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Ecologia della salute

di Edward Goldsmith - 14/04/2010

Fonte: fiorigialli

      

I moderni servizi sanitari hanno fallito nel produrre i beni promessi commenta
Edward Goldsmith, che dà la colpa del fallimento alla guerra chimica contro le
malattie e alla nostra decisione, come società, di subordinare i bisogni della
salute agli imperativi dell'economia e dell'industria. La spesa per i servizi
sanitari in tutto il mondo industriale è sfuggita di mano. In molti paesi aumenta più
rapidamente del Prodotto Interno Lordo. Ovviamente occorrono drastici
provvedimenti per ridurla. Ma come fare? Generalmente si dà per scontato che si
tratti di un problema organizzativo. Alcuni critici appoggiano il sistema
americano della libera impresa medica, altri la nazionalizzazione dei servizi
medici come nel Regno Unito, mentre altri ancora sono favorevoli a una soluzione
intermedia come quella francese. A guardare un po' più a fondo, diventa evidente che
il problema non è l'amministrazione dei nostri servizi sanitari bensì quali servizi
debbano essere forniti.

Quelli che fornisce oggi la scienza medica moderna hanno fallito.

Se avessero avuto successo, i livelli di salute avrebbero dovuto essere migliori e
dovremmo aspettarci una riduzione nel numero delle persone che si fanno visitare da
un dottore, nel numero di giornate di lavoro perse per malattia e nelle spese per i
servizi sanitari. Invece succede esattamente il contrario. Come scrive Powles,

"uno dei più strabilianti paradossi che si trovano ad affrontare coloro che studiano
la moderna cultura medica consiste nel contrasto fra l'entusiasmo per gli attuali
sviluppi e la realtà dei rendimenti decrescenti degli investimenti sempre
crescenti per la salute." [1]

E' certo che la medicina moderna ha allungato la vita, ma questo risultato viene molto
esagerato. Il Dr. R. Logan, già direttore della medical research unit del Regno
Unito, sosteneva che "un uomo oggi può aspettarsi di vivere tre anni più del suo
omologo del 1841" [2] e la gran parte di questo miglioramento sarebbe avvenuta prima
dell'introduzione della medicina scientifica. Nel periodo di rapida crescita
delle spese per il progresso delle cure mediche, l'aspettativa di vita sarebbe
rimasta più o meno stazionaria.

Per aumentare il prestigio e la credibilità della medicina moderna è stato fatto poco
più del suo evidente successo nell'eliminazione delle malattie infettive, ma
questo successo si è dimostrato di breve durata. Stiamo infatti assistendo oggi a una
nuova diffusione di malattie infettive nel mondo, in particolare di malaria,
gonorrea, tubercolosi, polmonite e colera, mentre altre come la schistosomiasi e la
febbre dengue si stanno diffondendo in zone dove finora erano sconosciute.

E' evidente a tutti la totale impotenza della moderna scienza medica nel ridurre
l'incidenza delle cosiddette "malattie della civiltà" come il cancro, le ischemie
cardiache, il diabete, le diverticoliti, l'ulcera peptica, le appendiciti, le vene
varicose e la carie dentaria. La loro incidenza, nonostante tutti gli sforzi dei
medici, continua ad aumentare seguendo l'aumento del Prodotto Interno Lordo.

La sola conclusione realistica da ricavare da tutto ciò è che la scienza medica sta
seguendo una strada sbagliata e occorre urgentemente una nuova politica sanitaria.
Ma che forma dovrebbe assumere? Sembra chiaro che, prima di poter rispondere,
dobbiamo ripensare concetti fondamentali come salute, malattia, medicina e
servizi sociali.

      Salute e malattia
La salute, secondo la visione tecnologica del mondo, è assenza di sintomi clinici e
malattia la presenza di tali sintomi. Ma cosa intendiamo con l'espressione "sintomi
clinici"? Di che cosa sono sintomi? Presumibilmente di malattie, ma questo non ci
porta molto lontano, perché molte delle malattie di cui soffriamo sono classificate
puramente nei termini dei loro sintomi. Ciò è vero ad esempio per i reumatismi, per
l'artrite e per molte malattie della civiltà. E anche vero per malattie
psichiatriche come la psicosi, la nevrosi e la schizofrenia. Succede spesso anche
che i sintomi non siano altro che normali attività dei meccanismi di difesa
dell'organismo e non veri stati patologici. Come sottolinea il Dr. Malleson, per
milioni di anni i nostri corpi e quelli dei nostri antenati hanno perfezionato dei
meccanismi di difesa contro le invasioni microbiche e le sostanze chimiche nocive.
Questi meccanismi sono molto sviluppati. Per esempio il muco, che può essere
pericoloso se si accumula nella trachea, si espelle con la tosse. Le sostanze
tossiche nell'intestino vengono eliminate con la diarrea. L'invasione microbica
dell'organismo si accompagna a un aumento della temperatura, che probabilmente ha
il compito di aumentare il tasso con cui i meccanismi di difesa sono capaci di agire.
Sopprimere la tosse, prevenire la diarrea, ridurre la febbre significa contraddire
fondamentali processi naturali. [3]

Eppure è proprio ciò che molte pratiche mediche vogliono ottenere. Così, servono
principalmente ad eliminare i sintomi ed esacerbare o rendere croniche le malattie
che dovrebbero curare. Per di più, se i farmaci usati sono biologicamente attivi,
possono provocare effetti collaterali e indurre malattie che prima non c'erano.
Certamente simili malattie iatrogene, come sono chiamate, costituiscono ora una
fetta importante dell'intero peso sanitario di una moderna società industriale.
Curare i sintomi è spesso inutile per un'altra ragione. Le non poche volte che,
indipendentemente dalla cura medica fornita, i sintomi sono di una malattia che ha
fatto talmente presa su un paziente indebolito da essere comunque fatale,
l'obbiettivo della cura è solo l'allungamento della sopravvivenza umana in se
stessa, senza riguardo per la qualita della vita prolungata: un'impresa assurda e
spesso immorale, se teniamo conto della sofferenza che il paziente deve subire come
conseguenza della cura, spesso drastica, necessaria per tenerlo in vita giorno per
giorno.

Pochi si rendono conto di quale porzione del bilancio della sanità di un paese
industriale viene spesa in questo modo. Secondo il prof. Ross Hume Hall
dell'Università McMaster in Canada, l'80% del bilancio sanitario di quel paese
viene speso per prolungare la vita di pazienti che, qualsiasi cura ricevano,
moriranno nei prossimi dieci mesi, e in questo il Canada non sembra un caso
eccezionale. [4] Combattere i sintomi della malattia non basta anche per un'altra
ragione. L'assenza di "sintomi clinici" in un paziente non può essere
necessariamente presa come segno della sua buona salute. Il 75% dei pazienti
visitati dai medici oggi non soffrono di nessun sintomo clinico riconoscibile.
Eppure si sentono malati e in un certo senso lo sono.

