Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L'arma segreta del cambiamento climatico

L'arma segreta del cambiamento climatico

di Khadija Sharife - 21/03/2010

   
   

L'acqua è cristallina, la sabbia è più che bianca, le palme sono ricurve in maniera elegante e ondeggiando nella brezza. E' questo il modo in cui vengono immesse sul mercato le Seychelles: come "un altro mondo". Il turismo è il pilastro di quest'isola paradisiaca e costituisce in media il 20% del PIL e il 60% degli introiti dovuti al mercato della valuta.

Ma in considerazione della crisi climatica, le prospettive sono molto incerte per nazioni insulari come le Seychelles, che dipendono dalle condizioni climatiche. Metà della sua popolazione vive nelle zone costiere, direttamente esposta all'innalzamento del livello dell'oceano, all'erosione della costa, alle inondazioni e alle piogge improvvise. Inoltre l'isola dipende molto dall'agricoltura e il 70% delle coltivazioni si trova proprio nelle zone costiere, sottoposte alle ondate della marea, sempre più frequenti. Così, l'innalzamento del livello dell'oceano mette a rischio i mezzi di sostentamento della popolazione delle Seychelles, oltre all'esistenza dell'arcipelago stesso.

Secondo le previsioni dell' Intergovernmental Panel on Climate Change, molte di queste nazioni insulari scompariranno quasi del tutto alla fine del 21st secolo. Una ragione potrebbe essere la penuria crescente di fonti d'acqua dolce. "Le Seychelles, in particolare, dipendono quasi interamente dall'acqua superficiale e sono dunque molto a rischio", ha sottolineato la UN Framework Convention on Climate Change. Il futuro di questo paradiso non è così grave come quello delle Maldive, il suo alleato dell'Alliance of Small Islands States (AOSIS), costituita in previsione della conferenza sul cambiamento climatico di Copenaghen. Il livello del suolo delle Maldive, il più basso al mondo, è di 7,5 piedi (un piede in meno dell'altezza del giocatore di basket cinese Yao Ming). Ma le Seychelles saranno il prossimo paese in lista se il livello dei mari non smette di salire.

La triste ironia è che, nonostante le due isole non producano molto in termini di emissioni di carbonio, le due nazioni insulari potrebbero aver contribuito alla loro propria morte. Dopo tutto, le Seychelles e le Maldive condividono lo stesso segreto che sostiene le loro rispettive economie. Più del 50% dei membri dell' AOSIS hanno giurisdizioni segrete, etichettate in maniera fuorviante come centri offshore e paradisi fiscali. Questi sistemi economici- caratterizzati da servizi finanziari e legali opachi che garantiscono poca o nessuna trasparenza, permettono l'accesso di numerosi clienti in via confidenziale e pretendono pochi requisiti per consistenti attività economiche - accolgono capitale illecito. Il denaro riciclato viene deviato da queste nazioni in via di sviluppo, ricche di risorse ma artificialmente impoverite.

Tali centri insulari costituiscono una chiave che facilita il sistema procurando servizi finanziari offshore, controllati a distanza dalle sedi principali delle onshore, ad esempio la città di Londra. Legioni mutevoli di avvocati, banchieri e contabili fanno da intermediari tra le multinazionali dai guanti bianchi e le élites politiche "dai guanti neri". Il denaro, che potrebbe altrimenti essere indirizzato verso la riduzione dell'impatto delle emissioni di carbonio delle multinazionali e per finanziare lo sviluppo sostenibile dei paesi in via di sviluppo, è affossato nei conti bancari sulle isole. E questo denaro potrebbe alla fine far affondare le isole stesse.

Le isole del denaro

Attualmente, quasi 13000 miliardi di dollari di denaro occultato e protetto sono depositati in società offshore e fuori dalla portata. Se venissero moderatamente tassati, questi fondi frutterebbero più di 250 miliardi. Questa cifra sarebbe più che sufficente a finanziare i Millennium Development Goals [n.d.t: carta di otto obiettivi per lo sviluppo mondiale da raggiungere entro il 2015, stipulata dall' Onu nel 2000 e sottoscritta da 189 nazioni], il conseguimento dei quali, secondo la banca mondiale, costerebbe circa 40-60 miliardi l'anno sino al 2015. Altrimenti, potrebbe essere devoluta ai fondi per la decrescita e la riqualificazione necessari per lo sviluppo delle nazioni emergenti, fondi che secondo l'Onu dovrebbero essere di 40-86 miliardi l'anno.

Ma il recupero di questi capitali illeciti sarà difficile. Le isole che ospitano questi conti bancari dipendono proprio da tali entrate. Le Seychelles dipendono dal settore finanziario per l'11% del loro PIL. Questo pone le Seychelles non molto lontano dalle famose isole Cayman, il quinto centro finanziario più grande al mondo, dove i servizi finanziari determinano il 14% del PIL. La Svizzera, che ricicla un terzo di tutti i capitali illeciti, dipende dai servizi finanziari per il 15% del suo PIL.

