Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Sui liberali americani in crisi con Obama

Sui liberali americani in crisi con Obama

di Ralph Nader - 05/04/2010


Quei membri super speranzosi e super resistenti dell’intelligentzia liberale iniziano a staccarsi dal più piccolo e peggiore pensiero che mutò le loro valutazioni di B. Obama nella campagna presidenziale del 2008.
Essi credono ancora che il Presidente sia molto meglio di quello che sarebbe stato la sua controparte repubblicana.
Alcuni credono che prima o poi, in qualche luogo, Obama mostrerà i suoi galloni liberali.
Ma non si pensi che essi staranno lealmente in silenzio davanti all’escalation della guerra in Afganistan, al vicino collasso dei provvedimenti chiave nella riforma assicurativa sanitaria, alla modest riforma finanziaria o all’obbedienza agli speculatori di Wall Street salvati nel 2009. Ricordate che tale amministrazione prevede più facilmente bonus per i gatti grassi che investimenti adeguati in lavori pubblici.
Tra tutti i lealisti, tra i primi a “smarrirsi” ci fu Bob Herbert, editorialista del The New York Times.
Lui si meravigliò perché i suoi amici gli dissero che Obama tratta le loro cause e loro “come se essi non avessero un posto dove andare”.
Poi ci fu l’Obamiano risoluto, l’intelligente G. Wills che ruppe con Obama per l’Afganistan con un saggio duro di ammonizione.
Se voi leggeste la raccolta quindicinale delle analisi e degli editoriali liberali e progressisti sul The Progressive Populist, una delle mie pubblicazioni favorite: i guanti di velluto verbale stanno sparendo.
Jim Hightower scrive che “Obama ci sta affondando ‘nell’Assurdistan’.”
Egli si lamenta: “Avevo sperato che Obama fosse un capo più vigoroso che potesse rifiutare il solito vecchio approccio interventista di quelli che approfittano della guerra permanente. Ma la sua politica afgana annunciata  di nuovo mostra che lui non è quel capo”.
Chiediamo da dove il buon “Jim trae quella impressione” certamente non da qualcosa che Obama disse o non disse nel 2008.
Ma la speranza offusca la memoria della verità atroce che è quella che Obama si impegnò per Wall Street e il complesso militare industriale sin dall’inizio.
Egli ricevette il loro messaggio e fa sempre la corte ai loro contributi elettorali e ai consiglieri!
Norman Solomon espresse la sua forte deviazione dalla sua ammirazione antica per il politico di Chicago.
Lui scrive: “Il Presidente Obama accettò il Nobel per la Pace del 2009 mentre mandava” al mondo reale “un discorso a favore della guerra. Il contesto trasformava subito le intuizioni del discorso in “flackery” per più guerra”. Parole forti, davvero!
Arianna Huffington ha rotto a rate.
Ma la sua disillusione si sta espandendo.
Lei scrive: “Obama non distanzia se stesso dalla ‘Sinistra’ con la decisione di intensificare questo enorme disastro [in Afganistan]. Egli si sta allontanando dagli interessi nazionali del paese”.

John R.MacArthur, editore di Harpers’s Magazine, non fu mai un sostenitore di Obama ed è stato sconvolto da quello che chiama “l’adorazione liberale di Obama”.
In un articolo per il Providence Journal, egli cita alcuni scrittori ancora leali ad Obama, come Frank Rich del The New York Times, Hendrick Hertzberg del The New Yorker, e Tom Hayden che stanno mostrando un disagio mite nel cuore della speranza residua sui prossimi mesi di Obama.
Essi non hanno ancora tagliato i loro legami con il maestro di oratoria di “Hope and Change”.
G. Wills ha passato il suo Rubicone, definendo la scelta Afgana di Obama “un tradimento”.
Wills studia la Presidenza e dei discorsi politici (il suo libretto sul discorso di Gettysburg di Lincoln è un’interpretazione classica).
Così egli usa parole precise, cioè: “Se avessimo voluto le guerre di Bush, e gli appaltatori, e la corruzione, noi avremmo potuto votare per John McCain. Almeno avremmo visto il nostro nemico davanti a noi, non l’avremmo sentito alle nostre spalle, come accade ora”.
Il riposo assicurato dei commentatori liberali – progressivi ha altri due anni per impegnarsi in sfide e delusioni.
Entro il 2012, il silenzio muterà le loro critiche e le scelte dure della tirannia bipartitica saranno visibili e incarcereranno le loro menti nella sindrome del voto al meno peggio (come hanno fatto in anni di elezioni presidenziali recenti).
E’ duro accordare loro qualche punto di rottura morale sotto tali restrizioni auto imposte.
C’è una qualche autorità in tale approccio?
------
*Lo scritto originale era senza un titolo
Tradotto da F. Allegri il 04/04/2010