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Addio alla classe operaia

di Romolo Gobbi - 14/04/2010

 
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Tanti anni fa scrissi un libro intitolato "Com'eri bella Classe Operaia", che tentava di raccontare la storia dell'infatuazione degli intellettuali per la classe operaia. In Marx, la classe operaia era la protagonista della sua teoria della lotta di classe per la costruzione del comunismo. I partiti comunisti di tutto il mondo tentarono per più di un secolo di conquistare gli operai ai loro ideali di società egualitaria. La conquista del potere dei partiti comunisti non ha però portato all'emancipazione della classe operaia, anche se la rivoluzione comunista fu un mito per gli operai del resto del mondo. Oggi la Cina, il Nord Corea e il Vietnam comunisti non esercitano più nessun fascino sugli operai del resto del mondo. E così i partiti di sinistra hanno dovuto convertire le loro ideologie in programmi moderati di tipo democratico. Ciò nonostante, o forse proprio per questa conversione, la classe operaia non si identifica più con le formazioni di sinistra. In realtà, anche quando i partiti comunisti erano tali esplicitamente, essi non ebbero mai il monopolio della classe operaia. Il comportamento elettorale degli operai era uno specchio esatto del voto dei cittadini in generale, anche se i partiti di sinistra raccoglievano la maggior parte dei loro consensi tra gli operai.

La mitologia intellettuale della "bella classe operaia" era ulteriormente fuorviante: si pensava che gli operai fossero lottatori continui, sinceri democratici, refrattari ai pregiudizi razzisti, contrari alla pena di morte, etc, ma non era così e, soprattutto, non è più così ora. Gli operai occidentali sentono sempre di più la divergenza dei loro interessi con quelli degli operai dei paesi più arretrati; infatti, questi ultimi sono disposti ad accettare condizioni di lavoro e salariali molto inferiori e quindi "i capitalisti" tendono a spostare le loro attività produttive nei paesi sottosviluppati o ad utilizzare gli immigrati più o meno clandestini in lavori sottopagati. Inutile dunque recarsi davanti alle fabbriche il giorno prima delle elezioni per conquistare il consenso degli operai; questi ormai sono in maggioranza lontani dalle ideologie di sinistra, sempre che lo siano mai stati.

Il desiderio di cambiamento dell'esistente non può dunque più fare affidamento sull'appoggio della classe operaia, anche se non si vede quale altra classe possa sostituirla. Dunque, se si vuol cambiare il sistema esistente nei paesi occidentali, si deve ripensare tutta la tradizione di sinistra e porsi degli obiettivi condivisibili dalla maggioranza dei cittadini. La salvaguardia del pianeta, minacciato dal cambiamento climatico e dall'aumento della popolazione mondiale, potrebbe essere l'obiettivo del rinnovamento politico. Anche in questo caso però bisogna liberarsi dalle mitologie ecologiste dei verdi, che si erano inserite nella tradizione progressista. L'ecologismo invece deve prendere coscienza della sua natura non progressista, cioè di credere possibile un cambiamento nel corso di una crescita continua.

La parola d'ordine lanciata tanti anni fa nel mio libro sull'operaismo era "deindustrializzare il Nord del mondo e spostare la produzione industriale nei paesi sottosviluppati". Oggi qualcuno perla di "decrescita" e comunque si propone di attenuare le enormi differenze tra le popolazioni delle varie parti del pianeta. Purtroppo non è possibile individuare in una classe particolare il protagonista di un tale cambiamento. Solo una rivoluzione culturale generale potrà cambiare il sistema globale e la stessa sopravvivenza del pianeta. Il "palazzo d'inverno" si trova oggi nei centri di produzione dell'informazione, che ci istupidiscono con i loro programmi di intrattenimento, ma che vogliono anche, con le insistenti visioni apocalittiche, farci accettare ulteriori limitazioni delle libertà individuali e, soprattutto, mantenere il potere nel momento in cui si verificheranno le catastrofi naturali continuamente profetizzate.