Dopo l’approvazione, nel luglio 2009, della cosiddetta “Legge Sviluppo” e del decreto legislativo n.31 del 15 febbraio 2010 , sono state ormai poste completamente le basi per il ritorno dell’Italia alla produzione di energia elettrica da fonte nucleare. Certo, sono ancora solo in parte definiti i criteri e le procedure per la localizzazione, la realizzazione e la gestione degli impianti nucleari. Su questi punti, il nostro Paese è adeguato, in quanto a competenze? O decenni di lontananza dal nucleare hanno fatto perdere le necessarie conoscenze?

Per approfondire questo tema delicatissimo, il Gestore dei Servizi Energetici ha richiesto a due importanti imprese di consulenza industriale, Accenture e Safe, di condurre uno studio riguardante proprio la disciplina della generazione elettrica per via nucleare. I risultati dello studio sono stati appena presentati, con l’obiettivo di fornire una panoramica del contesto internazionale e del quadro regolatorio di quattro Paesi ritenuti rappresentativi in tema di generazione elettrica da fonte nucleare: USA, Germania, Francia e Spagna.

Dall’analisi emerge come il nuovo quadro normativo italiano per il nucleare si sia adeguato, inseguendo i modelli esteri, alle principali caratteristiche delle altre nazioni. Anche se naturalmente nazioni diverse gestiscono le cose in modo diverso. Così, il modello italiano inizia ad assomigliare ad un “ibrido” che acquisisce elementi sparsi qua e là. Ad esempio, l’idea di avere un’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari, previa certificazione del sito, si chiama “modello combinato”, ed è adottato in particolare dagli USA, ma non dagli altri Paesi. Quel che è comune un po’ a tutti è che la licenza per l’esercizio di un impianto viene data con durata temporale limitata, ma i vari Paesi presentano una variabilità elevata proprio su tale durata, tra i 10 ed i 40 anni.

Per quanto riguarda la gestione delle scorie e lo stoccaggio definitivo, questo viene ovunque affidato a enti e società statali: si preferisce tenere uno stretto controllo pubblico sui materiali radioattivi e, pertanto, nessuno sogna neanche lontanamente di “privatizzarne” la gestione. In questo campo, la comparazione evidenzia alcune differenze rispetto alle politiche per lo stoccaggio temporaneo: mentre in Germania e USA viene fatto dai diversi operatori sul mercato dell’energia, la Spagna preferisce una gestione centrale da parte degli enti nazionali. Nel caso italiano la gestione delle scorie è affidata all’operatore per la parte di stoccaggio temporaneo, mentre spetta alla Sogin sia il deposito definitivo che le attività di smantellamento delle centrali in dismissione.

“Secondo la nostra analisi - dichiara Claudio Arcudi, Managing Partner di Accenture, Responsabile del settore Utilities Italia - due sono in particolare le leve sulle quali i leader dell’industria nucleare stanno affrontando ed elaborando con successo le proprie strategie e sulle quali ispirarsi per fondare il modello italiano: l’interoperabilità tra i diversi soggetti in campo e la standardizzazione degli impianti”. L’interoperabilità ha l’obiettivo di massimizzare l’efficacia delle interazioni tra i vari attori (costruttori, operatori, autorità di sicurezza), cercando di mantenere un chiaro, trasparente e rapido flusso informativo, un elemento necessario per garantire il rispetto delle tempistiche, dei costi, ma soprattutto, si spera, della sicurezza. La standardizzazione, cioè la costruzione in serie di impianti con le stesse caratteristiche, è una strategia adottata in particolare da Francia e Usa.

In pratica, nulla dovrebbe essere lasciato al caso, e soprattutto le scelte non andrebbero fatte con leggerezza, come fatto fino ad ora dalla politica italiana. Lo sottolinea Raffaele Chiulli, Presidente di Safe: “Si sente forte l’esigenza di assicurare che le scelte sul nucleare vengano fatte in base ad informazioni chiare, obiettive ed oneste calandosi nel contesto sociale, economico e ambientale del Sistema Paese”, e la strada si fa in salita, soprattutto quando un governo inizia a “mettere fretta” su un passaggio delicato come quello nucleare. Sottolinea ancora lo stesso Chiulli: “Non bisogna trascurare le concrete difficoltà che il nostro Paese si troverà ad affrontare perché, rimettere in piedi un settore che ancora non si è finito di smantellare, ripristinare i livelli di esperienza tecnica, le dimensioni e le competenze industriali necessarie non sarà né facile né gratuito.