      Il nostro concetto di salute e malattia
Il problema è che le nostre politiche sanitarie sono coerenti con la concezione del
mondo che abbiamo sviluppato nell'epoca industriale e che colora i nostri pensieri
su tutti i principali problemi che ci stanno davanti oggi. Inoltre sono le sole che
portano alla vendita di strumenti e consulenze mediche e sono perciò "economiche".
Per queste ragioni, sono le sole che, al momento, sembra siamo capaci di usare.

La tesi di questo saggio è che per capire la salute e la malattia dobbiamo vederle alla
luce di una concezione del mondo molto diversa, che potremmo chiamare forse
"concezione ecologica". Il che comporta, prima di tutto, considerarle in un
contesto molto più ampio. La moderna scienza medica, come tutte le altre discipline
nelle quali la conoscenza è stata divisa, si è sviluppata sull'esperienza
dell'epoca industriale - un periodo di circa 150 anni - che è trascurabile rispetto
all'esperienza complessiva dell'umanitè su questo pianeta, che è di diversi
milioni di anni. Dobbiamo guardare alla salute e alla malattia nei termini di questa
esperienza complessiva, ma non basta. Pensiamo alla salute e alla malattia come a un
qualcosa che colpisce gli esseri umani, eppure non siamo da soli, costituiamo una
speciale forma vivente in mezzo a moltissime altre.

La teoria generale dei sistemi naturali, negli ultimi decenni, ha dimostrato che le
entità viventi (come le molecole, le cellule, gli organismi, gli ecosistemi ecc.) le
quali possono apparire da fuori estremamente diverse sono, ad un dato livello di
generalizzazione, molto simili e, a quel livello, il loro comportamento è governato
dalle medesime leggi fondamentali. Sembra anche che questo principio si applichi ai
metodi di controllo dei sistemi viventi. Cercherò di applicare al problema della
salute un approccio da teoria generale dei sistemi naturali.

      Stabilità
La tendenza oggi è considerare i processi vitali largamente casuali. Anche se la
nozione di caso è sottoposta a interpretazioni, può essere intesa come denotante uno
stato di disordine al posto di un ordine e di mancanza di scopi invece che di gerarchia o
finalità. Ciò è molto fuorviante. Ordine e finalità, la seconda non è altro che ordine
a quattro dimensioni, sono i dati più sostanziali della biosfera. Certamente se la
biosfera non avesse queste qualità non potrebbe essere studiata dalla scienza, il
cui ruolo è individuare regole e trame la cui stessa presenza deve comportare ordine e
finalismo. E non potrebbe nemmeno esistere una scienza come la cibernetica, la
scienza del controllo, dato che controllare un processo significa mantenerlo nel
suo corso o traiettoria, cioè nella direzione del suo scopo, un concetto usato perchè
dinamico e non puramente statico.

Considererò lo scopo dei processi vitali come il raggiungimento della stabilità. Un
sistema vivente è stabile nella misura in cui è capace di mantenere la sua struttura
fondamentale nei confronti di possibii turbolenze. Un altro modo per dire che è
capace di mantenere la sua omeostasi (secondo il termine usato da Cannon [5]) davanti
ai cambiamenti. Ciò non vuol dire che un'entità vivente sia statica, deve essere
capace di cambiare per adattarsi ai cambiamenti ambientali. Ma tali cambiamenti non
sono fine a se stessi bensì modi di prevenirne altri più distruttivi. Solo alla luce di
simili considerazioni teoriche si puù capire la salute, la quale può così essere
vista come la stabiità dell'organismo all'interno del suo ambiente fisico e
sociale. Cioè un organismo è sano se è capace di mantenere la sua stabilità di fronte a
discontinuità potenzialmente dannose. Molti studenti di medicina, che vedono le
loro materie al di là del contesto ristretto con cui sono attualmente studiate dalla
moderna scienza medica, sarebbero d'accordo con una definizione come quella del
Professor Audy che ha definito la salute una proprietà continua, misurabile con la
capacità individuale di resistere agli attacchi chimici, fisici, infettivi,
psicobogici o sociali. [6]

Se definiamo la salute in questo modo la nostra nozione di causa/effetto deve essere
modificata radicalmente.

La causa di una malattia non può più essere considerata l'evento immediatamente
precedente che l'ha innescata - per esempio, il microrganismo associato a una certa
malattia infettiva - ma la moltitudine di fattori che ha ridotto la resistenza
dell'organismo al punto da farlo cadere vittima di un'offesa che normalmente
provocherebbe soltanto sintomi relutivamente blandi. Se consideriamo la causa e
l'effetto in quesio modo, il criterio per stabilire se dei cambiamenti ambientali
possono influire negativamente sulla salute dev'essere anch'esso molto diverso da
quello generalmente applicato. Non basta più stabilire se tale cambiamento fa
sorgere sintomi clinici, ma se è capace di ridurre la resistenza globale degli esseri
viventi e quindi la loro stabilità o salute in modo da farli diventare più vulnerabili
ad altri attacchi.

Bisogna anche rivedere gli obbiettivi della politica sanitaria. Invece di
cominciare una guerra chimica contro i vettori di malattie, cioè eliminare sintomi,
essa dovrebbe creare quelle condizioni in cui le discontinuità sono ridotte al
minimo e la capacità degli individui di far fronte alle discontinuita è accresciuta
al massimo.

Su questa base, la nostra nozione di sostanza inquinante va radicalmente
modificata.

Il livello accettabile di una sostanza inquinante nell'aria che respiriamo, nel
cibo che mangiamo o nell'acqua che beviamo non è quello in cui si manifestano sintomi
clinici, ma quello che potrebbe avere un effetto negativo, per quanto piccolo, sulla
nostra capacità di reagire agli effetti biologici di qualsiasi altro insulto.

Come ha dimostrato il professor Samuel Epstein, del Department of Environmental
Medicine dell'University of Illinois, gran parte, forse l'80-90% dei tumori è
causata dall'esposizione a sostarize chimiche e alle radiazioni. [7] Di per se
stessa, tuttavia, tale esposizione non sembra sufficiente a innescare un cancro. II
professor Bryn Bridges, della MRC Cell Mutation Unit della Sussex University, fa
quindi notare che, in un corpo sano, le cellule danneggiate dall'esposizione a
sostanze chimiche tendono a essere efficacemente eliminate [8] ; in effetti,
considerando le migliaia di sostanze chimiche cancerogene alle quali siamo
quotidianamente esposti, se questo meccanismo non fosse operante, ci sarebbero
molti più casi di cancro di quanti non ce ne siano già.

Così stando le cose, l'attuale epidemia di cancro non è dovuta solo all'aumento del
numero di sostanze chimiche a cui siamo esposti, ma all'effetto di quelle sostanze
chimiche e di altri fattori sulla nostra capacità di eliminare le cellule
danneggiate.

      Imparare a convivere
Via via che i sistemi si sviluppano attraverso il processo evolutivo, diventano
sempre più stabili. Così un ecosistema pioniere è soggetto a ogni sorta di
discontinuità, le quali vengono lentamente eliminate nel corso dell'evoluzione,
quando le specie pioniere sono sostituite un po' alla volta da specie più avanzate e
viene raggiunto lo stato adulto o "climax". Le foreste climax sono soggette a poche
discontinuità. In una foresta climax normalmente non avvengono le esplosioni
demografiche e i deperimenti che caratterizzano un ecosistema pioniere; né si
verificano siccità e inondazioni, erosione e desertificazione.

