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Puntare in alto vuole anche dire non lasciarsi invischiare nella rissa dei meschini

di Francesco Lamendola - 22/03/2010

 

 

 


«E così hai deciso di non rispondere?»
«Certo. Non ne vale la pena; sarebbe come dargli importanza.»
Sabina riflette per un poco, poi sospira tristemente:
«Certo che questi signori critici e giornalisti celebri devono sentirsi dei gran padreterni, visto che non si degnano nemmeno di argomentare, ma passano direttamente all’insulto.»
«Sì: sono un buon campionario dell’arroganza becera della nostra classe dirigente.»
«E lo hai scoperto per caso?»
«Per caso. Figurato che non sapevo nemmeno che il “Corriere della Sera” avesse un forum su Internet, né che quel tale critico musicale vi tenesse una rubrica. Hanno preso un mio articolo di tre o quattro anni fa, in cui lodavo Tenco come profondo cantautore e criticavo la coppia Battisti-Mogol, che considero un esempio lampante della furbizia commerciale e della involuzione culturale degli anni Settanta, articolo che hanno avuto la bontà di definire “interessantissimo”. Ma il grande personaggio, richiesto da loro di un parere, invece di confutarlo, si è limitato a designare la mia tesi con una parola ingiuriosa. E io dovrei abbassarmi a quel livello?»
«Ho notato che non lo nomini nemmeno.»
«E per la stessa ragione per cui, se lo avessi di fronte, non lo guarderei in viso.»
«Vale a dire?»
«Guardare qualcuno in viso significa riconoscergli una dignità. Ma la dignità non è dovuta a chiunque: bisogna meritarsela, bisogna guadagnarsela. Non è necessario, ovviamente, che il nostro interlocutore la pensi come noi, ci mancherebbe; basta che si condivida il valore minimo del rispetto reciproco. Chi non pratica quel valore, non è dignitoso e non merita alcun riconoscimento. Fra parentesi, è questa la ragione per cui, quelle poche volte che guardo la televisione e mi trovo davanti il faccione di qualche politico di quel genere, cioè di parecchi politici attualmente in auge, volto la testa dall’altra parte. Non è solo il fatto che la loro vista mi infastidisce; è proprio che non riconosco loro alcuna dignità personale.»
«Non parlarmi dei politici. Credo che l’Italia non sia mai scivolata tanto in basso come in quest’epoca; tutti i Paesi seri stanno ridendo di noi. O forse, piuttosto, stanno piangendo...»
«Sai cosa c’era sul giornale, stamattina? Che un operaio, non riuscendo più a mantenere i suoi due figli, ha tentato di rapinare una banca. Ma ti rendi conto? E intanto un assessore regionale prende diecimila euro al mese; e, dopo cinque anni, ha diritto alla pensione. Quella pensione che qualsiasi altro cittadino riceve dopo una vita di lavoro.»
«La ricchezza si concentra sempre di più in pochissime mani. Quello che mi stupisce è che, in queste condizioni, con tante famiglie che non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese, il popolo bue continui a votare per certi partiti e per certi personaggi. I quali, da parte loro, non si occupano affatto dei problemi quotidiani delle persone comuni, ma sempre e solo dei loro problemi privati, ad esempio dei loro conti in sospeso con la giustizia.»
«E di che ti meravigli? Il popolo bue non vuole ragionare, vuole un mandriano che se lo porti a spasso e che gli racconti qualunque favoletta capace di tenerlo buono.»
Scoppio in una cordiale risata.
«Sabina, quasi non ti riconosco più. Stiamo facendo i soliti discorsi da vecchi brontoloni; ci stiamo piangendo addosso come due suocere arteriosclerotiche. Via, così non va.»
«Giusto; perché lasciarci rattristare? Questi pensieri negativi ci faranno volare sempre più basso; e noi non dobbiamo regalargliela, questa soddisfazione.»
«Come quella di mettersi a litigare con i boriosi rappresentanti dell’establishment culturale.»
«Mi pare che Schopenhauer abbia scritto qualcosa in proposito, una specie di prontuario per casi del genere…»
