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Vertigine della lista

di Mario Grossi - 22/03/2010


Andare a fare la spesa con mia moglie è uno degli innumerevoli esempi del debito assoluto che ho contratto col tempo nei suoi confronti. Non avrei mai ragionato sul significato della lista (in questo caso appunto della spesa) se non ci fosse lei che ogni sabato mi trascina in un supermercato a comprare derrate di vario genere. La scena si ripete costante ormai da anni e già questa reiterazione, così simile al salmodiare delle beghine, è significativa e avrebbe dovuto smuovere le mie sonnolente meningi fin da subito. Ma io sono un predatore lento e accorto, anche un po’ stupido se volete ed ho bisogno dei miei tempi (talvolta biblici) per poter ragionar sulle cose.

La scena che si ripete nel tempo prevede un preludio che è scrivere con una penna ciò che si dovrà comprare al supermercato su un foglio di carta.

Quando la lista è compilata, si esce e si va al supermercato. Una volta giunti lì si prende un carrello, si entra e si comincia il giro d’acquisto. A questo punto io dico: «Tira fuori la lista così non ci scordiamo di niente». E lei candida: «Me la sono dimenticata!».

A questo punto io bofonchio qualcosa, maledicendo l’incongruente comportamento, dando inizio ufficialmente alle compere.

Normale, direte voi, ci si può scordare di un pezzo di carta. No, rispondo io, non per mia moglie, ferrea organizzatrice di tutto il mondo che mi circonda. Non può essere casuale che tutte le volte, preparata la lista, se la dimentica, ci deve essere dell’altro.

È così che ho cominciato a ragionare sul significato della lista, dei cataloghi, delle enumerazioni e delle classificazioni che trovano un loro fondamentale spazio nella vita di tutti noi.

Quando ho comprato Vertigine della lista di Umberto Eco, edito da Bompiani, una parte delle considerazioni ivi riportate non mi hanno per nulla colto impreparato, anzi, grazie a mia moglie, ho potuto elaborare una mia teoria poi corroborata ed impreziosita dalla lettura del libro di Eco.

Il libro in questione è un’antologia di brani letterari e di fotografie che uscì a corredo di una serie di conferenze, esposizioni, pubbliche letture, concerti, proiezioni che il Louvre aveva chiesto ad Eco di organizzare per tutto il Novembre 2009.

Un’antologia che percorre tutta la storia della letteratura e dell’arte e che testimonia la presenza di liste, elenchi, enumerazioni in un’infinità di contesti anche molto lontani tra loro.

Il tutto parte da una distinzione che Eco fa tra due tipi diversi di descrizione.

Per fare questo parte dall’Iliade. Nel poema epico omerico esiste da una parte la descrizione dello scudo di Achille, che la madre Teti fa confezionare a Efesto per suo figlio e dall’altra l’enumerazione delle navi degli Achei che si radunano sotto le mura di Troia per assediarla.

La prima forma descrittiva, seppur ricca di un numero infinito di particolari che affollano la scena, ha una particolarità: è una descrizione conchiusa in sé. Ricca quanto vogliamo ma limitata. Il confine della descrizione è in primo luogo il perimetro circolare dello scudo che anche se smisurato ha una dimensione definita. In secondo luogo la descrizione delle scene, innumerevoli ma definite.

«Ma ammettiamo che lo scudo abbia una struttura realisticamente riproducibile: per la sua natura circolare perfetta, esso non lascia supporre che altro ci sia al di fuori dei suoi bordi; esso è una forma finita. Tutto quello che Efesto voleva dire è dentro lo scudo, che non ha esterno: è un mondo conchiuso».

La seconda forma descrittiva, l’elenco dei duci e delle navi degli Achei, suggerisce quasi naturalmente l’infinito, perché, di fatto, non finisce. Anche laddove la lista pare completa in realtà rimanda a uno smisurato che non può essere contato compiutamente.