Lo stesso vale per i sistemi viventi a tutti i livelli di organizzazione. Man mano che
l'evoluzione procede, essi diventano sempre meglio adattati ad particolare
ecosistema in cui vivono e quindi alle varie forme di vita che vi abitano.

E possibile farsi un'idea del tempo nel quale un animale è vissuto in un particolare
ambiente semplicemente valutando in che misura ha imparato a convivere con altre
forme di vita, compresi i parassiti e i microrganismi che vi abitano. Se vi ha vissuto a
lungo, le malattie dovute a tali parassiti, diventate endemiche, sono
relativamente blande e la loro funzione è semplicemente di eliminare gli individui
vecchi e deboli, effettuando un controllo quantitativo e qualitativo sulle
popolazioni ospiti.

Prendiamo il caso della mixomatosi. La malattia era ben radicata tra i conigli in
Brasile, tra i quali è endemica e provoca solo sintomi blandi. Era sconosciuta tra i
conigli europei, che appartengono a una specie diversa. Quando la mixomat
osi venne introdotta in Australia nel 1950, le popolazioni di conigli europei furono
esposte a un virus del quale non avevano nessuna precedente espenienza. Nel primo
anno uccise il 99,8% della popolazione di conigli, l'anno successivo il tasso di
mortalità scese ad 90%, sette anni dopo si era abbassato ad 25%. La popolazione di
conigli sta chiaramente imparando a convivere con il virus, e viceversa. Questo
rapporto tra i conigli e il virus è quindi diventato progressivamente più stabile.

La stessa cosa è avvenuta alle popolazioni umane in tutto il mondo quando sono state
esposte a parassiti dei quali non avevano avuto nessuna precedente espenienza e con i
quali hanno gradualmente impanato a convivere.

Le popolazioni delle varie isole della Polinesia, per esempio, furono decimate
dalle malattie introdotte dai colonizzatori europei. I Maori in Nuova Zelanda
scesero pressappoco da 160.000 a 30.000 individui e si pensò addirittura che si
sarebbero estinti. La popolazione delle isole Marchesi da circa 100.000 scese a non
più di 3000. I polinesiani si sono tuttavia adattati ad microrganismi introdotti,
diventati una nuova componente del loro ambiente. Hanno imparato a conviverci e la
loro popolazione è così aumentata. In Nuova Zelanda, attualmente è due o tre volte
quella prececedente.

Tutto ciò rende evidente che, con l'evolversi i sistemi viventi diventano sempre più
adattati ad loro ambiente e più stabili, pertanto l'incidenza di discontinuità
distruttive è corrispondentemente ridotta. Da ciò deriva il fondamentale
principio che segue: l'ambiente che più favorisce la salute di un essere vivente è
quello in cui esso è stato adattato dalla sua evoluzione e con il quale si è coevoluto.
Che le cose stiano necessariamente così e perfettamente chiaro nel caso degli
animali. La maggior parte di noi ammetterà che una tigre è stata adattata dalla sua
evoluzione a vivere nella giungla che costituisce evidentemente il suo ambiente
ottimale. Le attività che essa è capace di svolgere nella giungla sono quelle che
meglio soddisfano le sue esigenze fisiche e psicologiche. Il cibo che vi trova è
quello che più le piace e meglio soddisfa le sue necessità biologiche. Lo stesso deve
valere per tutte le forme di vita, compresi gli esseni umani. Tutti sono meglio
adattati all'ambiente con il quale si sono coevoluti.

E' vero anche il corollanio di questo principio. Quando l'ambiente di un essere
vivente viene fatto divergere da quello con il quale si è coevoluto, e a cui si è
adattato, diventerà sempre meno stabile, meno capace di affrontare le
discontinuità, quindi meno sano.

Stephen Boyden ha formulato questo principio molto chiaramente. Egli lo chiama
"principio del disadattamento filogenetico". Secondo il quale "se le condizioni di
vita di un animale si scostano da quelle che prevalevano nell'ambiente nel quale la
sua Specie si è evoluta, è probabile che si dimostri meno adatto alle nuove condizioni
e conseguentemente sono prevedibili alcuni segni di disadattamento". Per quanto
ovvio sia questo principio, e per quanto ovvia la sua importanza, è raramente
nominato nella letteratura e la sua importanza largamente ignorata.

      Per citane ancora Boyden,

"il termine disadattamento filogenetico (il disadattamento è filogenetico perché
costituisce una risposta caratteristica della specie alle mutate circostanze
ambientali) si riferisce quindi a disordini che rappresentano le reazioni degli
organismi a condizioni di vita che differiscono da quelle alle quali la specie è
diventata geneticamente adattata nell'evoluzione attraverso i processi di
selezione naturale. Questo principio comprende non solo mutamenti ambientali di
carattere fisicochimico, come mutamenti della qualita del cibo o dell'aria, ma
anche vari fattori ambientali non materiali, come certe pressioni sociali che
possono influire sul comportamento." [9]

      L'ambiente ottimale
Quali sono allora il modo di vivere e l'ambiente a cui gli esseri umani si sono adattati
con l'evoluzione, e sono quindi più favorevoli al mantenimento della salute umana?
Per quanto siamo riluttanti ad ammetterlo, la riposta è: quelli dei nostri antenati
paleolitici cacciatori-raccoglitori. Come fanno notare Washburn e Lancaster,

"i fattori comuni che hanno dominato l'evoluzione umana e prodotto l'Homo sapiens
erano preagricoli. Il modo di vita agricolo ha predominato per meno dell'uno per
cento della storia umana e non c'è nessuna prova di mutamenti biologici importanti
durante quel periodo di tempo ... l'origine di tutte le caratteristiche comuni va
cercata nei tempi preagricoli." [10]

In effetti, è facile vedere perché il modo di vivere e l'ambiente dei
cacciatoni-raccoglitori dovesseno essere tanto favorevoli. In primo luogo,
questi gruppi umani si spostavano in continuazione, cioè non rimanevano a lungo a
contatto con i propri escrementi. Questo riduceva la vulnerabilità a molte malattie
parassitarie. Vivevano a contatto con la natura e avevano a loro disposizione
un'ampia vanietà di cibo fresco e non contaminato. I piccoli gruppi in cui vivevano
era dispersi su un'area ampia, il che preveniva la diffusione di malattie da una
località all'altra. Questi gruppi, inoltre, erano troppo piccoli per lo sviluppo di
una popolazione di parassiti associati alle principali malattie infettive.
Affinché il virus del morbillo si diffonda, per esempio, e necessaria una
popolazione di 500.000 individui.