«Sì, ma qui non occorrono i lumi di Schopenhauer, basta il buon senso. Vale la pena di accettare una provocazione per strada, da parte di un attaccabrighe di professione?»
«Certo che no. Non sarebbe intelligente.»
«E perché, secondo te?»
«Perché lui avrebbe tutto da guadagnare da una rissa di strada, e la persona seria e in buona fede, rispettosa del prossimo, avrebbe tutto da perderci. Dovrebbe mettersi su un terreno che non è il suo, in cui si sentirebbe fuori parte, e finirebbe per regalare all’altro la soddisfazione di essersi lasciato trascinare nel fango. Mentre nel fango ci stanno bene gli arroganti e gli attaccabrighe di professione, gente sempre pronta a farsi scudo di un avvocato per le infinite cause legali che solleva: perché, evidentemente, nella vita non ha nulla di meglio da fare.»
«Dunque, lo vedi che faccio bene a non rispondergli? Che se ne stia nel suo brodo, con la sua presunzione e il suo rancore di pontefice massimo punto nella gelosia di casta. E buon pro gli faccia.»
«Allora, per tornare a noi: come si fa a volare alto, quando si è costretti a vivere nella palude della meschinità, della maldicenza, dell’invidia? O nella più grande palude di una intera nazione, che è caduta in balia di una casta di arruffoni e avventurieri senza scrupoli, il cui unico scopo è quello di estorcere denaro e privilegi dalle cariche pubbliche indegnamente ricoperte?»
«Cominciamo dalla prima domanda. Chiunque viva la propria vita con onestà e rettitudine, non cercando vantaggi personali ma unicamente perseguendo il fine della crescita spirituale, finisce per attirarsi la malevolenza dei piccoli, degli invidiosi, dei conformisti. Questo è poco ma sicuro. Dunque, o ci si abitua e ci si fa il callo, oppure si rinuncia fin dall’inizio. Ma vale la pena di rinunciare a porsi un elevato obiettivo esistenziale, solo per non attirarsi le critiche meschine e gli ostacoli deliberati di quella gentucola? “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa…”.»
«Anche perché - aggiunge lei - il fastidio che essi recano viene ampiamente ricompensato dalla gratitudine e dalla simpatia di tanti altri, che riconoscono d’istinto le azioni disinteressate e che mostrano di trarre giovamento dall’esempio che viene loro proposto. Almeno, ciò aiuta il nostro prossimo a non credere che tutto il mondo sia fatto di arrivisti senza scrupoli e di persone che agiscono solo per tornaconto personale.»
«Veniamo alla seconda domanda, che riguarda la nostra società nel suo complesso. Sì, il problema è grosso: sappiamo che i migliori se ne vanno appena possono. Altro che fuga dei cervelli! È la fuga inarrestabile di tutti quanti abbiano larghezza di vedute, generosità di cuore e spirito d’intraprendenza; di tutti coloro che non si accontentano di gestire la mediocrità dell’esistente, le mille mafie grandi e piccole, i compromessi che macchiano la coscienza, le furberie da quattro soldi, i nepotismi, la corruzione, la fannulloneria, l’avidità, l’ignoranza, la prepotenza, la stupidità e il servilismo.»
«È un quadro abbastanza tragico, ma temo che sia obiettivo; anzi, semmai, approssimato per difetto. Ma non staremo ricadendo nel vittimismo che avevamo deprecato?»
«Nessun vittimismo: solo guardare in faccia la realtà. E ammettere, benché con dolore, che noi, oggi, abbiamo la classe dirigente che ci meritiamo, né più, né meno. Quindi, se vogliamo uscire da questa grande palude, dobbiamo articolare la nostra strategia in due fasi: la “pars destruens” e la “pars costruens”. La “pars destruens” corrisponde alla presa di coscienza critica della realtà, allo smascheramento di tutte le finzioni e di tutte le ipocrisie, alla demistificazione di tutti gli inganni e di tutte le ideologie truffaldine spacciate per moneta buona. E non solo fuori di noi, ma anche dentro di noi.»
«Che cosa vorresti dire?»