«Dapprima egli (Omero, ndr) tenta un paragone: quella massa d’uomini, le cui armi riflettono la luce del sole, è come un fuoco che dilaga per una foresta, è come uno sciame d’oche o di gru che pare attraversare con un rombo il cielo – ma nessuna metafora lo soccorre, e chiama a soccorso le Muse: “Ditemi, o Muse che abitate l’Olimpo, voi che tutto sapete… quali erano i capi e i guidatori dei Danai; la folla non chiamerò per nome, nemmeno se avessi dieci lingue e dieci bocche”, e pertanto si dispone a nominare solo i capitani e le navi. Sembra una scorciatoia ma questa scorciatoia gli prende trecentocinquanta versi del poema. Apparentemente l’elenco è finito (non dovrebbero esserci altri capitani e altre navi) ma siccome non si può dire quanti uomini ci siano per ogni duce, il numero cui si allude è comunque indefinito».

Insomma la lista è una descrizione aperta, tanto aperta che spesso nelle liste e negli elenchi, che non abbiano fine puramente pratico ma soprattutto letterario e filosofico, viene introdotto alla fine un “e” o un “eccetera”, per indicare che la lista prosegue, o l’ “e” e l’ “eccetera” sono sottintesi ma, seppur omessi, espliciti.

Da qui nasce, anche se Eco a questo punto prende una via diversa rispetto alle mie riflessioni, la vertigine della lista da cui il titolo.

Quell’”eccetera” ci pone, se ci mettiamo nella condizione di cercatori audaci e curiosi, in un punto d’osservazione che è al tempo stesso tremendo e carico di opportunità. È come se ci ponessimo sul limitare del mondo finito (della lista) per lanciare il nostro sguardo verso l’ignoto, di ciò che è al di là del conosciuto, che va oltre il classificato, con la speranza di trovare un altro passo ubriaco verso quello che non sappiamo.

È solo a partire da questa consapevolezza vertiginosa che possiamo dirci vivi.

Nell’antologia curata da Eco ci sono infiniti esempi di queste liste aperte, da lui utilizzate per altre divagazioni ma che tornano utili anche per avvalorare questa mia interpretazione.

Un esempio è la poesia di Edgard Lee Master La collina:

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley?
L’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso in miniera,
uno fu ucciso in una rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando
per i suoi cari –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono,
sulla collina…

La poesia è accompagnata da una bella foto delle lapidi aggrovigliate e affastellate le une sulle altre dell’antico cimitero ebraico del ghetto di Praga.

Il cimitero dunque come lista aperta e quell’”eccetera” che incombe su ognuno di noi dovrebbe trasferirci un macabro presentimento, subito bilanciato dalla lista delle nascite all’ufficio dell’anagrafe.

Un equilibrio dinamico, instabile, vitale al quale non ci possiamo sottrarre.

Un rischio quell’ “eccetera” che, come testimoniano le molte cosmogonie, è il principio e la fine di tutte le cose. Nella Genesi tutte le specie animali passano davanti ad Adamo che dandogli un nome le rende esplicite. Così come nel Silmarillon la catena di suoni che si susseguono originano il mondo.

Liste come si vede con la loro vertigine creativa.

Anche le Genealogie sono liste che permettono all’individuo di conoscere il proprio passato, transitare per il presente e proiettarsi, attraverso figli e nipoti (degli “eccetera” in carne e ossa), verso un futuro quanto mai incerto.

Infiniti sono gli esempi portati da Eco e vanno da Dionigi Aeropagita con le sue schiere celesti, a Pantagruele, passando per i Carmina Burana, per arrivare a Borges ed alla sua Torre di Babele. Anche qualche autocitazione tra Il nome della rosa e Baudolino.