Inoltre, dato che i gruppi di cacciatori-raccoglitori potevano sopravvivere senza
disturbare il loro ambiente biotico, non interferivano con i rapporti stabiliti tra
i parassiti e i loro ospiti non umani. La peste bubbonica, per esempio, si è evoluta
come malattia dei roditoni; la febbre gialla e la malaria, come malattie delle
scimmie, l'idrofobia dei pipistrelli. Una volta che abbiamo distrutto l'habitat
degli animali ospiti e modificato il nostro in modo da creare una nuova nicchia per i
microrganismi collegati, questi si sono rapidamente trasfeniti negli esseni
umani. Anche la malaria è trasmessa dalla zanzara anofele, che originalmente
predava le scimmie che vivevano sulla cima degli albeni delle foreste tropicali e
alle quali era ben adattata, provocando nell'ospite soltanto sintomi blandi. Una
volta abbattute le foreste, le zanzare dovettero trovare altri ospiti e quelli più
generalmente disponibili erano gli esseni umani.

La creazione di vasti conglomerati urbani ha fornito una nicchia perfetta per i
roditori, che scavano cunicoli, compresi i ratti portatoni della peste bubbonica.
[11] Essa ci ha anche messi in stretto contatto con parassiti (che precedentemente
avevano stabilito un rapporto stabile con gli animali che abbiamo addomesticato. Un
esempio è il vaiolo, una variante del vaiolo bovino. Gli impianti d'irrigazione su
grande scala hanno anch'essi fornito un habitat ideale per le malattie trasmesse con
l'acqua. Il risultato è la diffusione della schistosomiasi e della malaria, che
perfino la World Health Organisation (WHO) riconosce essere opera nostra.
"Costruendo dighe e canali d'irrigazione per alleviare la fame del mondo, l'uomo
crea le condizioni ideali per la diffusione della malattia." [12]

In generale, con lo sviluppo dell'industria, l'ambiente in cui viviamo si allontana
sempre di più da quello ad quale siamo stati adattati dalla nostra evoluzione. Siamo
costretti in conurbazioni industriali che hanno poca somiglianza con l'ambiente in
cui ci siamo evoluti. Viviamo in famiglie nucleari, per di più spesso troncate, in una
grande società atomizzata -ammesso che si possa parlare ancora di società - che ha
poca somiglianza con le famiglie estese e gli altri raggruppamenti sociali coesivi
entro i quali siamo vissuti durante gli ultimi milioni di anni.

Mangiamo cibi coltivati con processi innaturali, facendo uso di una quantità di
sostanze chimiche, ormoni, antibiotici, pesticidi, compresi insetticidi,
diserbanti, nematocidi, fungicidi, topicidi ecc., i cui residui si ritrovano
praticamente in tutti i prodotti alimentari attualmente in commercio. Gli alimenti
vengono poi trasformati in grandi fabbriche, con il risultato che la loro struttura
molecolare è spesso totalmente diversa da quella dei cibi a cui ci siamo adattati
nella nostra evoluzione, e sono ulteriormente contaminati con migliaia di altre
sostanze chimiche, emulsionanti, conservanti, antiossidanti ecc. destinate a
conferire loro le qualità richieste per aumentarne la conservazione e di
conseguenza la commerciabilità.

Beviamo acqua contaminata da metalli pesanti e sostanze chimiche organiche
sintetiche, pesticidi compresi, che nessun impianto di depurazione riesce
efficacemente a eliminare. [13] Respiriamo aria inquinata da piombo derivante dal
petrolio, particelle di amianto provenienti dai freni delle automobili, monossido
di carbonio e ossidi di azoto provenienti dai gas di scarico, biossido di zolfo
proveniente dalla ciminiere industriali, cesio, stronzio e plutonio radioattivi
proveniente dagli esperimenti nucleari e una quantita di altri radionucidi
provenienti dalle ciminiere degli impianti nucleari.

Non sorprende che, in tali condizioni, soffriamo di un'intera nuova gamma di
malattie totalmente assenti tra i popoli primitivi, né che l'incidenza di tali
malattie cambi in proporzione diretta con il Pil pro capite, cioè nella misura con cui
il nostro modo di vivere e il nostro ambiente si sono scostati dalla norma. Queste
malattie vengono chiamate "malattie della civiltà", perché sono il risultato
diretto di una quantità di trasformazioni portate ad nostro modo di vivere e al nostro
ambiente, che, con lo sviluppo e l'industrializzazione crescenti, sono diventate
sempre più radicalmente diverse da quelle a cui siamo stati adattati dalla nostra
evoluzione e che, come fa notare Boyden, sono le più favorevoli alla conservazione
della nostra salute.

Possiamo facilmente immaginare molti esempi del principio del disadattamento
filogenetico operante nell'homo sapiens. I "flagelli" tradizionali
dell'umanità, come la peste e il tifo e le grandi malattie da carenza, come lo
scorbuto, il beriberi e la pellagra sono tutti esempi lineari di questo principio. Un
esame dei rapporti sui motivi per i quali i pazienti vanno attualmente dal medico nei
paesi più sviluppati della società occidentale mostra chiaramente che la maggior
parte dei disturbi di cui si lamentano rientra in questa categonia, e sono "malattie
della civiltà", nel senso che sarebbero state rare o inesistenti nella società
primordiale (per esempio, infezioni virali dell'apparato respiratorio e
digerente, ulcere gastriche, malattie cardiovascolari, obesità, diabete e
probabimente molte psiconevrosi) [14]

Abbiamo perso di vista questo fatto ineluttabile soprattutto perché non sappiamo
affrontarne le cause. Tra l'altro, esso rende ridicola l'idea stessa di un progresso
identificato con lo sviluppo e l'industrializzazione: in particolare l'ultima
fase delle sviluppo consiste nel realizzare, nel modo più rapido e sistematico, in
nome del miglioramento del benessere dell'umanità, quelle trasformazioni che, per
loro stessa natura, fanno sì che il nostro ambiente si scosti il più possibile da
quello ad quale siamo stati adattati dalla nostra evoluzione.

E' anche a causa della cieca fede quasi religiosa che nutriamo nell'onnipotenza
della scienza e della tecnologia, le quali, ci viene detto, possono tra l'altro
conferire agli esseni umani il dono dell'infinita adattabilità. Ma le
trasformazioni che esse permettono sono adattative solo se questo termine viene
usato in modo indiscriminato.

Il vero adattamento deve riferirsi alle trasformazioni che reagiscono alle
discontinuità creando le condizioni che ne riducano l'incidenza e la gravità,
invece che limitarsi a eliminarne i sintomi, trasformazioni che, di fatto,
contribuiscono ad aumentare la stabilità invece che a favorire l'instabilità,
trasformazioni che creino le condizioni favorevoli alla salute invece che
eliminare i sintomi della cattiva salute. La maggior parte dei cambiamenti resi
possibili dalla scienza medica non sono perciò veri adattamenti.

