivi, ma che, sul piano oggettivo, sono inadeguati per il soggetto manipolato e utili per il soggetto manipolatore, il quale abilmente condiziona i suoi seguaci ad appagare tali bisogni oggettivi mediante atti che recano a lui vantaggio oggettivo, dal voto elettorale alle donazioni, al lavoro gratuito.

Naturalmente anche il leader carismatico, religioso o laico che sia, riceve una gratificazione psicologica – la gratificazione di ritorno dovuta al plauso e all’entusiasmo che egli ha suscitato. La dipendenza può in tal guisa divenire reciproca e svilupparsi in un feedback positivo che amplifica la fiducia fino al fanatismo, alla sopravvalutazione dei propri mezzi, alla perdita di contatto con la realtà ed eventualmente a esiti estremi.

Tratto da: Marco Della Luna, Paolo Cioni - "Neuro Schiavi Tecniche e psicopatologia della manipolazione politica, economica, religiosa. Manuale scientifico di autodifesa" - Macro Edizioni (pag.231-240)

Per gentile concessione dell'editore