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Neocolonialismo

di Simone Ziviani - 21/04/2010

 

«Con il termine Neocolonialismo si indica la forma di controllo di un'ex colonia di un Paese basata sulla dipendenza economica o sull'occupazione militare. Ciò avviene, ad esempio, quando un ex Paese colonizzatore ha il desiderio di arricchirsi dal punto di vista delle risorse di un territorio o di trovare manodopera a basso costo. Le comunità in fase di sviluppo presentano una inconfondibile tipicità: infatti solitamente le risorse del territorio abbondano e l' ambiente naturale è stato sfregiato solo recentemente ma in modo incontrollato. Le popolazioni di questi contesti socio-economici frequentemente conservano gli antichi costumi se non uno stile di vita ancora frugale. Il conformismo occidentale spesso non riconosce e rispetta quelle peculiarità e tende a proiettare la sua concezione annullando le radicate tradizioni e provocando danni sociali irreparabili. Inoltre il primo mondo approfitta della cooperazione tecnico-finanziaria per incidere sulla situazione politica di queste allo scopo di attuare piani di predominio. Il Neocolonialismo è diffuso in particolare nei Paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina. Questo fenomeno politico configura una nuova forma di colonialismo, che per quanto abilmente mascherata, non è meno involutiva di quella dalla quale molti popoli sono evasi, la presa di coscienza di questi ultimi della loro condizione e la necessità di un riscatto morale e politico potrebbe sfociare in conseguenze imprevedibili costituendo una minaccia per la stabilità mondiale Fonte: Wikipedia alla voce "Neocolonialismo"


«Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi» dal vangelo secondo Giovanni


«...Per restituire ai cittadini le loro libertà, occorre reinventare il concetto di democrazia...» Vandana Shiva


Introduzione

 

Nel luglio del 1944, in piena seconda guerra mondiale, i rappresentanti della coalizione antifascista si riunirono a Bretton Woods, una cittadina nel New Hampshire.

 

Durante tale incontro furono poste le basi del nuovo ordine mondiale, almeno per quanto riguarda il mondo capitalista. Fu stabilita la parità tra oro e dollaro e attraverso la creazione del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e del Gatt (antesignano dell’Organizzazione mondiale del commercio) si ideò di fatto un nuovo sfruttamento dei paesi più poveri, non più basato sull’occupazione diretta, propria dell’epoca coloniale, ma su una forma più subdola di soggezione economica e sociale. Tale fenomeno è conosciuto come neo-colonialismo.

 

Nel giro di tre lustri, infatti, quasi tutti i paesi del cosiddetto terzo mondo ottennero l’indipendenza dalla madrepatria (il 1960 è ricordato dall’Onu come l’anno dell’Indipendenza per eccellenza). Questo processo non si concretizzò sempre pacificamente: soprattutto nei domini del tramontante impero francese avvenne talvolta con indicibili spargimenti di sangue.i E comunque l’ottenuta indipendenza, come già accennato, non significò in alcun modo una reale autonomia per i nuovi stati, ma spesso rappresentò l’inizio di un calvario ancora peggiore.

 

Eppure siamo abituati a pensare che il 1945 sia una data spartiacque nella storia dell’umanità, l’anno “della vittoria riportata dai popoli liberi sui regimi che hanno tentato di asservire e di degradare la persona umana.”ii Ma se davvero la seconda guerra mondiale fu lo scontro del bene contro il male e dei liberatori contro gli oppressori, perché le ingiustizie aumentano e i padroni del mondo diventano sempre di meno e sempre più ricchi? Perché ci sono ancora bambini che muoiono di fame? iii

 

Le seguenti considerazioni non si propongono di fornire risposte a queste domande, risposte che a ben vedere nessuno potrebbe compiutamente dare, ma vogliono al contrario far sorgere qualche dubbio in più, soprattutto a chi a porsi dubbi non è abituato.


Alcuni presupposti culturali

L’Occidente ha sempre ritenuto che la superiorità tecnologica rispetto al resto del mondo, maturata in epoca moderna e contemporanea, corrisponda ad una sua presunta superiorità civile e morale. Da qui la volontà più o meno ipocrita di “esportare la civiltà”, attraverso modalità diverse a seconda dell’epoca e dei luoghi. Dal “fardello dell’uomo bianco” agli aiuti internazionali per favorire lo sviluppo del terzo mondo.

