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Quei rating al veleno

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi - 31/03/2010


 
ECONOMIA. Che siano ancora le agenzie internazionali di rating a “dettare” le sorti dei governi è davvero inaccettabile.
 
Che siano ancora le agenzie internazionali di rating a “dettare” le sorti dei governi è davvero inaccettabile. Le “tre sorelle” del rating, Standards&Poors, Moody’s e Ficht Ratings, non solo non hanno saputo analizzare gli andamenti fallimentari di banche come Bear Stearns, Lehman Brothers e in generale dell’intero sistema finanziario decotto, ma hanno anche promosso per anni con la AAA prodotti finanziari altamente tossici che sono stati poi distribuiti in varie forme a masse di ignari risparmiatori.

Adesso sono ritornate in campo alla grande per stigmatizzare i problemi di bilancio e del debito pubblico della Grecia e di altri paesi europei. Non occorre essere maghi per rilevare che un paese con un deficit del 13% e un debito pubblico del 125% del Pil, nel mezzo della crisi finanziaria ed economica più grave della storia, siano in difficoltà. 

Si considerino i tempi. A ottobre del 2009, quando si “scoprì” che il deficit delle Grecia avrebbe potuto rivelarsi superiore a quello previsto, le agenzie di rating subito entrarono in azione.

Infatti a fine ottobre Moody’s suggerì un abbassamento del rating sul debito pubblico greco. Il 7 dicembre successivo la S&P dichiarò la stessa cosa, subito seguita dalla Ficht che abbassò il suo rating da A- a BBB+. Nel 2011 dovrebbe ritornare in vigore il limite minimo di A- perché i paesi dell’Ue possano utilizzare i loro titoli di stato per operazioni di finanziamento presso la Banca Centrale Europea.  I paesi retrocessi nella zona B rischieranno l’isolamento e il collasso.

I mercati finanziari, in primis quelli dei derivati e dei credit default swaps, hanno preso la palla al balzo e iniziato la corsa all’aumento dei costi dei cds e dei tassi di interesse per i titoli di debito della Grecia. Intanto è partito l’attacco speculativo all’euro, mentre il dollaro e l’economia americana che stranamente godono di un super rating di AAA,  sono in condizioni molto più precarie e fallimentari di quelle dell’Europa. Nel contempo certa stampa economica internazionale e i mercati sono ritornati a citare le agenzie di rating come le fonti più qualificate e competenti per giustificare cambiamenti e decisioni finanziarie vitali per i paesi sottoposti ai loro esami e alle loro pagelle.

Si ricordi che tutti i G8 e i G20 hanno prodotto dichiarazioni e documenti dove si stigmatizza il comportamento delle agenzie di rating e si chiede una loro profonda riforma. Il G20 di Londra nell’aprile dell’anno scorso sottoscrisse l’accordo per «un controllo e una registrazione delle agenzie di rating per garantire che esse rispettino il codice internazionale di buon comportamento al fine particolare di evitare inaccettabili conflitti di interessi». Ma le agenzie di rating, entità economico-finanziare private, sono rimaste sempre le stesse. Già nel 2006, quando, a seguito di un abbassamento del rating dell’Italia, il nostro paese avrebbe dovuto pagare da un giorno all’altro alcuni miliardi di euro in più per il conseguente aumento degli interessi sui titoli del debito pubblico, noi denunciammo gli effetti devastanti delle loro valutazioni.

Documentammo tra l’altro l’incredibile conflitto di interessi in quanto le “tre sorelle” avevano direttori esecutivi e partecipazioni azionarie importanti provenienti dalle più grandi banche americane e anche dalle grandi corporations internazionali. In particolare sottolineammo il pesante coinvolgimento della JP Morgan e della City Group, proprio quelle banche che vantavano, e vantano tuttora, le quote più elevate di derivati Otc (non quotati ndr), rispettivamente per 80.000 e 35.000 miliardi di dollari.

I governi europei, mentre si sta per decidere se affidare alla Bce il compito di valutare i debiti sovrani, dovrebbero subito diffidare le agenzie in questione dall’astenersi da qualsiasi valutazione di rating sugli stati nazionali. Anzi sarebbe opportuna una specifica indagine sulle loro passate attività e “collusioni” con il sistema finanziario.