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La Regola Primitiva dell’Ordine del Tempio

di Alberto de Luca - 23/03/2010

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La storia dei «Poveri cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone» non è in  realtà una storia bensì un mito. Nulla di sconvolgente in questo, proprio  perché il naturale svolgimento delle gesta umane è destinato al mito e non a un processo rettilineo di archiviazione dei dati. L’impossibilità per l’uomo di sperimentare un determinato evento, infatti, lo priva della verifica scientifica, consegnandolo quindi alla sfera mitica. La storia è vera dunque  solo se è «storia del mito», vale a dire studio della narrazione mitica dell’ uomo.
In questo solco si inserisce la rigogliosa bibliografia sui Templari, nati a Gerusalemme nel 1120. Ad essere onesti, però, molta di questa  documentazione, che si pretenderebbe «scientifica», è frutto di congetture e  voli pindarici nel migliore dei casi. Troppi testi parlano infatti di tesori  nascosti e pericolose contaminazioni di cui si sarebbero macchiati i «cavalieri  di Cristo», utilizzando l’arte dell’assonanza fonetica piuttosto che quella  figurativa. Ne sono derivate così curiose formule impetrative, stilizzazioni  sincretistiche ed apparentamenti arbitrari. Tra tutta questa congerie di documenti e rivelazioni si ritaglia invece uno  spazio molto importante lo studio della Regula di questo ordo che è l’unico  documento ufficiale in grado di fornirci il telos informante i Templari.
In questo filone di studi seri si inserisce quindi il lavoro di Paolo Galiano: un libro che esula dal campo della fanta-storia e che si contraddistingue per la rigorosità. La traduzione sempre attenta al testo originale non viene mai nterrotta dalla solita ipertrofia del curatore. Risulta pertanto interessante esaminare le due redazioni di questa Regola: l’ una in latino, che è quella «primitiva» stabilita nel Concilio di Troyes del  1129, e l’altra in francese, risalente circa al 1139. Tra queste due versioni intercorrono però alcune differenze talora anche  rilevanti, come la soppressione della particella negativa «non» dell’articolo  63 della Regola latina, una elisione che muta radicalmente nella versione  francese il senso dei rapporti dei Templari con i «cavalieri scomunicati». Per questo ed altri motivi, la pubblicazione della parte latina della Regola è  di grande utilità soprattutto se si vuole effettuare una riflessione seria e  fondata in merito alla genesi e allo sviluppo templare nel tempo.
Il primitivo articolo 63 diviene così il fulcro di una serie di  considerazioni, che proviamo ad offrire come primo momento di scambio reciproco  con l’Autore del libro. Due sono i punti importanti all’interno di questa  norma: la particella negativa «non» e la sussistenza a quel tempo di «cavalieri  scomunicati». A questo va anche collegata la contiguità con i Templari di  Bernardo di Chiaravalle. La cancellazione del «non» nella versione francese potrebbe infatti dipendere  da un errore madornale nella traduzione dal latino, oppure potrebbe essere stato appositamente eliminato. Scartando la prima opzione, banale ma tuttavia preconizzabile, si tratta ora di capire a quale economia soteriologica risponda  la facoltà di frequentare anche «cavalieri scomunicati».
In merito ai «cavalieri scomunicati» riteniamo sia corretto identificarli con i Catari, anche perché diversamente si sarebbe potuto parlare di «infedeli» nel  caso di musulmani. E in quel momento, il Catarismo era già solidamente radicato nel territorio occitano, tanto da risultare precedente a quel Concilio di  Trento, in cui lo stesso Cristianesimo d’Occidente si definì quale «Chiesa  cattolica».
Per quanto riguarda invece Bernardo di Chiaravalle, bisogna ricordare il suo particolare rapporto con il Catarismo che non fu improntato a un duro  combattimento come si crede generalmente. Egli invece costituì proprio per loro i «conversi», corpo laico all’interno dei monasteri cistercensi, nei quali essi potevano esprimersi nelle loro pratiche religiose. Egli guardava a loro con  interesse: sebbene la loro predicazione non fosse accettabile da parte della Chiesa, il loro modo di vivere era encomiabile, fondato sull'esercizio di povertà, umiltà e carità.
Con questi presupporti, tutti da verificare, si potrebbe dunque pensare che l’elisione del «non» prefiguri l’intento strategico di creare uno spazio di  «riconciliazione» ed «assorbimento» dei cavalieri provenienti dalle zone catare nell’Ordine del Tempio, ordine quest’ultimo molto più vicino alla nascente «Chiesa cattolica». Questo spiegherebbe del resto il vulnus innato racchiuso  nello stesso Ordine: nato prima sulla scia della Crociata per difendere le vie di pellegrinaggio e poi costituito ufficialmente anche per riassorbire la pericolosa «eresia» catara, sarà accusato infine proprio per questa sua specie di ambiguità «giurisprudenziale» da parte della nascente gerarchia cattolico-romana. Il libro fornendo questo documento importante permette di contestualizzare i Templari e cosa ancora più importante permette di effettuare dei collegamenti con gli avvenimenti di quei tempi così fluidi e dinamici, che spesso le  fantasiose ricostruzioni cinematografiche inibiscono, volontariamente.

P. Galiano, La Regola Primitiva dell’Ordine del Tempio, Simmetria, Roma, III edizione, 2009, pp. 91, euro 19