 

A questo proposito il giornalista e scrittore Massimo Fini sostiene che l’Occidente operi una distinzione manichea tra Bene e Male. Codesto si considera il Bene, ed avverte la necessità di esportare sé stesso in tutto il mondo. Agli Stati Uniti e ai loro alleati sta riuscendo ciò in cui avevano fallito le grandi religioni, il colonialismo, il marxismo: l’occupazione di tutto il mondo con la propria ideologia, fondata sul primato e la libertà del mercatoiv E se ancora mezzo secolo fa la democrazia liberale era “il peggiore dei sistemi, ad esclusione di tutti gli altri”, ora nell’immaginario occidentale è il bene tout court.v Da esportare, all’occorrenza, con ogni mezzo.

 

Ma anche quando l’integrazione nel sistema capitalistico globale non avviene con le armi genera solo disastri. Tra gli stati usciti vincitori dalla seconda guerra mondiale era diffusa l’idea che per favorire lo sviluppo dei paesi arretrati era necessario avviare un processo di riduzione delle distanze osservabili con il mondo occidentale, da realizzarsi attraverso l’emulazione degli stessi paesi ricchi. Così nei primi vent’anni dopo il 1945 si consolidò l’idea che la razionalità occidentale avesse validità universale e che il modello di società industriale moderna fosse il traguardo fisiologico da raggiungere. E’ sorta in questi anni anche la “teoria degli stadi di sviluppo” di Rostow, che ha universalizzato il processo storico occidentale e ne ha fatto una legge: lo sviluppo è un processo univoco finalizzato alla crescita economica. Così furono indirizzate verso il terzo mondo determinate politiche per lo sviluppo, che hanno colto il risultato di distorcerne le strutture produttive, sociali e culturalivi

 


 

Un esempio
Scrive la scienziata indiana Vandana Shivavii che il Wto nel 1995 ha consentito alle multinazionali il diritto del possesso individuale delle sementi, cioè ha reso possibile privatizzare i semi delle piante, da sempre fonte di vita dell’umanità. Da quel momento condividere e anche solo conservare certe sementi- sacro dovere della tradizione culturale indiana- è diventato un crimine, un “crimine contro la proprietà intellettuale” ! Questa distorsione sociale, imposta dai potentati economici, e a cui il governo non ha potuto opporsi, è contraria al sapere tradizionale e agli antichi valori del popolo indiano. Inoltre, come se non bastasse, non ha portato alcun beneficio materiale ai poveri. In diverse sue opere la Shiva ha spiegato che queste distorsioni dei processi produttivi, imposti dagli enti liberisti per aumentare i profitti delle multinazionali, e mascherati da processi di modernizzazione, sono in realtà meno efficienti dell’agricoltura tradizionale. Un’inchiesta governativa indiana rivelò che in una regione in cui nel 1991 una carestia aveva ucciso 8000 bambini, in precedenza non era mai morto di fame nessun bimbo tra gli 0 e 6 anni. Almeno fino a quando, appunto, non fu imposto il libero mercato…viii Agricoltura tradizionale significa biodiversità, rispetto per l’ambiente, varietà e non monocultura, consumo locale e molto altro: ciò è solo apparentemente più costoso. Se, come non si dovrebbe fare, si considerasse solo l’aspetto economico contingente e non il rispetto per l’ambiente, la salute umana, il lavoro dei piccoli produttori, scopriremmo ad esempio che il cibo non locale non è economico, ma carissimo. La Shiva cerca di spiegare questo ricordandoix che spesso in India il grano non arriva dalle zone vicine ma dall’estero: in un’economia globalizzata le merci si spostano con gli aerei, che bruciano quantità enormi di idrocarburi (a basso prezzo per le sovvenzioni statali) e dopo aver contribuito all’inquinamento dell’aria, grazie al basso costo dei trasporti, possono essere vendute a prezzo irrisori e sbaragliare la concorrenza dei produttori locali. Questo sistema inquina l’aria, danneggia la salute dell’uomo e rovina migliaia di piccoli contadini, ma da un punto di vista mercatista-economicista è più efficiente.

Una delle possibili definizioni del neocolonialismo può essere il dominio occidentale del mercato globale capitalista, esercitato sui paesi produttori di materie prime. Questo avviene principalmente grazie al ruolo degli enti economici internazionali.

