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Caracas-Mosca, l'incubo di Obama

di Carlo Benedetti - 06/04/2010


Mentre dalla Casa Bianca si registra l'assordante silenzio ufficiale di Obama, sicuramente preoccupato per l'intervento dei russi nella vita economica (e politica) del continente sudamericano, il Cremlino incassa i successi della "Operazione Venezuela" avviata e portata a termine  nei giorni scorsi dal premier Vladimir Putin con la piena collaborazione del leader venezuelano Hugo Chavez.

In termini concreti tutto questo per Caracas e Mosca significa una lunga lista di accordi di cooperazione: 31 in tutto, fra il settore industriale, l’agricoltura, l’energia, la sicurezza e la difesa. Ma l’intesa più importante riguarda la creazione di una nuova compagnia mista petrolifera: il 60% nelle mani del Venezuela (della statale Pdvsa) e il 40% di proprietà russa.

Mosca parteciperà con un mega-consorzio formato da Gazprom, Lukoil, Surgutneftgaz, Rosneft e Tnk-Bp. Il Venezuela, per rendere più interessanti gli accordi futuri, ha offerto il Blocco Junin 6, un giacimento del bacino dell’Orinoco che prevede una produzione di 450.000 barili giornalieri di greggio nell’arco di cinque anni. Per esplorare la zona ed estrarre il petrolio serviranno enormi investimenti: circa 20 miliardi di dollari. Ma Putin non si è lasciato impressionare e ha già consegnato i primi 600 milioni di dollari per Pdvsa.

La posta in gioco, per Mosca, assume infatti una valenza epocale. Perché per i due paesi l'oro  nero non basta più. E così si parla di un piano avveniristico di sviluppo dell'industria nucleare con fini pacifici. Di fatto una vera "bomba atomica" per l'economia dell'era post-petrolifera. Hugo Chavez - parlando con Putin nell'arco di 12 ore che hanno sconvolto il sudamerica - ha puntato tutto su questo aspetto energetico teso a sviluppare nel suo paese una centrale nucleare di altissimo livello. Ma le prospettive sono ancora più ambiziose. Perché il presidente venezuelano ha accennato anche all’ipotesi di una collaborazione con Mosca nel campo dell’industria spaziale.

C'è di più. Chavez e Putin - che hanno potuto contare a Caracas anche sulla presenza del loro omologo boliviano, Evo Morales, intervenuto appositamente per intavolare anch’egli proficue relazioni con Mosca - non si sono fatti sfuggire l'occasione ed  hanno proceduto a grandi passi verso la firma di accordi in campo finanziario, nell’agricoltura, nell’industria aerospaziale e nell’energia. Affrontando, in questo contesto, il tema della realizzazione della banca binazionale tra Russia e Venezuela. L’occasione del vertice a tre è stata sfruttata (anche in chiave prettamente propagandistica e promozionale) per la consegna degli ultimi 4 elicotteri Mi-17, dei 38 venduti da Mosca a Caracas nel 2006. E nel “pacchetto-Difesa” c'è anche un accordo per 92 tank russi T-72 e lanciamissili Smerch ed è questa solo la punta di un complesso iceberg di relazioni.

Ed ora nella prospettiva di politica estera del Cremlino c'è anche una nuova appendice. Perché oltre al Venezuela entra in campo la Bolivia, dal momento che Evo Morales ha sottoscritto con Mosca mutui accordi in materia di energia, finanza e difesa. Ha probabilmente discusso di un prestito russo di 100 milioni di dollari destinato alle forze armate boliviane e gettato le basi per una missione tecnica del Gazprom in Bolivia, al fine esplorarne le riserve di gas e petrolio.

Intanto Washington continua a seguire con un certo silenzio. Obama non vuole rompere con la Russia di Putin e Medvedev, ma nello stesso tempo alza alcuni paletti. Lo rivela il quotidiano brasiliano O Estado de São Paulo, che rivela l'avvio di contatti “di alto livello” tra il governo di Brasilia e quello di Washington diretti alla firma di un negoziato per la creazione di una base militare congiunta a Rio de Janeiro. La base sarà parte di un triangolo tra Stati Uniti, Portogallo e Brasile, coprirà la zona dell’Atlantico del sud e servirà, ufficialmente, per la cooperazione multinazionale “contro il traffico di droga e il terrorismo”.

Il canovaccio è sempre lo stesso: la lotta al narcotraffico usata come paravento per coprire le mosse strategiche statunitensi mirate al controllo dell’America Latina. E così anche Obama si allinea alle tradizionali politiche della Cia e del Pentagono. Tattica "sottile" per il momento. Ed è chiaro che Obama non sarà disposto a rivedere la linea tradizionale del suo paese che ha sempre considerato il sudamerica come un cortile di casa. La preoccupazione futura per Washington consiste appunto nel fatto che, dopo l’alleanza strategica con Teheran, Chavez sta rafforzando i legami con Mosca. E si sa che i rapporti internazionali del governo venezuelano spaziano dall’Iran alla Russia, dalla Bielorussia al Vietnam, passando per la Cina: lo dimostrano i frequenti viaggi del presidente in varie capitali praticamente lontane dalla politica americana. E si sa - ad esempio - che Chavez ha sempre difeso il “diritto” di Teheran di sviluppare la sua energia nucleare, convinto che gli scopi del governo di Mahmoud Ahmadinejad siano solo pacifici.

Le intense relazioni politiche ed economiche fra i due Paesi sono state consolidate in decine di accordi. Teheran e Caracas collaborano ormai nei settori più differenti, dal campo finanziario all’industria. Compagnie miste venezuelano-iraniane fabbricano mattoni, producono latte e lanciano sul mercato auto e biciclette. I due paesi - membri Opec - cooperano anche nel settore energetico petrolifero. Da qualche anno Caracas-Teheran è diventata anche una rotta aerea (con scalo a Damasco): ulteriore prova del grande interesse reciproco.

Un’amicizia che ha acceso i campanelli d’allarme in Israele. Secondo un rapporto segreto del ministero degli Esteri di Tel Aviv, il Venezuela e la Bolivia potrebbero vendere uranio a Teheran per il suo programma nucleare: i due Paesi sudamericani hanno smentito. Nel frattempo l’avvicinamento della Russia al Venezuela ha spinto alcuni analisti a parlare di nuovi venti di Guerra fredda. D’altra parte, lo stazionamento della IV Flotta Usa al largo del mar dei Caraibi e gli accordi militari con Bogotà in chiara funzione di minaccia al Venezuela (sette basi militari Usa in territorio colombiano di cui ubicazione, numero di addetti, equipaggiamenti e finalità sono coperti dal segreto di Stato) hanno già alterato in profondità gli equilibri militari del continente e suscitato le ferme proteste di Brasilia e Buenos Aires, oltre che di Caracas e La Paz.

Su tutta questa vicenda di politica diplomatica e di realpolitik - che va dall'economia all'industria militare - Chavez interviene con una affermazione perentoria: "Non stiamo costruendo - dice - nessuna alleanza contro gli Stati Uniti". Ma l'orizzonte che si delinea è quello di una "guerra silenziosa", che potrebbe portare a quegli sbocchi tradizionali che gli Usa hanno sperimentato più volte.