Consideriamo la risposta all'epidemia di carie dentaria. Gli uomini primitivi, nel
complesso, avevano denti bellissimi. Con lo sviluppo economico, però, lo stato dei
loro denti e gravemente peggiorato. Si è generalmente d'accordo sul fatto che questo
è il risultato del mangiare robaccia, in particolare dolci, biscotti, torte e pane
bianco. In effetti in Scozia, dove questa dieta è più comune, la gente ha i denti
peggiori: fino agli anni Ottanta, il 40% dei giovani scozzesi dell'età di 25 anni era
senza denti. [15]

Ora l'unica politica veramente adattativa per affrontare il problema consiste nel
far sì che la gente cambi dieta. Però non è immaginabile che una moderna società
industriale, che vede tutto in termini di vantaggi economici a breve termine, possa
farlo, dato che vorrebbe dire ridurre le vendite dell'industria alimentare. Essa
deve quindi adottare una strategia diversa, quella più ovvia è di ricorrere a una
quantità di dentisti che estraggono i denti guasti e li sostituiscono con denti falsi
- una strategia che, come tutte quelle che la nostra società è in grado di adottare,
serve a far aumentare ulteriormente l'attività economica, e quindi contribuisce a
creare condizioni ancor meno favorevoli alla nostra salute e allo stato dei nostri
denti. Ovviamente questo non è un adattamento ma, nella terminologia di Boyden, uno
"pseudoadattamento".

La funzione dello pseudoadattamento non è affrontare le cause di una malattia, ma
mascherarne i sintomi. Mentre, poiché queste strategie fanno parte del modello di
attività economiche inquinanti e a uso intensivo di risorse che stanno trasformando
il nostro pianeta in un habitat sempre meno adatto alle forme complesse di vita,
adottarle significa, a lungo andare, far aumentare l'incidenza delle malattie che
dovrebbero curare.

Il guaio è che quasi tutte le nostre strategie sanitarie rientrano in questa
categoria. Nessuna di esse è veramente adattativa, nessuna cerca di creare
condizioni che minimizzino l'incidenza della malattia; cercano tutte
semplicemente di usare dei mezzi tecnologici per mascherare i sintomi di malattie le
cui vere cause la medicina moderna non sa affrontare.

      Curare l'insieme, non la parte
Questo porta a un altro importante principio. Per essere veramente adattativi e
curare le cause delle malattie, riducendone quindi l'incidenza e gravità, un
servizio sanitario dovrebbe sottoporre a cura l'ambiente fisico e sociale di una
popolazione e i suoi rapporti con essa, e quindi il sistema più ampio.

Per ridurre l'incidenza del cancro, per esempio, dovremmo soprattutto smettere di
esporre la nostra popolazione a tutte le sostanze chimiche che attualmente giungono
fino ai cibi che mangiamo, all'acqua che beviamo e all'aria che respiriamo. Sappiamo
che è l'esposizione a tutte queste sostanze chimiche la causa prima del cancro. Come
abbiamo detto, gli studiosi seri e obbiettivi di questo importante argomento
arrivano ad attribuire 1'80-90% dei casi di cancro a questa causa. Ma realizzare i
cambiamenti ambientali necessari significherebbe modificare radicalmente le
tecniche industriali e agricole e le stesse priorità della nostra élite politica e
industriale, modifiche che sono completamente al di là della portata dei
responsabili della nostra salute.

Per questa ragione, l'establishment medico è in molti casi riluttante a riconoscere
le vere cause del cancro. Si rifiuta perfino di ammettere che la sua crescente
incidenza è, in qualche modo, il risultato dei vari cambiamenti che lo sviluppo
industriale ha portato nel nostro modo di vivere e nel nostro ambiente, e insiste nel
dire che questa malattia è sempre stata un'importante causa di morte, affermazione
semplicemente falsa. Esagera grossolanamente il contributo all'attuale epidemia
di cancro di fattori come il consumo di alcol e grassi e, ovviamente, il fumo - fattori
che non sono direttamente collegati con l'industrializzazione. Sopravvaluta
quindi la capacità della medicina moderna di curare singoli casi di cancro.

In realtà, non c'è nessuna prova che la chirurgia, la radioterapia o la
chemioterapia, gli unici trattamenti che la nostra società sa fornire (gli unici che
sono politicamente opportuni ed economicamente convenienti), siano veramente
efficaci a lungo termine. II tasso di sopravvivenza delle donne colpite dal cancro
delta mammella è lo stesso siano esse operate o no, mentre quello delle persone
operate per cancro al polmone è inferiore all' 1%. Nel frattempo, l'incidenza del
cancro va aumentando ogni anno e, mentre prima colpiva soprattutto le persone
anziane e di mezza età, ora è una delle principali cause di morte nei bambini.

E davvero ironico considerare i massicci sforzi fatti dai nostri servizi sanitari
per curare in modo così inefficace il numero crescente di vittime del cancro, quando i
nostri leader politici e industriali sono impegnati in strategie che possono solo
aumentare ulteriormente il numero delle vittime. Un efficace servizio sanitario
dovrebbe pertanto avere una competenza illimitata. Dovrebbe poter porre il veto
alle politiche governative in ogni campo se si può dimostrare che esse hanno un
effetto negativo sulla nostra salute. Dovrebbe, in effetti, poter affrontare la
malattia al livello della stessa società invece che solo a livello individuale.

      Cura olistica
Esaminiamo alcuni dei più ovvi vantaggi di una simile vera cura olistica. Il primo è
che quanto più alto è il livello di organizzazione al quale la malattia è curata, tanto
minore è il bisogno di intervento umano, tanto più il processo di guarigione può
essere assicurato dai meccanismi autoregolatori della natura.

In effetti, le cure più efficaci fornite dalla scienza medica moderna sono quelle che
cercano di creare le condizioni ottimali nelle quali il processo di guarigione può
avvenire spontaneamente. Quando un chirurgo sutura una ferita, per esempio, o
sistema un osso rotto, questa è la sola cosa che fa. La scienza è incapace di riprodurre
il processo biologico di guarigione, incredibilmente complesso, prodotto di
milioni di anni di "ricerca e sviluppo" evolutivo.

Per le stesse ragioni, la scienza non sa nemmeno riprodurre il processo sociale di
guarigione. Non sa trasformare delinquenti, criminali, vandali e
tossicodipendenti, che sono in gran parte il prodotto di famiglie e comunità
disintegrate, in adulti normali ben adattati. La ragione è sempre la stessa. L'unica
maniera per creare individui ben adattati è la socializzazione, e non esiste nessun
modo in cui gli scienziati possano riprodurla in una società disintegrata, in cui la
socializzazione può avvenire solo imperfettamente. Il nostro solo modo di
affrontare la criminalità, il vandalismo, la tossicodipendenza ecc. consiste
nell'impiegare più poliziotti, costruire più prigioni e installare più sistemi
antifurto, cioè, ancora una volta, eliminare i sintomi della malattia invece di
affrontarne le cause.

L'unico modo di curare la devianza sociale consiste nel ricreare le condizioni nelle
quali possa aver luogo il processo di socializzazione, portando allo sviluppo di
famiglie e comunità sane, entro le quali l'incidenza della devianza sociale sia
ridotta al minimo.

      Logistica
Curare sistematicamente i sintomi della malattia invece della malattia stessa
presenta inoltre insuperabili problemi logistici. Significa fornire costosi
trattamenti tecnologici e ospedali a uso intensivo per le orde di persone che
inevitabilmente si ammalano nell'ambiente sempre più insalubre di una moderna
società industriale.