Conosciamo meglio queste organizzazioni, che un’intera letteratura descrive come i maggiori i responsabili delle ingiustizie globali che vogliamo analizzare.

 

La banca mondiale fu creata durante la famosa riunione di Bretton Woods. Il compito dell’istituzione era favorire la ricostruzione dei paesi colpiti dalla guerra e promuovere lo sviluppo dei paesi poveri. La banca si divide in cinque sezioni, di cui le più significative per quanto riguarda la nostra analisi sono dette Ibrd e Ida. Il prima promuove, con garanzie o partecipazioni a prestiti, un afflusso di capitali privati a paesi poveri, e in mancanza di questi, li finanzia direttamente. Raccoglie fondi in mercati obbligazionari mondiali e li presta a questi paesi per favorirne lo sviluppo. Data la sua solidità economica, può concedere prestiti a interessi relativamente bassi. A questi prestiti possono accedere gli stati con un reddito annuo pro-capite sotto a 6070 dollari.xvincolata all’accettazione delle politiche del Fmi (e vedremo cosa questo voglia dire). Inoltre la banca è una realtà poco democratica, una sorta di timocrazia: il potere decisionale è nelle mani dei ricchi. Il potere di voto dipende dalle quote azionarie possedute, che a loro volta derivano dal peso economico dello stato. Gli Usa detengono il 16% del potere di voto, i 47 paesi dell’Africa sub- sahariana complessivamente il 5,4%.xi Il presidente, ovviamente, è sempre stato scelto dagli Usa. Tra il ’68 e l’81 l’istituzione fu presieduta da tale McNamara. In questi anni egli diede grande impulso al processo che avrebbe portato gli stati poveri ad abbandonare l’economia di sussistenza e a sposare il principio della specializzazione economica. Se le cose stanno così, allora dov’è l’inghippo? In primo luogo l’assegnazione di prestiti è

 

Anche il Fmi è una creatura di Bretton Woods. Questo è una sorte di ministro delle finanze globale. Nato per facilitare l’espansione dei commerci e stabilizzare i tassi di cambio, il suo compito principale, di fatto, è stato rassicurare i ricchi che investono nei paesi “in via di sviluppo”.


 

Due parole sul debito pubblico

 

Soprattutto dopo il crollo dei costi delle materie prime, contestualmente alla crisi petrolifera degli anni ’70, i paesi del terzo mondo si indebitarono presso banca mondiale e Fmi, i quali vincolarono la concessione di prestiti all’accettazione dei famigerati “piani strutturali” neoliberisti:

 

E' negli aggiustamenti strutturali che la banca riesce quindi a far convergere gli obiettivi suoi e quelli perseguiti dal fondo monetario internazionale e dall’organizzazione mondiale del commercio, creando la premessa per la liberalizzazione degli scambi e degli investimenti esteri nei paesi in via di sviluppo”xii . Le tappe classiche di questi piani sono: svalutazione della moneta nazionale, privatizzazione di beni e strutture, tagli alla pubblica amministrazione e drastica riduzione dei salari , tagli allo stato sociale (scuola e sanità). Tutto ciò, a dire dei capoccia liberisti, al fine di dare stabilità al paese, far calare l’inflazione, e attirare gli investitori internazionali. Una volta applicate, queste politiche ottengono, nella quasi totalità dei casi, il risultato di mandare in rovina la maggior parte della popolazione. Spesso le economie dei paesi non sono mature per passare all’economia di mercato, o i processi non sono portati avanti in modo adeguato. Così, a fronte di una ristretta minoranza che ottiene guadagni enormi, il popolo perde quel poco che aveva. L’integrazione nell’economia globale, dovuta all’apertura forzata alla concorrenza delle multinazionali, e quindi la fine dell’agricoltura tradizionale votata all’autoconsumo, porta alla rovina dei piccoli contadini, che spesso cercano di trasferirsi ai margini delle città, ingrossando le cosiddette baraccopoli, mega-assembramenti di persone che vivono alla bene meglio in precarie condizioni igieniche.

 

Le multinazionali esercitano questo potere grazie alle regole del libero scambio: poiché ogni merce viene venduta in base al suo costo di produzione, loro che hanno la possibilità di migliorarsi continuamente riuscendo a invadere ogni mercato.