Intanto, sul fronte industriale, procedono febbrilmente le attività: durante il fine settimana scorso, è stata conclusa un’intesa strategica e di partnership tra i francesi di Areva e Ansaldo Nucleare: l’accordo è stato raggiunto non senza difficoltà e manca ancora il via libera politico che sarebbe dovuto avvenire a Parigi con un incontro tra il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, quello francese dell’Ecologia, Jean-Louis Borloo e i vertici delle quattro società coinvolte, Edf, Enel, Areva e Ansaldo Nucleare. Ma il tutto è stato rinviato al 9 aprile, nell’ambito della conferenza bilaterale Italia-Francia. L’accordo, spiega l’amministratore delegato di Enel Fulvio Conti, è “molto delicato”, perché deve prevedere “una separazione della ricerca netta essendo Ansaldo da anni partner di Westinghouse, il colosso Usa ora controllato da Toshiba, detentore di una tecnologia nucleare differente e in concorrenza con quella di Areva”.

Mentre il Gestore dei Servizi Energetici e l’industria vanno avanti lungo la strada tracciata forzatamente dal governo, il resto del Paese si preoccupa, e non poco. Il decreto legislativo n.31 del 15 febbraio 2010 è quello che indica in maniera dettagliata i siti dove saranno ubicate le future centrali nucleari e subito, anzi ancor prima della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, presidenti di Regioni e candidati presidenti di Regioni si sono affrettati a pronunciare i loro “no” decisi alla possibilità di ospitare impianti nucleari nel proprio territorio. D’altronde, era facile immaginarlo: l’ubicazione delle centrali nucleari è uno dei temi al centro della campagna elettorale per le regionali di domenica.

A tale proposito. il WWF Italia ha collezionato su e giù per la Penisola le dichiarazioni e le prese di posizione di tutti i candidati. Il risultato è per certi versi sorprendente, poiché anche molti candidati della stessa coalizione che ha la maggioranza in Parlamento hanno dichiarato che a casa loro non vogliono le centrali. Certo, per far presa sull’elettorato e guadagnare qualche voto in più sul filo di lana, si è pronti a smentire anche i propri mentori e padrini politici, anche questo si sa. Nonostante questo voler apparire di colpo anti-nuclearisti (posizione poco credibile e poco in linea con il proprio stesso partito) sarà opportuno prendere nota di queste dichiarazioni, magari giusto per ricordarle quando, dopo le elezioni, parecchi cambieranno idea.

A tale proposito è interessante notare che ben 5 dei 12 candidati del Pdl alla presidenza delle Regioni, non vogliono centrali o comunque siti nucleari nel proprio territorio: Pagliuca (Basilicata), Formigoni (Lombardia), Polverini (Lazio), Palese (Puglia), Zaia (Veneto). Contrari alla scelta nucleare tutti i candidati alla presidenza sostenuti dal Pd. La posizione dei candidati Udc è un po’ più variabile. Da un lato, la scelta antinucleare prevale nettamente all’interno del partito, che in 6 Regioni (Basilicata, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia e Veneto) si esprime per il no anche quando i suoi candidati corrono da soli. Dall’altro, l’Udc dice invece sì al nucleare in Calabria e Campania, in apparentamento con il Pdl.

Chissà quante di queste posizioni cambieranno radicalmente, in linea con i propri partiti di appartenenza, dal 30 marzo in poi. Di sicuro, la battaglia sul territorio è appena al principio e si svolgerà in tutta Italia. Un po’ assurdo che una battaglia tra pro e contro il nucleare debba svolgersi proprio nel Paese del sole, del mare, del vento. Ma con questa classe politica, è il minimo che possa succedere…

Fonte: www.altrenotizie.org