«Che anche noi siamo corresponsabili, perché ce la raccontiamo troppo spesso. Se le cose sono arrivate a questo punto, è perché anche noi siamo stati consenzienti; e, se anche non lo abbiamo fatto per ottenere qualche miserabile vantaggio personale, pure abbiamo peccato di inerzia e di eccessiva arrendevolezza.»
«Quindi, dovremmo fare un po’ di pulizia in noi stessi?»
«Esattamente. Noi non possiamo cambiare il mondo, ma possiamo cambiare noi stessi: e questo è tutto. Ma, cambiando noi stessi, anche il mondo incomincerà a cambiare.»
«E la “pars costruens”?»
«La “pars costruens” consiste nella trasformazione dell’uomo vecchio, che è in noi, nell’uomo nuovo: l’uomo della speranza, della gioia e della tensione verso il proprio naturale completamento, ossia verso l’Essere da cui proviene e al quale è destinato a ritornare.»
«Anche Hitler e Stalin volevano costruire l’uomo nuovo….»
«Sì, ma con una bella differenza: che volevano costruirlo sulla pelle degli altri, di milioni di altri, senza aver saputo costruirlo prima in se stessi. E quando l‘uomo vecchio vuol versare il suo vecchio vino negli otri nuovi, questi si rompono, inevitabilmente.»
«Spiegati meglio.»
«Oh, è molto semplice. Voglio dire che, prima di voler comandare agli altri cosa devono fare per essere migliori, bisogna imparare a comandare a se stessi. Altrimenti non si fa altro che proiettare sul mondo la propria ombra negativa, la propria incapacità di guardarsi dentro; e si finisce per odiare l’altro, perché si vede in lui la parte odiosa che non si è saputa correggere in sé.»
Ora una luce particolare si accende sul volto di Sabina e, sulle sue labbra, compare quel tipico sorriso ambiguo, vagamente ironico e malizioso:
«Tornando dalla grande palude a quella piccola, questa è una spiegazione di certi rancori, di certe maldicenze, di certe inestinguibili invidie: si odia la parte di sé che si detesta, ma con la quale non si ha il coraggio di fare i conti una buona volta.»
«Si capisce, perché è faticoso. Molto più semplice scaricare addosso agli altri le proprie frustrazioni e la propria cattiva coscienza.»
«Ma perché sia cattiva, bisogna tuttavia avercela, una coscienza. E tu sei proprio sicuro che certi individui, come quelli di cui abbiamo parlato, ce l’abbiano?»
Mi stringo nelle spalle prima di rispondere:
«Francamente non lo so, non poterei giurarlo. Forse non l’hanno più; forse l’hanno uccisa, perché dava loro troppa noia. Ma, nonostante tutto, il diamante rimane.»
«Quale diamante?»
«Quello che giace nascosto in fondo a ognuno di noi, e che rende sacro il mistero dell’anima, di ogni anima: a dispetto dei suoi atti esteriori e dei suoi stessi pensieri.»
«Anche Hitler e Stalin avevano un diamante in fondo all’anima?»
«Tutti, senza eccezione. Ma talvolta esso è nascosto, talmente nascosto in profondità, che davvero potrebbe sorgere il dubbio. Magari è sepolto sotto infiniti strati di sporcizia…»
«Già: perché un diamante è un diamante, e la sporcizia è sporcizia.»
«… così come una profonda canzone d’autore è un’opera di poesia, mentre una canzonetta con quattro note furbe e quattro parole messe lì per abbagliare gli spiriti superficiali, è tutta un’altra cosa.»
«… mentre quel tale critico musicale sostiene che sono due cose di pari dignità.»
«Tutti  i diamanti sono di pari dignità; ma non la sporcizia che ne riveste alcuni.»
«Perché tu sei un uomo all’antica, vero?»
«Già. Per me una torta è una torta, e uno sterco di vacca è uno sterco di vacca. Si capisce che è utile anche quest’ultimo, ma come concime per la terra: cioè, in un altro ordine di fenomeni. Se invece si afferma che una torta e uno sterco sono due cose di pari dignità, senza distinguerne i differenti ambiti, si fa solo della confusione in mala fede.»
«Perché in mala fede?»
«Perché annulla le differenze di qualità, appiattisce tutto e legittima tutto, anche le cose peggiori.»
Sabina mi lancia una delle sue occhiate assassine e non dice più niente, sorridendo sotto i baffi.