 

Dopo un piano strutturale, tutto è meno caro, e gli investitori occidentali possono guadagnare ancora più di prima. Il debito estero dei paesi in via di sviluppo, quindi, è come un cane che si morde la coda, è un vortice senza soluzione. Basta una breve ricerca in rete per scoprire che le politiche imposte dagli enti internazionali al servizio di Washington hanno solo impoverito i paesi del terzo mondo: tra il 1995 e il 2000 i paesi poveri hanno versato ai ricchi 50 miliardi di dollari all’anno di interessi sul debito. Ancora: nel 1970 il loro debito complessivo era 75 miliardi di dollari, ora ammonta a 9000. Una delle preoccupazione reali del Fmi è evitare che la bancarotta di un paese arretrato, spesso provocata dalle misure da esso stesso imposte, non si tramuti in perdite per le banche occidentali creditrici. Arricchire i già ricchi e provocare danni ai poveri sembra la più concreta attività del Fmi.

 

La scritta che campeggia all’ingresso della Banca mondiale “Il nostro sogno un mondo senza povertà” a questi punti ricorda davvero l’ “Arbeit macht frei”, il sinistro motto sul cancello del lager di Auschwitz.

 


Colonialismo e neocolonialismoxiii

L’Africa, ai primi del ’900, era alimentarmente autosufficiente e lo era ancora, quasi del tutto, fino agli anni ’60. E’ ciò che sostiene Massimo Fini.xivxv. Vediamo ora come Fini prosegue la sua analisi. Nel continente nero, insomma, non si è sempre morti di fame, almeno non nelle proporzioni attuali. Da cosa deriva allora la situazione di indigenza endemica cui ci hanno abituato le cronache? Una possibile risposta a questa domanda ce la potrebbe suggerire lo stesso Fini nel momento in cui ci illustra cosa è cambiato dopo la seconda guerra mondiale, quando cioè è avvenuto il passaggio dal colonialismo al neo-colonialismo. Per quanto mi riguarda, mi preme ricordare che il primo fu responsabilità di regimi dittatoriali (come il fascismo italiano), monarchie costituzionali (in primis Regno Unito), repubbliche democratiche (Francia, Usa) … e che invece il secondo è quasi esclusivamente ascrivibile all’azione delle liberal-democrazie

 

Il vecchio capitalismo commerciale - spiega il giornalista - ha generato il colonialismo tardo ottocentesco operando su una domanda che c’era già; il capitalismo industriale invece deve creare i beni, non solo trasferirli. Una volta creati, li deve smerciare, e per questo ha bisogno di nuovi mercati ( il terzo mondo). Ma le conseguenze per i paesi poveri del loro inserimento forzato nelle logiche economiche globali si è rivelato disastroso. Il colonialismo derubava il paese assoggettato delle sue materie prime, ma usualmente non modificava stili e culture di vita. Il neocolonialismo, dovendo cercare sempre nuovi mercati, deve imporre culturalmente l’american way of life. In una economia mondiale integrata le merci non vanno dove servono, ma dove ci sono i soldi. Così il 66% della produzione mondiale di cereali serve per alimentare le bestie da allevamento dei ricchi (i “porci degli americani”). Le legge del mercato, dogma indiscusso del “mondo libero”, costringe i poveri del mondo a vendere agli animali degli occidentali il cibo che potrebbe sfamare loro e i loro figli.

 


 

Jean Ziegler e i feed-lots della California

 

Vediamo come approfondisce questo tema Jean Ziegler, sociologo svizzero e consulente Onu, autore di molti pamphlet sull’argomento della fame del mondo e dello sfruttamento globale. In America, scrive in uno dei suoi ultimi libri,xvi esistono enormi recinti climatizzati detti feed-lots. Qui moltitudini di vacche immobili vengono alimentate attraverso periodiche distribuzioni meccanizzatexvii. La metà del mais necessario a nutrire i soli feed-lots della California potrebbe sfamare l’intero Zambia per un anno ! Ma l’aspetto veramente grave e rivoltante della vicenda ce lo spiega Ziegler poche righe dopo. Il prezzo del grano è frutto di speculazioni, è creato artificialmente: a gestire il mercato mondiale delle materie prime è un pugno di banchieri che si riunisce a Chicago, i quali se la intendono con un piccolo gruppo di industriali che attraverso succursali in tutto il mondo gestisce il mercato globale del grano. Questi agiscono inseguendo unicamente l’obiettivo di massimizzare il profitto, infischiandosene del fatto che il grano è indispensabile all’alimentazione dell’uomo da millenni. I due degli strumenti usati da questi pescecani per aumentare i profitti sono lo stoccaggio ed il dumping. Giocando in questo modo, comprano-vendono e vendono-comprano quando è per loro più vantaggioso, come Zio Paperone nelle storie Disney. Ma lo fanno sulla pelle di milioni di persone indigenti.

