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L'Italia finisce nel mirino di Goldman Sachs

di Mauro Bottarelli - 30/03/2010

  

A lanciare l’allarme ci ha pensato un osservatore molto speciale, ovvero il più grande detentore del mondo del debito europeo: per il vice-governatore della Banca centrale cinese, infatti, «la Grecia è solo la punta dell’iceberg, ora la più grande preoccupazione è ovviamente rappresentata da Spagna e Italia». Eccoci, qualcuno comincia a prendere la mira.

Il vertice europeo dei capi di Stato e di governo, nei fatti, non ha sortito alcun effetto: la risposta alla crisi greca è stata ovviamente quella più semplice e scontata, ovvero un intervento misto di Fmi ed Europa, con quest’ultima che si limita a prestiti bilaterali di ultima istanza al fine di evitare l’infrazione dell’articolo 125 dei Trattati comunitari.

Detta così, appare molto formale. Nei fatti, si è dovuto mediare tra la volontà tedesca di non pagare per gli errori di Atene e il dato di fatto in base al quale i fondi del Fmi non erano sufficienti a coprire il fabbisogno finanziario di cui la Grecia necessita assolutamente entro giugno per rifinanziare il debito. Una cosa è certa e lo ha confermato Lorenzo Bini Smaghi: «Il compromesso raggiunto ha evitato una Lehman europea».

Verissimo. Ora, però, si teme che la politica tedesca porti alcuni tra i paesi più esposti in una spirale deflattiva. A dire il vero, il rischio è esattamente l’opposto: per mangiare il debito pubblico, facendolo di fatto pagare ai cittadini-contribuenti, la ricetta migliore è quella dell’inflazione e non manca molto alla riproposizione in grande stile di questa strategia di leva macroeconomica. Ma, pur avendo evitato la nostra Lehman, il peggio è davvero passato?

Stando ai calcoli di Erik Nielsen di Goldman Sachs, la Grecia deve racimolare 24,7 miliardi di euro entro la fine di maggio: le ammortizzazioni di lungo termine del debito rappresentano il 7% del Pil quest’anno, il 10,2% nel 2011, l’11,8% nel 2012, il 9,7% nel 2013 e il 10,4% nel 2014. Insomma, la Grecia deve affrontare sia una crisi di liquidità che di solvibilità. Per Nielsen, che ha preparato al riguardo il report “Here comes the Imf”, «non è affatto chiaro e scontato che i rappresentanti politici europei abbiamo compreso la reale entità del problema».

Su questo, non abbiamo dubbi. Anche perché, a differenza dei burocrati, il signor Nielsen sa leggere davvero i bilanci e spulciando i dati ufficiali resi noti lo scorso mese dalla Grecia ha scoperto che «in termini di cash, il debito greco è al 16% sul Pil e non al 12,7% che viene spacciato in termini di accumulazione». Tradotto, la Grecia sta affondando. Per riuscire a uscire dal baratro, la Grecia dovrà dar vita a una sorta di svalutazione interna di almeno il 20-25% per ritrovare competitività: ma questo significa draconiani tagli salariali e, quindi, una crisi sociale alle porte.

Insomma, siamo a una sorta di riproposizione del default controllato che nel 2003 colpì l’Uruguay: peccato che all’epoca il tutto era fatto sotto la tutela di un molto più sano Fmi, ora si naviga a vista. E, oltretutto, con scarsissima conoscenza dei reali limiti che l’Europa conoscerà nel prossimo decennio a livello di crescita. A dircelo è il cemento.

Già, il cemento e la sua richiesta. Sembra assurdo ma non è così poiché il cemento è la cartina di tornasole della crescita economica, portando con sé il dato aggregato dell’infrastrutturazione: opere ma anche case, quindi il dato disaggregato della natalità. Ebbene, guardate il grafico allegato ( http://www.ilsussidiario.net/img/grafici/Bottarelli_300310.jpg ). Parla delle prospettive di crescita nel decennio 2010-2020: l’Asia è al 7,7%, l’Europa dell’Est al 6,7%, l’Africa e il Medio Oriente al 5,7%, l’America Latina al 5%, l’America della grande crisi al 4,4%. E l’Europa dei soloni anti-mercato? All’1,7%, ovvero un nano tra i giganti. E parliamo di prospettive decennali: da qui al 2020 l’Europa sarà di fatto ferma, a un terzo della crescita annua statunitense.

Questo nonostante Irwin Stelzer, l’eminenza grigia di Rupert Murdoch, l’altro ieri nel suo domenicale “American account” sul Sunday Times prendesse nuovamente - e sempre più pesantemente di mira - Barack Obama, dicendo chiaramente che «non smetterà con la sua politica finché non avrà tramutato l’America in Europa». Un segnale a chi di dovere, pare. Capite ora perché la crisi greca è davvero la punta dell’iceberg?

Parlando economicamente, ormai all’Europa sono venuti a mancare i fondamentali. Lo dice nel suo ultimo outlook anche Nouriel Roubini, secondo cui «le difficoltà già presenti in paesi come Grecia, Spagna, Irlanda e Portogallo saranno aggravate dai non più prorogabili pacchetti di austerità fiscale che porteranno una contrazione della crescita in un momento in cui il settore privato, anche quello finanziario, è ben lungi dall’aver ritrovato un proprio punto di equilibrio».

Insomma, sono tempi bui. Soprattutto quando tornano le coincidenze e gli accadimenti a orologeria. Appare quantomeno sospetto, infatti, il ritorno del terrorismo qaedista con l’attentato alla metropolitana di Mosca, proprio quando Gazprom, l’ente energetico statale russo, aveva cominciato una campagna molto aggressiva in Europa, in particolar modo nel Regno Unito dove era pronta a un investimento da 1 miliardo di sterline per diventare il principale fornitore di carburante del paese.

Si tratterà certamente di una coincidenza, ma nel dubbio conviene sempre cercare la verità tra le righe della realtà, oltre che tra quelle della storia. Attenzione, si muovono persone e cose là fuori. E, purtroppo, cominciano a muoversi - ancora - i cds sul rischio di default sovrano. Anche italiani questa volta. Lo ha detto Goldman Sachs. Speriamo che Mario Draghi approdi dove deve, ovvero alla Bce, altrimenti la macabra danza suicida della Germania porterà tutti, noi compresi, nel vortice della stagnazione.