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Contro la discriminazione degli arabi israeliani, la battaglia di Sawt el-Amel

di Claudio Accheri* - 13/04/2010




“Il nostro obiettivo è di eliminare la discriminazione sistematica perpetrata dallo Stato ebraico, garantire l’accesso al lavoro e alla previdenza sociale coinvolgendo le donne in tutte le fasi del processo decisionale”.

E’ con queste parole che ha aperto il suo intervento a Roma Wehbi Badarni, leader di Sawt el-Amel (“La voce dei lavoratori”), il giovane sindacato palestinese che opera all’interno dei Territori occupati nel '48 dallo Stato di Israele.

Sawt el-Amel è una organizzazione indipendente fondata dai lavoratori arabi di Nazareth nel 2000 per difendere e promuovere il diritto al lavoro e alla sicurezza sociale per i cittadini arabi in Israele. Per raggiungere questi obiettivi generali, Sawt el-Amel utilizza vie legali, organizza proteste e cerca di educare il pubblico lavorando a livello locale, nazionale e internazionale. 

E il lavoro non manca: in Israele un cittadino su cinque è un arabo palestinese, tra questi sono quali 1,4 milioni i cittadini esclusi dai benefici della cittadinanza e dell'economia nazionale.

Quali sono i problemi che fronteggia Sawt el-Amel?
Il problema maggiore è legato all’estrema povertà e alle innumerevoli difficoltà che incontriamo per trovare un lavoro ai disoccupati. Per esempio in questo momento la maggior parte dei lavoratori opera nel settore agricolo e nell’edilizia, tuttavia c’è un altissimo tasso di disoccupazione tra i lavoratori palestinesi nei territori israeliani e per questi ultimi la ricerca di un lavoro è sempre più difficile a causa delle forti discriminazioni operate dallo Stato.

Il vostro sindacato si occupa anche dei problemi dei disoccupati.
Il problema della disoccupazione è estremamente diffuso e, anche in questo caso, lo Stato attua delle politiche estremamente discriminatorie. Ne è un esempio il fatto che un cittadino di origine palestinese, per poter accedere agli aiuti previdenziali garantiti da Israele, non può guidare nessun tipo di mezzo in nessun caso.

Nell’eventualità in cui venga sorpreso accompagnare il proprio figlio a scuola, un anziano o un parente in ospedale, i sussidi vengono annullati, diventa necessario restituire tutte le somme ricevute nel corso del tempo e pagare una multa. Il governo ha istituito perfino un’unità di polizia, creata con il solo scopo di controllare i disoccupati palestinesi e le loro infrazioni.

Di cosa ha bisogno in questo momento il movimento sindacale palestinese?
A livello internazionale abbiamo bisogno di un maggior sostegno e solidarietà, di più collegamenti in tutto il mondo per mostrare le condizioni dei lavoratori palestinesi in Israele. Dato che la maggior parte dei sindacati ha dei forti legami con i sindacati israeliani, vogliamo far presente che anche i lavoratori palestinesi manifestano i propri bisogni e le proprie necessità, così come esistono dei sindacati che si occupano della questione palestinese in generale.

La situazione israelo-palestinese viene spesso paragonata all’apartheid sudafricano. In quel caso c’erano Mandela e de Klerk. Chi c’è in Palestina e in Israele che può rivestire quei ruoli e trovare una soluzione?
Fino ad ora non c’è una reale soluzione al problema e penso che ci sia assoluto bisogno di una nuova leadership che si faccia carico delle speranze e del futuro della Palestina per ottenere la libertà. Mi spiace dirlo, ma in questo momento purtroppo questa leadership non esiste. Solo la classe media può farsi carico della questione palestinese e in particolar modo delle responsabilità correlate, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista politico.

I media internazionali hanno recentemente parlato della possibilità di una terza intifada. Che ne pensi?
E’ troppo presto per parlare di una terza intifada. L’ambiente non è pronto per questa intifada e sicuramente prima di poterla realizzare è assolutamente necessario raggiungere una totale unità all’interno dei sindacati e dei partiti palestinesi. La cosa più importante è che i palestinesi devono decidere che tipo di intifada vogliono e che tipo di lotta politica intendono portare avanti.

* per Osservatorio Iraq