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La morte di Mattei

di Rita Dietrich - 13/04/2010

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Si desiderava realizzare la prima privatizzazione italiana, liquidando l’Agip ente statale per la produzione, estrazione, lavorazione e distribuzione dei petroli, ma la lungimiranza e il coraggio di un industriale di umili origini, Enrico Mattei, bloccò l’iniziativa, avviando così in Italia il primo processo di industrializzazione nazionale. Era il lontano 1945, e l’Italia usciva distrutta e dilaniata dal conflitto mondiale, quando Mattei fu eletto Commissario Straordinario dell’ente. Traccheggiando sulla pratica di liquidazione, riesce a trovare prestiti e a sfruttare i profitti delle concessioni estrattive, e nel 1948 trova il primo giacimento gas naturale nella piana del Po, seguito poi da un piccolo giacimento di petrolio a Cortemaggiore e di gas in Sicilia. Incomincia così il “miracolo italiano”.
Così Mattei salva l’Agip dalle grinfie americane e si ipotizza perfino la creazione di una benzina made in Italy  "Supercortemaggiore”, con una percentuale di ottani all’avanguardia per il tempo.
Tale successo mette anche le basi per la nascita del’Eni, ente Nazionale Idrocarburi, di cui Mattei diviene il responsabile nazionale delle politiche energetiche. Il simbolo di questa rinascita sarà il “cane a sei zanpe”.
Questo leggendario Cane a sei zampe nasce nel 1952 in occasione di un concorso ospitato sulle pagine di Domus, allora diretta da Gio Ponti, editore anche della rivista“Quattroruote”. Vince il concorso tra 4.000 partecipanti lo scultore Luigi Broggini, che però non firma l’opera che fu addebitata invece al grafico Giuseppe Guzzi. La reale paternità del logo fu svelata dal figlio solo dopo la sua morte, nel 1983.
Il primo problema dell’Eni di Mattei è la concorrenza della coalizione con le maggiori compagnie di petrolio del mondo, denominate da lui stesso con il famoso epiteto "sette sorelle", con le quali avvia una battaglia economica, soprattutto quando stipula accordi
con lo Sciá di Persia ottenendo una concessione a condizioni particolarmente favorevoli per l'Iran. La tipologia di contratti, che successivamente è stata ripetuta anche in Egitto e in Libia, è completamente diversa da quella delle compagnie maggiori, che non lasciano buoni margini ai paesi produttori. Mattei trasforma questi in soci attivi, che ricevono una buona fetta dei profitti.
Nel giro di pochi anni l’Eni, fra strutture estrattive e ricerche nel campo atomico,  può contare su una robusta struttura organizzativa, con 56.000 dipendenti, tecnici di grande esperienza, laboratori di ricerca d’avanguardia e una Scuola Superiore di Studi sugli Idrocarburi istituita per la formazione dei quadri e dei dirigenti italiani e stranieri.
Un altro attacco alle sette sorelle lo avvia nel 1960, incominciando, in pieno blocco orientale, ad aprire contrattazioni con l’Urss, da sempre produttore di materie prime in campo energetico. Il fine è quello di importare petrolio greggio a prezzi buoni per quantità di milioni di tonnellate.
Intanto il marchio del cane a sei zampe si conferma quale il simbolo del boom economico dell’Italia, coadiuvata anche dallo sviluppo dell’autostrada, dalla nascita dei punti di rifornimento con annessi servizi di ristorazione e negozi e motel. Tutto marchiato Agip ed Eni.
La misteriosa morte di Mattei nel 1962, sebbene sancisca il rallentamento delle trattative con la Russia, non blocca l’espansione dell’Eni che continua la sua attività estrattiva e di distribuzione soprattutto con i paesi del nord Africa.
Nel 1973 l’ente deve affrontare la prima crisi petrolifera causata dall’embargo nei confronti di Stati Uniti e Olanda decretato dai paesi arabi aderenti all’OPEC. L’Eni rafforza così la sua presenza nel mercato del gas con lo Stato algerino, con il governo libico, con l’Egitto, la Nigeria e la Tunisia e i giacimenti di petrolio scoperti nel Mare del Nord.
Contemporaneamente rafforza le infrastrutture di trasporto del gas metano, con la costruzione di una rete di condotte per migliaia di chilometri in Europa e attraverso il Mediterraneo. Grazie a questa espansione l’Eni riesce a superare anche la crisi petrolifera
in seguito alla Rivoluzione iraniana di Khomeini e nel 1983 entra in funzione il gasdotto sottomarino che collega l’Algeria alla Sicilia attraversando la Tunisia. Le attività di ricerca poi la portano in Egitto, nel Golfo del Messico, in Congo e in Nigeria.
Ma a questo punto, l’Eni viene sovrastata da pressioni estere e soprattutto europee che la obbligano a diventare una società per azioni e a vendere le sue quote a privati. Incomincia così nel 1992 l’era della privatizzazione, o per meglio dire della svendita azionaria a favore di un frazionamento suddiviso con le multinazionali. Dopo il processo, che dura fino al 2000, allo stato rimarrà soltanto poco più del 20%, e quasi il 10% alla Cassa Depositi e Prestiti, di cui l’Eni è azionista.
La mossa viene giustificata a causa dell’ennesimo crollo del costo del petrolio, che spinge le grandi compagnie a formare fusioni e acquisizioni, ricadendo così nell’illusione che questa sia l’unica manovra per competere su scala mondiale.
Mattei ormai da anni si muoveva in acque burrascose, alimentate sia dall’interno del governo italiano, sia da fuori, dalle potenze internazionali.
Il primo avvertimento lo ebbe nel gennaio del 1962, quando prima della partenza con il suo aereo privato verso il Marocco, il pilota scorge una manomissione al motore del veivolo.
Il secondo attentato, avvenuto il 27 ottobre 1962, purtroppo raggiunge il suo scopo, e l’aereo con a bordo Mattei e un giornalista, decollato dall’aeroporto catanese di Fontana Rossa, precipita per cause al principio ignote nei cieli di  Bascapè, in provincia di Pavia. Le indagini condotte dall’aeronautica militare e dalla procura di Pavia, furono chiuse velocemente, considerando il fatto come un incidente. Nel 1997 il caso però fu riaperto con in ritrovamento dei reperti del veivolo.
Questa volta però le conclusioni furono completamente diverse, poiché si giunse al verdetto che l’aereo era stato volutamente abbattuto, dal momento che i metalli indossati dalle vittime riportavano segni di deflagrazione. Si ipotizzò così l’inserimento di una bomba di 150 grammi di tritolo, posta dietro al cruscotto dell'apparecchio, attivata forse dell'accensione delle luci di atterraggio o dall'apertura del carrello o dai flap.
Voci di popolo, provenienti dal personale locale presente al momento del decollo all’aeroporto catanese, raccontano che il pilota. Poco prima del decollo, è stato richiamato al telefono, lasciando così incustodito l’aereo. Intanto dal bar dell’aeroporto fu scorto un “meccanico” mai identificato, che armeggiò nei pressi dell’aereo. Il pilota non poté accorgersi di nulla perché dalla postazione telefonica vi era un pilastro a coprirgli la vista della pista.