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Lettera a Massimo Fini: e se un generale Evren non fosse indispensabile?

di Stefano D'Andrea - 30/03/2010

Stimatissimo Massimo Fini, ho letto alcuni giorni or sono il suo articolo intitolato “I partiti si cambiano solo così” e ho pensato, con immediatezza, di inviarle questa lettera per cercare di persuaderla che quell’articolo sarebbe profondissimo e da condividere se fosse esatta la premessa dalla quale lei muove, la quale, invece, è assolutamente errata.

Riassumo brevemente l’articolo per chi non lo avesse letto.

Massimo Fini solleva innanzitutto una domanda: “quale indipendenza può mai avere la Rai-Tv, Ente di Stato, e quindi di tutti i cittadini, quando il Consiglio di amministrazione è nominato dai partiti, il presidente pure, la Commissione di Vigilanza anche, l'Autority per le Comunicazioni e ogni altra Autority idem, quando non c'è dirigente, funzionario, conduttore di programmi, giornalista, usciere il cui posto di lavoro non dipenda dall'appartenenza a una qualche formazione politica, da un rapporto di fedeltà e sudditanza, più o meno mascherato, diretto o indiretto, a qualche partito o a fazione di partito? E la questione della Rai-Tv è solo la più emblematica e evidente dell'occupazione sistematica, arbitraria, illegittima che i partiti, queste associazioni private, hanno fatto di tutti gli apparati dello Stato, del parastato, dell'amministrazione pubblica, che poi ricade a pioggia anche sull'intera società (facciamo un esempio semplice semplice, tanto per capirci: a Firenze se sei architetto e non sei infeudato a sinistra non lavori)”. Perciò, scrive Massimo Fini, “la riforma più urgente è quella dei partiti nel senso di un loro drastico ridimensionamento, della loro cacciata da posizioni che occupano abusivamente, arbitrariamente, illegittimamente. Ma in democrazia solo i partiti possono riformare i partiti. E non lo faranno mai perché questo vorrebbe dire perdere il potere con cui condizionano l'intera società italiana, abusandola, stuprandola, ricattandola, richiedendo ai cittadini i più umilianti infeudamenti per ottenere, come favore, ciò che spetta loro di diritto” (grassetto aggiunto). Come riformare i partiti, se essi non si autoriformano? Fini reca l’esempio della Turchia, la quale, quasi tre decenni fa, afflitta da corruzione e clientelismo che sarebbero stati superiori a quelli dell’Italia del tempo ma inferiori a quella dell’Italia attuale, vide la presa del potere da parte del generale Evren: “Il generale Evren prese il potere, spazzò via tutta la nomenklatura partitocratica, e promise che, fatta una pulizia che in altro modo era impossibile, avrebbe restituito, entro cinque anni, il potere alle legittime istituzioni democratiche. Promessa che puntualmente mantenne. E oggi la Turchia, pur in mezzo alle mille contraddizioni di un Paese la cui realtà è resa difficile dalla presenza di una fortissima minoranza curda, è un Paese "normale" con una maggioranza, un'opposizione, un premier che rispetta le leggi e la magistratura, e partiti che stanno al loro posto e nel loro ruolo, che è quello di coagulare il consenso, e non esondano in tutta la società civile. Non è la Turchia che non ha i requisiti democratici per entrare in Europa. È l'Italia che non li ha più per restarci”.

Stimatissimo Massimo Fini, come sempre accade alle persone intelligenti, che ragionano con coerenza, fermezza e coraggio sulla base delle premesse assunte, credo che lei sia caduto in un grave errore a causa del fatto di aver ragionato sulla base di una premessa del tutto sbagliata. E siccome io sono convinto che lei sia uno degli italiani che dovrebbero guidare il tentativo di risollevare l’Italia dalla situazione di sfacelo nella quale è caduta, mi permetto di scriverle queste note, nella speranza che lei le legga e magari possano avere una risposta.

La sua premessa è errata perché i partiti, mentre proseguivano l’opera di occupazione dello Stato (ma in democrazia i partiti occupano lo Stato naturalmente e con logica coerenza, come ha insegnato Ugo Spirito), hanno inferto all’Italia colpi probabilmente mortali che hanno causato alla nazione, al popolo, alle prospettive future e ai cittadini tutti – soprattutto agli uomini che vivono sul territorio italiano – danni enormemente superiori a quelli derivati dalla occupazione e dal clientelismo. Enuncio alcuni di questi danni, uno dietro l’altro, senza (o quasi senza) spiegazioni, nella speranza che lei, giunto, nella lettura, alla fine dell’elenco, convenga che la premessa dalla quale ha preso le mosse è del tutto errata.