Nel Regno Unito, molti medici generici visitano un centinaio di pazienti al giorno.
Alcuni studi hanno mostrato che il medico medio del Servizio Sanitario Nazionale
scrive una ricetta ogni sei minuti. In tali condizioni i medici non possono in alcun
modo diagnosticare accuratamente le "cause" dei malanni dei loro pazienti. Tutto
quello che possono fare è distribuire medicinali biologicamente attivi come
antibiotici e corticosteroidi, che probabilmente hanno un effetto immediatamente
visibile, che si spera eliminino i sintomi del paziente, anche se, a lungo andare,
possono prolungare la durata della malattia e provocare effetti collaterali di ogni
tipo.

Gli ospedali, nonostante le grandi somme di denaro spese negli ultimi trent'anni per
costruirne di nuovi, sono ancora incapaci di accogliere il crescente numero di
persone che hanno bisogno di essere ricoverate, e c'è sempre una permanente
lunghissima lista d'attesa. Con l'inevitabile declino economico che ci sta di
fronte, e probabile che sia disponibile sempre meno denaro per i servizi sanitari, e
alla fine dovremo accettare il fatto non eludibile che è finanziariamente e quindi
logisticamente impossibile curare le malattie a livello individuale invece che a
livello di società e di ecosistema, il cui degrado ne è la vera causa.

Significativamente, non è solo la cattiva salute che dev'essere affrontata in
questo modo. Nessuno dei problemi fondamentali della nostra società può essere
risolto senza radicali trasformazioni economiche e sociali. Prendiamo
l'agricoltura. Non esiste una sana politica agraria che si possa introdurre senza
modificare tutte le caratteristiche fondamentali della nostra società
industriale. Aziende agricole più piccole, basate sulla policoltura invece che
sulla monocoltura, che adottino sane rotazioni invece di coltivare le stesse piante
sulla stessa terra ogni anno, tutto questo lo sappiamo bene. Ma formare queste
aziende agricole e consentire loro di prosperare è impossibile nella nostra società
come è strutturata attualmente, e in cui considerazioni politiche ed economiche
predominanti impongono di adottare proprio il tipo di agricoltura meno
desiderabile da un punto di vista biologico, sociale ed ecologico.

Affinché sia possibile reintrodurre tecniche agricole sane, deve cambiare quasi
tutto nella nostra società, comprese la famiglia e le strutture sociali, il modo di
vivere, l'educazione, i valori, le politiche fiscali, le reti di distribuzione dei
generi alimentari e il commercio internazionale.

Ovviamente, l'idea stessa che un ministro della sanità, per non parlare di un
semplice medico, debbano essere in grado di cambiare la struttura della società e il
suo ambiente naturale, in quanto e l'unico modo per risolvere i problemi sanitari dei
singoli individui, sarebbe attualmente considerata irrealistica se non del tutto
folle.

Ma questa idea è proprio tanto inconcepibile? Indubbiamente lo è, se consideriamo il
problema nel contesto dell'attuale società industriale. Se però la consideriamo
alla luce dell'esperienza umana complessiva su questo pianeta, appare
perfettamente realistica. Nelle società primitive, e non dimentichiamo che oltre
il 95% di tutti gli esseri umani e vissuto in tali società, la salute era assicurata
proprio in questo modo. Gli operatori sanitari (sciamani, indovini ecc.)
mantenevano la salute dei loro compagni di tribù spingendoli ad agire in modo da
conservare il loro ambiente umano e naturale nello stato che, tra le altre cose, era
più favorevole al mantenimento della salute umana.

Vediamo brevemente come ciò avveniva. Il modello di comportamento di una società è
basato su quel particolare rapporto con l'ambiente che di solito viene chiamato
"visione del mondo". La visione del mondo di una società tribale è formulata in un
linguaggio con il quale pochi di noi hanno famitiarità, quello della mitologia, e si
occupa del mondo degli dèi e degli spiriti. Questi non sono considerati però
organizzati in modo casuale, ma in modo che il modello che essi costituiscono
rispecchi i rapporti delle persone con il loro ambiente, in base ai quali si possono
mediare risposte adattative.

Gli spiriti si possono suddividere in tre categorie: i primi sono gli spiriti degli
antenati. Questi conservano la loro identità sociale e sono quindi considerati
ancora membri della rispettiva famiglia, schiatta, tribù e società. In questo modo,
la loro organizzazione rispecchia, con straordinaria precisione, quella dei loro
discendenti, e serve a sacralizzare la loro struttura sociale e a conservarla.

In secondo luogo, ci sono gli spiriti della natura. Tutte le piante, gli animali e
persino gli oggetti inanimati, come le rocce e i corsi d'acqua, sono considerati
pervasi da tali spiriti. In questo modo, anch'essi sono sacri il che serve a
conservarli, o almeno a ridurre l'impatto su di essi delle attività, altrimenti
distruttive, degli esseri umani.

Come ora è ragionevolmente ben noto, i cacciatori primitivi, prima di uccidere un
animale, pregavano il suo spirito e it dio della natura, la cui funzione era di
proteggere gli animali selvaggi dalle depredazioni, e chiedevano loro perdono per
ciò che stavano per fare. Il sistema totemico, grazie al quate un particolare clan si
identificava con un particolare animale, assicurava che almeno nel territorio di
questo clan fosse considerato sacro e quindi non molestato.

Ora, sacralizzare qualcosa è l'unico metodo culturale che ha sempre avuto successo
ai fini della conservazione, fatto che è perfino troppo facile verificare
empiricamente alle luce del patetico fallimento di quasi tutti gli sforzi dei
protezionisti di preservare la nostra società desacralizzata e il suo ambiente
desacralizzato dalle nostre attività sempre più distruttive.

Una società, tuttavia, non è sola nel suo ambiente non umano. E circondata da altri
gruppi sociali, spesso ostili. Inoltre, una società non sempre presenta il grado
ideale di ordine, perché non tutti i suoi comportamenti sono sotto controllo. In
altri termini, essa presenta una certa quantità di casualità, e quindi contiene
degli elementi antisociali. Questi elementi, assieme alle tribù vicine ostili,
sono rappresentati dalla terza categoria, e precisamente dagli spiriti maligni e
dagli stregoni.

Va notato che il mondo non è considerato composto di spiriti nel modo in cui gli
scienziati lo considerano composto di molecole e atomi.

I popoli primitivi non hanno una visione del mondo riduzionistica. Piuttosto che
componenti della biosfera, gli spiriti sono considerati organizzati in modo da
rispecchiarne la struttura gerarchica. Essi la rappresentano a ogni livello di
organizzazione, non solo a quello più basso, come fa il modello scientifico.