Ma per capire come la lista è una sorta di mattone fondante della vita, penso, in ambiti diversi da quello letterario, al mondo della collezione. I mitici album delle figurine Panini ne sono esempio sommo. In apparenza sono delle liste conchiuse, ogni anno e per ogni campionato di calcio esiste un album finito, ma fra un anno ce ne sarà un altro e poi fra un anno e fra un anno ancora. Insomma un calendario in cui si avvicendano ciclicamente le stagioni di anno in anno. L’album delle figurine Panini testimonia il ritorno del sole che sta a fondamento della terra.

Quanto sia fondamentale nella lista quell’ “eccetera” e quanto quell’ “eccetera” sia soffio vitale potete scoprirlo pensando ad esempio a Casanova, che soleva tenere una lista precisa delle donne conquistate. Senza quell’ “eccetera” la lista di Casanova acquisterebbe, come a un certo punto acquistò, un sapore patetico. Un mondo inchiodato al suo passato, senza nessuna possibilità o slancio futuro. Casanova si giustifica infatti non per le donne conquistate ma per quelle ancora potenzialmente conquistabili. Casanova senza potenza (scusate il gioco di parole) è solo un laido libertino alle prese con rughe e flaccide erezioni. La maschera di se stesso rivolta a un passato immoto e irreplicabile.

E che la lista sia proprio una trama su cui tutto si tesse può essere desunto dall’esempio, per me più significativo, della presenza della lista in campo cinematografico.

Sto parlando del film di Akira Kurosawa Rashomon.

A Kyōto, nel Giappone medievale, un boscaiolo, un monaco e un passante si fermano a parlare di un caso di omicidio avvenuto qualche tempo prima: la vittima è un samurai, ucciso da un brigante che avrebbe anche abusato della moglie di lui. I tre uomini danno tre versioni diverse dell’accaduto, facendo apparire responsabile di volta in volta il samurai, la donna o il brigante. Cos’è successo veramente nel bosco?

Anche la verità, o almeno la rappresentazione della verità è tessuta su una lista che, lascia intendere il film, potrebbe allungarsi a piacere, sarebbe infinita. Ogni testimone nuovo, oltre ai tre, darebbe una versione sempre diversa.

Tornando infine a mia moglie e al suo comportamento, io lo trovo assolutamente coerente con quanto detto. La lista della spesa, che dovrebbe aiutarci a ricordare cosa comprare, è un’elencazione chiusa, non ha futuro, non prevede deviazioni. Il dimenticarsene è invece l’affermazione che, alla sua claustrofobica elencazione, ci si vuole sottostare. Il dimenticarsene è l’affermazione di quell’ “eccetera” che ci pone sul limitare, sulla soglia, lasciandoci aperti a un ulteriore che non si esaurisce con l’elencazione scritta. È l’affermazione che il nostro sguardo può allungarsi con ottimismo sul domani. E pazienza se compreremo una cosa in più, non prevista dall’asfittico recinto della lista della spesa. Abbiamo affermato un principio che è il motore stesso della vita: un equilibrio dinamico, spesso instabile che non può esaurirsi in facili e troppo banali confini che, se sono confortanti e protettivi da un lato, sono falsi e incatenanti dall’altro.

Così mia moglie è l’incarnazione della vertigine della lista, la quintessenza umanizzata del brivido dell’”eccetera”, un’inconsapevole cavaliere della soglia, una scrutatrice indefessa dell’oltre.

Magari inconsapevolmente, ma lo è. È questo l’infinito debito, insieme a tutti gli altri, che me la fa apprezzare come motore primo di quella che altrimenti sarebbe la mia vita da cieco.

Temo solo il giorno in cui al supermercato, alla mia solita domanda retorica: «Tira fuori la lista», lei risponderà «Eccola!».

Sarebbe senza dubbio l’inizio della fine, il segnale che ormai la mia stagione è giunta al termine, che non è rimasto più nemmeno un “eccetera” per guardare al futuro.

Ma confido speranzoso nella sua vertigine inconsapevole e nella mia banalmente consapevole.