I politici italiani negli ultimi venticinque anni: 1) hanno mutato il sistema elettorale, con il grave danno di aver introdotto, con lo sbarramento, un enorme ostacolo all'affermazione di nuovi possibili partiti e quindi all'entrata nel dibattito politico, di nuove idee; 2) hanno mutato la distribuzione dei poteri tra Stato e Regioni, senza alcun beneficio, bensì con gravi danni dovuti: i) alla illogicità della ripartizione di competenze; ii) alla disfunzionalità dell'attività della Corte Costituzionale, impegnata, negli ultimi anni, sempre più a risolvere conflitti di competenze tra Stato e Regioni; iii) al fatto che le regioni sono il regno della corruzione e dell’inefficienza; iv) e al fatto che l'Italia, con la sua breve e specifica storia, non era pronta al decentramento dei poteri legislativi; 3) hanno modificato il diritto del lavoro, mercificando la vita dei cittadini italiani. Dei lavoratori subordinati, sempre più precari, con bassi salari e con misere pensioni. Dei lavoratori autonomi, non più protetti dai minimi tariffari, da severi (o comunque seri) esami di stato e dal sacro principio del carattere personalissimo della prestazione professionale, sempre più sacrificato a vantaggio dei grandi studi, angloamericani o costituiti sul modello angloamericano, dove il grosso del sovrappiù (perché di sovrappiù si tratta) è incassato da chi conferisce nell'“impresa” il capitale (si tratta sovente di immobili acquistati per decine di milioni), la notorietà e le pubbliche relazioni e dove il principio della personalità della prestazione (e quindi il lavoro) è calpestato. E dei commercianti, colpiti, tra l'altro, dalla liberalizzazione delle licenze e dalla valorizzazione dei marchi, in particolare dalla assenza di una norma che rendesse esplicita l'invalidità dei contratti di franchising; 4) hanno abrogato l'equo canone, così consentendo una lievitazione del valore degli immobili (anche di quelli costruiti cento o cinquanta o trenta anni fa) il quale sovente si è raddoppiato in pochissimi anni. La conseguenza è stata che i lavoratori, autonomi o subordinati, hanno dovuto contrarre mutui che non avrebbero contratto o che avrebbero contratto per un minor ammontare (sovente per la metà dell'ammontare, se pensiamo che si è giunti a prestare il 100% del valore dell'immobile), così impoverendosi al punto che sarebbe stato preferibile che gli immobili mantenessero il valore che avevano, salvo il giusto recupero dell'inflazione e delle spese di conservazione e che ogni lavoratore guadagnasse duecento euro in meno al mese!; 5) hanno concesso l'autonomia alle Università, le quali ne hanno approfittato per moltiplicare i corsi di laurea; per moltiplicare le materie (le quali spesso non coincidono con discipline scientifiche; ma sono soltanto un insieme di nozioni al quale è estraneo ogni problema metodologico); e per moltiplicare le sedi, dando così luogo alla sacrilega esistenza di Università senza biblioteche e alla innaturale esistenza di studenti che frequentano l’Università senza sapere e senza poter sapere che cosa è una Università; 6) hanno sottratto ai piccoli creditori il potere di far fallire gli imprenditori insolventi, lasciandolo esclusivamente ai grandi e medi creditori, quindi essenzialmente alle banche; 7) hanno spinto i cittadini a indebitarsi e hanno lasciato (e in realtà fatto sì) che le società finanziarie, specializzate nella cessione del quinto dello stipendio, nel leasing, nel finanziamento al consumo, finalizzato e no, nelle carte di credito revolving, divenissero presenze costanti in ogni quartiere delle nostre città; 8) hanno dato i cittadini in pasto al gioco, triplicando le estrazioni del lotto settimanali, consentendo la diffusione delle "slot", introducendo e moltiplicando i gratta e vinci e le licenze di esercizio dell’attività di gestione delle scommesse sportive; 9) hanno introdotto la televisione privata nazionale (una contraddizione in termini, che i partiti dell'arco costituzionale avevano a lungo ostacolato e impedito); 10) non si sono opposti alla necessità sacra di evitare che i nostri bambini fossero trasformati dal capitale in clienti. E già questa è una colpa mille volte maggiore di quella che lei colloca in premessa del suo ragionamento.

Possibile che lei creda che i danni testé elencati (ma l’elenco avrebbe potuto essere molto più lungo) siano inferiori a quelli derivanti dall’occupazione partitica e clientelare? 

Proprio perché io muovo da differenti premesse, credo di poter asserire che se emergesse un generale Evren, il quale tra cinque anni, ci restituisse un Italia come quella ipotizzata dall'ottimo Massimo Fini, e tutto il resto restasse immutato, avremmo perduto cinque anni della nostra storia.

Dobbiamo perciò prendere atto che i partiti si cambiano, nel senso che si sconfiggono, creando un partito alternativo: un Fonte Popolare Italiano, come abbiamo proposto nel nostro sito, Fronte del quale dovrebbe far parte Massimo Fini. Il Fronte dovrebbe sorgere per sostenere le idee “opposte” a quelle sostenute dai partiti di governo negli ultimi venticinque anni e che hanno dominato la legislazione e quindi la nostra vita. Poi magari servirebbe che il Fronte fosse in grado di sostenere per cinque anni un generale Evren.

Insomma, serve certamente il Fronte Popolare Italiano e forse anche un generale Evren. Senza il primo, il secondo non può venir fuori e se anche emergesse, non saprebbe a chi appoggiarsi e non potrebbe porre rimedio ai problemi più gravi, alcuni dei quali ho sopra elencato. Senza il Fronte Popolare servirebbe non un generale Evren, bensì un Chavez, ossia un colonnello o un generale che costituisse il Fronte Popolare. Ma allora perché non impegnarci a costruire il Fronte? Perché attendere che altri ci doni ciò che siamo chiamati a costruire? Perché, giunte come sono le cose nella situazione di sfacelo, non adempiere il supremo dovere al quale la Storia ci chiama? E se, costituito il Fronte Popolare Italiano, un generale Evren non fosse indispensabile? Se in dieci o quindici anni li spazzassimo via noi, autoproclamatici la miglior parte del popolo italiano? Cosa sono dieci o quindici anni per chi ancora sa credere in qualcosa?