Un'altra caratteristica della visione del mondo primitiva è che i rapporti
reciproci tra i vari spiriti che controllano la società, i suoi nemici e il suo
ambiente naturale, sono rigorosamente definiti dalla tradizione e accuratamente
spiegati nei termini della sua mitologia. Tali rapporti sono inoltre costantemente
ricordati nei canti e in altre attività rituali. Tra gli indiani Canelos Quicha
dell'Ecuador, per esempio, come ci dice Whitten:

"La discussione fra Amasanga (che controlla il tempo, il tuono e il fulmine), Nangui
(che controlla il suolo per le radici degli ortaggi e l'argilla per il vasellame) e
Shangui (che controlla l'acqua) è punteggiata dal suono di flauti, da canti e dal
racconto di miti. Queste attività sono, tra l'altro, meccanismi per collegare
associativamente o analogicamente il sapere cosmologico ed ecosistemico alle
regole sociali, e la dinamica sociale a premesse cosmologiche." [16]

Anche sotto questo aspetto, il modello primitivo è in netto contrasto con quello
scientifico. Invece di essere suddiviso in discipline a compartimenti stagni tra le
quali è quasi impossibile stabilire dei rapporti, è totalmente interdisciplinare,
cosa che, in termini di teoria generale dei sistemi, è necessaria se si vuole che il
modello consenta la mediazione di un modello di comportamento integrato invece di
quel mero accostamento di espedienti che è la politica di un moderno stato nazionale.

Va notato che il modello primitivo è formulato in un linguaggio che tutti possono
comprendere. Anche questo è in netto contrasto con la visione scientifica del mondo,
che tanto apprezziamo, formulata in un linguaggio esoterico che solo pochissimi
specialisti sono realmente in grado di comprendere.

Ciò è di particolare importanza se consideriamo che la stabilità implica
autoregolazione. E ciberneticamente impossibile che un sistema naturale sia
governato dall'esterno, perché il suo fine sarebbe casuale per esso e, quindi, per la
biosfera di cui fa parte integrante, e rispecchierebbe soltanto quei fattori
esterni che esercitano il "controllo", come avviene attualmente nella nostra
società industriale.

Per un sistema, essere autoregolato significa, soprattutto, che il comportamento
di ciascun sottosistema deve essere sottoposto al controllo del sisterna
complessivo, e questo è possibile solo se tutti i suoi membri usano e comprendono lo
stesso linguaggio, cioè se il linguaggio con il quale è formulata la loro visione del
mondo e demotico piuttosto che ieratico. [17]

E' nei termini di questa visione del mondo che una discontinuità come una malattia
viene interpretata. A volte si ritiene che essa sia causata dagli spiriti maligni che
risiedono in stregoni e altri elementi antisociali, oppure è considerata come una
punizione comminata dagli spiriti degli antenati o da quelli della natura per
l'inosservanza della legge tradizionale e in particolare per la violazione di un
tabù, che, in alcuni casi, e anche considerata una maggiore vulnerabilitè agli
stregoni. Un esempio tipico è quello della concezione della malattia propria dei Luo
nell'Africa orientale. Tra di essi, come ci dice Whisson,

"Si crede che la malattia sia causata da spiriti che rientrano in diverse categorie;
la più comune è quella degli spiriti dei genitori o dei nonni (vadzimu), degli spiriti
degli anziani o degli antenati e quelli degli stregoni (muroi). Mentre l'intervento
degli antenati può essere capriccioso, le malattie attribuite ad essi o a Dio sono
generalmente avvertite come punizioni per i peccati commessi dai pazienti o dalle
loro famiglie. Un uomo che ha infranto una regola tribale può attendersi di essere
punito per questo dagli antenati o da Dio con una malattia. Un uomo colpito da una
malattia si sentirebbe perciò obbligato a esaminare se stesso e i suoi rapporti con
gli antenati. Un disturbo organico del tutto secondario -come una costipazione che
dura diversi giorni - può creare un notevole senso di paura o di colpa e ridurre il
paziente senza difesa finché non siano eseguiti dei rituali e gli antenati non siano
propiziati secondo le tradizioni della società e le direttive dell'indovino." [18]

Dobbiamo ricordarci che anche nel Vecchio Testamento un disastro naturale, come una
carestia, un terremoto, un'epidemia o un'invasione da parte dei filistei era
invariabilmente attribuita a una mancanza da parte degli ebrei di adorare Jahvè nel
modo corretto, o peggio ancora all'adorazione del rivale Baal.

Le persone educate ai valori scientifici moderni tendono a beffarsi di una diagnosi
di questo tipo. Essa è "non scientifica" e quindi, secondo la nostra concezione del
mondo, "irrazionale"; ma osserviamola un po' più da vicino. Le regole che governano
il comportamento di una società primitiva, giustificate nei termini della sua
mitologia e imposte dall'opinione pubblica, dal consiglio degli anziani e dagli
spiriti degli antenati, non sono di carattere puramente casuale. Si puo infatti
dimostrare che esse sono altamente adattative.

Alla luce delle prove empiriche, questa tesi è irrefutabile, dato che le società
tribali, in particolare i gruppi di cacciatori-raccoglitori, hanno saputo
raggiungere un ineguagliato grado di stabiità nel loro ambiente naturale, nel quale
avrebbero potuto sopravvivere e prosperare indefinitamente se l'uomo bianco non
avesse interferito con il loro modo di vivere e non avesse distrutto il loro ambiente.
Tale stabiità è mantenuta dalla rigorosa osservanza di un insieme di leggi che
assicura soprattutto la conservazione dell'ambiente sociale e fisico che più
assomiglia a quello al quale la società e stata adattata dalla sua evoluzione
sociale.

L'inosservanza di tali leggi, la violazione di un tabù, per esempio, e in effetti il
peccato in generale, può solo essere interpretata come una violazione proprio di
quell'insieme di leggi che assicura il successo di una società, in effetti la sua
stessa sopravvivenza. Peccare è quindi comportarsi in un modo che, in tali
condizioni, porta inevitabilmente alla destabilizzazione del rapporto
dell'individuo con la sua società e del rapporto della società con il suo ambiente, e
tale destabiizzazione non può che riflettersi in ogni genere di discontinuità,
delle quali le malattie sono solo un esempio; così stando le cose, la diagnosi
primitiva, per quanto strano sia il linguaggio con cui è formulata, è di fatto
corretta. In effetti, se il modello di comportamento che gli dèi di una società
tribale hanno sacralizzato è adattativo, in quanto ha portato alla minore incidenza
possibile di malattie e di altre discontinuità, il verificarsi di una malattia deve
in verità significare che la società ha peccato, cioè violato una legge.

Se la malattia, come qualsiasi altra discontinuità, è dovuta a uno scostamento
biologico, sociale o ecologico dalla situazione ottimale, la sua cura può solo
consistere nel ristabilire quella situazione. Ciò significa che, se è stata causata
da uno stregone, bisogna neutralizzare le attività dello stregone, in modo da
ridurre le tensioni e, allo stesso tempo, ridurre quelle attività antisociali nelle
quali uno stregone può eventualmente indulgere. Se si ritiene che la malattia sia
causata dalla violazione di un tabù, coloro che lo hanno violato devono fare ammenda.
In particolare, devono fare gli appropriati sacrifici agli spiriti dei loro
antenati, adempiere i loro vari obblighi rituali nei confronti dei congiunti,
smettere di uccidere gli animali selvaggi oltre a quelli che hanno ritualmente il
diritto di uccidere, e astenersi dal fare cose che possono sconvolgere il corretto
funzionarnento del modello culturale della società all'interno del suo ambiente
specifico.