Le economie della maggior parte delle isole dipendono da sistemi più forti, come quelli di Inghilterra e Stati Uniti. Tali economie sono in competizione per diventare una miniera di possibilità per le società offshore, offrendo servizi finanziari e legali opachi e aliquote d'imposta molto basse o pari a zero. Attraverso questi servizi clandestini, inoltre, i governi dei paesi sviluppati sono l'estremità che riceve invii illeciti da regioni come l'Africa sub-sahariana, che è un creditore netto dei paesi sviluppati.

La fonte dei fondi

La Nigeria è il più grande produttore di petrolio dell'Africa e il quinto tra i maggiori esportatori negli Stati Uniti. A partire dagli anni '60, l'élite politica e militare del Paese si è illecitamente appropriata di più di 400 miliardi provenienti dai profitti del petrolio e appartenenti ai cittadini nigeriani, e li ha depositati nelle giurisdizioni segrete come la Svizzera. Intanto, a dispetto delle numerose promesse di multinazionali come la Chevron, attive nel Paese, la popolazione della Nigeria è diventata sempre più povera. Le industrie estrattive hanno causato considerevoli contrasti, violazioni dei diritti umani ed episodi di violenza. E il degrado ecologico complessivo costa 5 miliardi l'anno.

La responsabilità dell' Africa nel riscaldamento globale è piuttosto ridotta. Il continente infatti produce soltanto il 3% delle emissioni globali dei gas serra. Ma le industrie estrattive che operano in Africa sono i maggiori responsabili delle emissioni. La Shell, ad esempio, produce più gas serra di molti paesi: le sue emissioni di carbonio ammontavano nel 2005 a 102 milioni di tonnellate e superavano dunque le emissioni di 150 paesi.

Sebbene l'inpronta africana nelle emissioni di carbonio sia piuttosto lieve, i regimi autocratici del continente, in Angola, in Nigeria, in Congo e in Gabon, sono alla base della catena produttiva e dipendono principalmente dalla concentrazione dei capitali determinata dalle industrie estrattive che riforniscono i più grandi motori a carbone con considerevoli quantità di carburante. Ma né i regime corrotti né le corporazioni che finanziano e facilitano il riscaldamento globale hanno posto questo problema nell'agenda di Copenaghen.

A Copenaghen

La discussione alla conferenza sul cambiamento climatico di Copenaghen, l'anno scorso, si è concentrata su nazioni "sviluppate" e "nazioni in via di sviluppo" e il nuovo mercato delle carbon offsets. I governi dei Paesi industrializzati hanno creato dal nulla questi permessi inerenti le emissioni di carbonio e li hanno assegnati alle più grandi multinazionali dal più grave impatto ambientale. L'ultimo architetto di questo sistema, la Goldman Sachs, dotata di società sussidiarie in tutto il mondo (dalle Bermuda alle Isole Cayman, da Hong Kong all'isola di Jersey, dall'Irlanda alle Isole Vergini britanniche, a un centro africano di fama mondiale, le Mauritius), non solo ha ideato un enorme mercato dell'emissioni di carbonio, ma è anche entrata in possesso del 10% delle azioni della Chicago Climate Exchange (CCX) di Al Gore - il progetto commerciale pilota sulle emissioni di carbonio negli Stati Uniti.

La CCX di Gore, nel cui consiglio d'amministrazione ritroviamo VIP come Kofi Annan, dell'ONU, e James Wolfensohn, della Banca Mondiale, si è battuto per la privatizzazione dell'atmosfera fin dal Summit della Terra, a Rio [n.d.t.: 1992].

Uno dei meccanismi ben pubblicizzati del nuovo commercio del carbonio è il Clean Development Mechanism (CDM), che impedisce ai soggetti inquinanti di aggirare i controlli finanziando progetti nel terzo mondo a basse o inesistenti emissioni di carbonio. Tuttavia, secondo gli studi dello Stanford University’s Energy and Sustainable Development Program, "circa un terzo o due terzi " dei progetti del CDM non rappresentano delle riduzioni reali.

Intanto, i governi del G20 hanno sovvenzionato il carbon fossile fino a 300 miliardi nel 2009. Così, mentre il G20 spende il suo tempo per creare il mercato del carbonio, che riduce solo in minima parte le emissioni, le multinazionali continuano ad espandere le loro imprese estrattive, i dittatori continuano a deviare i capitali, le società finanziarie si arricchiscono con il credito sull'inquinamento, e questi capitali illeciti continuano a rifluire nei paradisi delle offshore, che sono essi stessi minacciati dall'innalzamento del livello dei mari e dal riscaldamento globale.

Titolo originale: "Climate Change's Secret Weapon "


Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCA IPPOLITI