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Omero nel Baltico

di Alfonso Piscitelli - 16/04/2010


 
Molti indizi sembrano avvalorare l’origine nordica dei poemi omerici: le gesta di Achille e di Ulisse potrebbero risalire a un’età in cui le stirpi elleniche non ancora erano giunte nel Mediterraneo. Ma allora: dov’è Troia?
C’è un piccolo borgo nella Finlandia meridionale, posto su un’altura tra due fiumi, a poca distanza dal mare; il suo nome è Toija. Per quanto sia oggi insignificante alla vista, doveva essere abitata dagli uomini già in tempo molto antichi – antecedenti l’Età del Ferro. Nella sua area infatti non è difficile imbattersi, scavando, in splendidi esemplari di spade e punte di lancia. Qualche millennio fa, quando ancora molta terra finlandese non si era sollevata dai flutti, questa Toija doveva trovarsi proprio sulla costa del vasto mare Baltico al cospetto di una piccola isola.
Immersa nella magnetica atmosfera boreale, fatta di lunghe aurore e di interminabili crepuscoli che talora giungono fino alla mezzanotte contenendo al massimo il dominio delle tenebre, Toija sembra aver attraversato gli ultimi millenni in assoluta quiete, lontana dai vortici della strada. Nulla di particolarmente clamoroso è successo qui da quando nell’arcaica Era del Bronzo certi antichi guerrieri lasciarono in seno alla terra le loro spade e le lance che adesso i contadini, senza volerlo, raccolgono.
Non dovevano essere guerrieri da poco se oggi un ingegnere italiano appassionato di mitologia reca ha pensato di attribuire loro nomi altisonanti e a noi ben familiari… quelli di Patroclo, Enea, Ulisse ed Ettore!
Che la Toija finlandese possa essere Troia, l’unico vero luogo identificabile con la città che in una notte bruciò per l’astuzia di Ulisse, a prima vista pare un simpatico gioco di parole e nulla più. Ma Felice Vinci, che al borgo di Toija vorrebbe restituire la “erre” e con essa una gloria senza pari, è convinto di non scherzare. Fondendo archeologia e filologia omerica, Vinci in due libri (Homericus nuncius e Omero nel Baltico) ha accumulato una serie di indizî a favore della sua ipotesi, e si appresta ora a pubblicare un terzo libro.
La certezza archeologica di base – che cioè Toija sia stata luogo di battaglie proprio al tempo delle gesta di Achille – in sé non è una gran prova. In fondo una Ilio è gia stata scoperta ed è posto comprensibilmente in quel Mediterraneo in cui ancora oggi possiamo ammirare i luoghi citati nell’Iliade e nell’Odissea: Itaca, il Peloponneso… voler sovvertire questo scenario incontrovertibile può sembrare impresa pazzesca. E tuttavia, insinua Vinci, nel “Mediterraneo di Omero” c’è qualcosa che non quadra. Già gli antichi geografi si resero conto che i posti descritti minuziosamente dal vate non combaciavano affatto con le rispettive realtà.
Per Omero il Peloponneso è un’isola pianeggiante (come dice la parola stesas: Peloponesos: isola di Pelope) e non una penisola montuosa. Per Omero l’Ellesponto è un vasto mare, non una strettoia quasi fluviale come lo stretto dei Dardanelli.
Quanto a Itaca, essa non rispetta affatto la posizione attribuitale nell’Odissea: non vi è in essa alcuna traccia della descrizione omerica; e d’altra parte, dov’è Dulichio, l’”isola lunga” che dovrebbe essere al suo cospetto? Infine Troia, “Troia VII”, portata alla luce da Schliemann, solo forzatamente può essere identificata con la città omerica. L’eminente storico Moses Finley ha reagito apertamente a tale identificazione.
Certamente sulla Troade di Omero aleggia un clima ben strano: la neve cade anche sulla spiaggia, gli scudi si incrostano di ghiaccio, la nebbia è onnipresente, gli eroi vestono pesanti tuniche anche d’estate e non sudano mai a causa del sole, che infatti non brucia. Sembrerebbe quasi che “Omero”, o chi per lui, non conoscesse il clima dell’Anatolia, né tantomeno il Mar Mediterraneo, che infatti nei poemi appare sempre “brumoso” e “livido”, avvolto nella nebbia, scosso da tempeste e terribili raffiche di vento, solcato da enigmatiche “rupi galleggianti” che Richard Graves non esitò a spiegare come iceberg!
Proprio Richard Graves, un’autorità in fatto di mitologia ellenica, aveva situato le avventure di Ulisse nello scenario dell’Atlantico settentrionale e della costa della Norvegia.
Indipendentemente da Graves, Vinci è giunto alla medesima conclusione e l’ha portata alle estreme conseguenze. Non solo Ulisse si è mosso nel Mare del Nord, in uno scenario oceanico del tutto alieno dalla realtà mediterranea, ma egli stesso era un nordico (si direbbe un marinaio vichingo), come in fondo erano nordici – e qui si esce dal campo delle mere ipotesi – gli Achei e le altre genti elleniche, i “Danai” di cui parla Omero, e che giunsero nel Mediterraneo agli albori della storia europea dell’Età del Ferro.