Ovviamente, questi individui vengono anche curati con medicine. Per esempio, erbe e
altre medicine tradizionali possono essere somrninistrate come parte di una
cerimonia, e spesso possono dimostrarsi efficaci. Ma curare l'individuo non è
l'obiettivo primario della cura; può perfino essere considerato un mero effetto
secondario: la vera funzione della cura è ripristinare la stabilità biologica o
psicologica della persona colpita e il corretto funzionamento dei sistemi
biologici, sociali ed ecologici la cui disgregazione è la vera causa del problema.

Questa è la conclusione del professor Victor Turner a proposito degli Ndembu:

"Sembra che il 'dottore' Ndembu ritenga che il suo compito sia più quello di porre
rimedio ai mali di un gruppo sociale che quello di curare un singolo paziente. La
malattia di un paziente è soprattutto un segno che 'qualcosa è guasto' nel corpo
sociale. II paziente non starà meglio finché non saranno portate alla luce ed esposte
al trattamento rituale tutte le tensioni e le aggressioni nei rapporti reciproci del
gruppo. Il compito del dottore è quello di mettere sotto controllo le varie correnti
di affetto associate a questi conflitti e alle dispute sociali e interpersonali
nelle quali si sono manifestate - e incanalarle in una direzione socialmente
positiva. Le energie conflittuali sono così addomesticate al servizio dell'ordine
sociale tradizionale." [19]

Questa è anche la conclusione dello studio del professor Reichel Dolmatoff sul modo
in cui gli indiani tukano della Colombia si adattano al loro ambiente. Uno sciamano
tukano non considera la malattia come il risultato di un semplice insulto biologico,
come farebbe uno scienziato riduzionista, ma uno squilibrio socio-ecologico:

"La sua principale preoccupazione riguarda il rapporto fra la società e il
soprannaturale Signore della caccia, della pesca e dei frutti selvatici dal quale
dipende il successo della raccolta e che comanda molti agenti patogeni. Per lo
sciamano e quindi essenziale diagnosticare correttamente la cause della malattia,
identificare l'esatta natura del rapporto inadeguato (se si tratta di adulterio, di
eccesso di caccia, o di altra eccessiva indulgenza o spreco), e poi ripristinare
l'equilibrio comunicando con gli spiriti e ristabilendo contatti riconciliatori
con gli animali selvaggi. In questo modo lo sciamano, come guaritore di malattie, non
interferisce tanto al livello individuale, ma opera al livello di quelle strutture
sovraindividuali che sono state disturbate dalla persona. Affinché la sua azione
sia efficace, deve applicare la sua cura alla parte disturbata dell'ecosistema. Si
potrebbe dire che uno sciamano tukano non ha pazienti singoli: il suo compito è quello
di curare una disfunzione sociale. L'organismo malato del paziente e di secondaria
importanza sarà curato alla fine, empiricamente e ritualmente, ma ciò che conta
veramente è il ristabilimento delle regole che evitano l'eccesso di caccia,
l'esaurimento di certe risorse vegetali e un incontrollato aumento demografico. Lo
sciamano diventa così una forza molto potente nel controllo e nella gestione delle
risorse." [20]

In questo modo, i popoli primitivi, diagnosticando correttamente le malattie come
sintomi di disadattamento sociale ed ecologico, a livello dell'individuo, della
famiglia, della società e dell'ecosistema, apportano quei cambiamenti che
riporteranno la società nella giusta via; quella che assicurerà una riduzione
dell'incidenza della malattia al suo minimo inevitabile; cioè a quel livello al
quale la malattia uccide solo i vecchi e gli ammalati, applicando così controlli
quantitativi e qualitativi su una popolazione umana, in modo da contribuire a
conservarne la vitalità a lungo termine.

E essenziale rendersi conto che non sono soltanto le malattie, ma tutte le
discontinuità a essere interpretate in questo modo. Siccità, inondazioni e rovesci
militari sono anch'essi considerati come segni di instabilltà socioecologica, una
tesi finora sostenuta con maggior forza da Roy Rappaport nel suo studio degli
Tesembaga della Nuova Guinea:

"L'esecuzione dei rituali tra gli Tsembaga e altri Maring contribuisce a conservare
un ambiente non degradato, limita i combattimenti a frequenze che non mettono in
pericolo l'esistenza della popolazioni della regione, corregge i rapporti
uomo-territorio, facilita il commercio, distribuisce le eccedenze locali di
maiali a tutta la popolazione della regione e assicura alla gente proteine di alta
qualità quando ce n'è maggiormente bisogno." [21]

Come ho già fatto notare, quest'autoregolazione richiede l'azione concentrata
dell'intera società. Tutte le sue parti devono contribuire attivamente. Ogni
individuo dev'essere coinvolto nei rituali che assicureranno la stabilità della
sua società.

La nostra società industriale moderna non può funzionare in questo modo perché si è
disintegrata in una massa di individui isolati e alienati che non hanno la capacità di
intervenire realmente sul corso delle loro attività. In questo modo siamo diventati
totalmente dipendenti da fattori esterni di controllo. Allo stesso tempo, la nostra
società è strutturata in modo tale che è impossibile curare una malattia a un livello
superiore a quello dell'individuo. Esperti in vari campi, educati alla conoscenza
specialistica all'interno di discipline a compartimenti stagni nelle quali è stata
suddivisa la scienza moderna, sono impiegati per svolgere compiti accuratamente
definiti. Ogni specialista ha una competenza limitata, non può avventurarsi fuori
di quello che è considerato il suo legittimo campo di attività senza addentrarsi in un
territorio di competenza di qualche altro specialista.

Questo non vale solo per la professione medica, ma perfino per il ministro della
sanità, il cui campo d'azione è ben delimitato. Può ordinare la costruzione di più
ospedali, sovvenzionare la produzione di più preparati farmaceutici,
incoraggiare l'assunzione di più dottori e infermieri. II ministro può anche
apportare certi cambiamenti all'organizzazione del suo dicastero, ma questo è
quasi tutto. Contro le vere cause della malattia il ministro non può fare nulla.

Ancora più grave è la difficoltà di vedere come, all'interno della nostra società, si
possa porre rimedio all'attuale stato di cose. La società tecnologica è impegnata in
una direzione - quella dell'ulteriore sviluppo economico e industrializzazione -
che può solo aggravare tutti i problemi fondamentali che ha di fronte, compresa la
crescente cattiva salute dei suoi membri. A lungo andare, ovviamente, il problema
sara risolto, perché le condizioni stanno diventando sempre meno propizie al
processo industriale, tanto che andiamo incontro, in un futuro non troppo remoto,
all'inevitabile collasso socio-economico. Solo allora la nostra salute potrà
avere una svolta per il meglio, perché dalle rovine della nostra società industriale
possiamo sperare di veder nascere società più piccole e decentrate che potranno
final