Vinci è stato fulminato sulla via di Helsinki da un passo di Plutarco, in cui l’autore, riprendendo peraltro una tradizione abbastanza diffusa nell’antichità,m poneva l’isola di Calipso, Ogygia, a Nord della Britannia, a 5 giorni di navigazione: probabilmente nell’arcipelago della Fär-Øer come punto di partenza, e seguendo meticolosamente le rotte dell’Odissea, Vinci ha individuato la Scheria – la terra dei Feaci, che mai Omero chiama isola – in Norvegia: il Peloponneso e Itaca nelle isole occidentali della Danimarca; la Troade in Finlandia, sulle sponde di quello che in fondo è il Mediterraneo del Nord: il Baltico. Lì nella zona di Toija, a parte le armi dell’Età del Bronzo, Vinci ha ritrovato un vero e proprio “giacimento toponomastico”. Nel raggio di pochi chilometri, tanti insediamenti portano nomi curiosamente “omericheggianti”: Askanien (l’Ascania?), Karjia (I Carii, alleati dei Troiani?), Lyökki (i Lici?), Killa (Cilla?), Kikoinen (i Ciconi?). Intorno a Toija si estende una costellazione di nomi che ricordano i nomi delle popolazioni alleate ad Ilio. E non manca neppure il lago Enä, che ricalca il nome della ninfa delle fonti Enonne (figlia del fiume Eneo), che fu il primo e più innocente amore di Paride. Ovviamente a questo punto Vinci dovrebbe dimostrare che tali toponimi siano antichi non di secoli, ma di millenni. Per ora va però dato atto che la serie di coincidenze comincia a diventare impressionante e che in nessun’altra parte del mondo questa curiosa corrispondenza di nomi si ripete. Vinci d’altra parte si rende conto che l’ultima parola non può spettare ad argomenti del genere, ma deve riguardare l’archeologia: “la parola passi alla vanga”, dice perciò concludendo il secondo libro. Già, ma cosa la “vanga” dovrebbe portare alla luce? Non certo mura ciclopiche, se si vuol seguire il tracciato omerico, non certo roccaforti ben salde come quelle che caratterizzano le roccaforti micenee nel Mediterraneo.
Omero dice che le mura di Troia erano un misto di “pietre”, “tronchi” e “parapetti”.
Talvolta i tronchi della muraglia cigolano ed è agevole abbatterli. Perciò i Troiani sono soliti combattere “fuori le mura” per poi rifugiarsi rapidamente all’interno del recinto in caso di difficoltà: quasi un copione da Far West. Omero a un dato punto dice che il recinto del campo acheo avrebbe superato “per gloria” quello troiano! E il recinto degli Achei comprensibilmente era nulla più che una staccionata… D’altra parte sarebbe un anacronismo storico attribuire a una società palesemente arcaica come quella di Ettore e Priamo una struttura urbana che corrisponde a fasi ben posteriori di civilizzazione. Questa Ilio fatta di pietra e di legno, che può bruciare in una notte e può essere spazzata via da un’alluvione violenta (Iliade, L. XIII), più che le possenti fortificazioni della civiltà micenea-mediterranea ricorda i tipici insediamenti nord-europei tutti in legno, come, ancora in tempi recentissimi, la fortezza del Cremlino.
Constatazioni del genere spiazzano la rocciosa Hissarlik-”Troia” di Schliemann in Anatolia, e suggeriscono che vale la pena di tentare alcuni sondaggi nel terreno finlandese o in quello danese.
In attesa di appoggî finanziarî Vinci si è dato a un’opera di vasto monitoraggio delle fonti della mitologia non solo greco-omerica, ma ovviamente anche nordica. Scoprendo per esempio come un autore danese del XII secolo, Saxo Grammaticus, nella sua Historia Danorum, continuamente parli di guerre tra “Danesi” ed “Ellespontini”. Ci si è sempre chiesti come i Danesi trovassero modo di combattere, un millennio prima della rivoluzione tecnologica, guerre con le genti dell’Ellesponto mediterraneo. Ma Vinci, con un radicale cambio di prospettive, potrebbe sciogliere questo nodo. E se i Danesi fossero i Danai? E se gli Ellespontini (cioè i Troiani) fossero originariamente popoli del Nord? E ancora si scioglierebbe, seguendo Vinci, un nodo che riguarda da vicino noi Italiani. Gli antichi Romani si dicevano discendenti di Enea, ma se Enea viene dall’Anatolia è difficile conciliare l’arcaico ricordo dei Quiriti con le più avanzate ricerche protostoriche che pongono il punto di partenza dei Latini, tipica popolazione indoeuropea, in un territorio intermedio tra l’attuale Polonia e le repubbliche baltiche. Ma chiaramente se Enea fosse venuto dal Nord e non dall’Est…