 


Ecco una breve carrellata di altri disastri provocati dagli enti economici internazionali e da varie aziende criminali occidentali:

 

 

 

Kenia e Tanzania:xviii in questi due paesi fino agli anni ’80 i rispettivi governi sostenevano i piccoli agricoltori, e la loro produzione alimentare cresceva rispettivamente del 5 e del 7% all’anno! Inoltre, come altri paesi africani, applicavano dazi doganali all’importazione di mais, grano e riso, per proteggere i piccoli produttori locali. Travolti dal vortice del debito, hanno dovuto modificare radicalmente la loro produzione in funzione degli interessi europei ed americani. I noti aggiustamenti strutturali neoliberisti hanno fatto il resto. Anche qui le multinazionali occidentali hanno inondato i mercati costringendo i produttori locali a soccombere. I due paesi, dal canto loro, sempre più strozzati dal debito, hanno finito per esportare anche quello di cui avrebbero bisogno.

 

-Messico:xix (ma si potrebbe dire anche Argentina, Brasile...): negli anni ’90 il peso era sopravalutato, e quando crollò gli investitori stranieri ritirarono i loro soldi. Allora, scavalcando il congresso, il Presidente Clinton impose al Fmi di prestare dieci miliardi di dollari al Messico, per venire incontro alle esigenze dei messicani più ricchi e degli investitori americani. In cambio, al paese fu imposto il consueto piano strutturale sulla falsariga di quelli che abbiamo già visto. Con conseguenze drammatiche per la parte più povera della popolazione.

 

-Zambia:xx negli anni ’60 il governo socialista aveva garantito istruzione e sanità gratuita per tutti. Poi arrivarono gli anni ’70 e la crisi petrolifera, e il paese si indebitò presso gli enti internazionali. Nei primi anni ’90 avvenne la ben nota “svolta liberista”: il sistema viario, le case popolari e le altre strutture pubbliche furono privatizzate, la scolarizzazione si dimezzò, le miniere di rame furono svendute. Il debito estero di questo paese stritola la sua economia: è come se ogni abitante dovesse al suo esattore di New York 860 dollari !

 

-Valle dell’Awash, est Etiopia:xxi in questa valle, durante il tempo della transumanza, viveva il popolo degli Afars, dedito alla pastorizia. La banca mondiale negli anni ’60 finanziò un’azienda olandese perché realizzasse dei campi di canna da zucchero nella valle. Gli afars furono costretti a rifugiarsi negli altipiani circostanti, dove terre non fertili riuscivano ad alimentare a malapena le popolazioni preesistenti. Risultato: negli anni successivi soffrirono una carestia che uccise 35000 persone. Si, 35000! Oltre dieci volte il numero delle vittime dell’11 settembre. Ma è facile scommettere che ciò avvenne nella più totale indifferenza degli occidentali.

 

-Cile:xxii all’inizio degli anni ’70 il paese sudamericano era una colonia delle aziende yankee. In particolare la Nestlè controllava il mercato del latte grazie a contratti con distributori e il possesso di fabbriche. Quindi, quando Salvador Allende concepì il piano della distribuzione gratuita di latte ai minori di quindici anni, non poté non rapportarsi con l’azienda, che però si rifiutò di collaborare e la distribuzione non avvenne. Tuttavia, pochi anni dopo i contrasti tra il governo cileno e le multinazionali spinsero i perenni esportatori di libertà a favorire un colpo di stato conservatore. Allende, morto combattendo, divenne un’icona della sinistra mondiale. Il suo successore, il generale Pinochet, fu responsabile dell’eccidio di migliaia di oppositori. Ma non solo: mentre Allende si era impegnato nella tutela del patrimonio forestale nazionale, Pinochet pensò bene di svendere per pochi soldi interi lotti di foreste a grandi trusts nordamericani, come Minico e Terranova.

 

-India:xxiii nel 1998 la Banca mondiale impose di accettare l’ingresso di multinazionali del settore agroalimentare. Queste, oltre a imporre coltivazioni monoculture a scapito della tutela della biodiversità, finirono per stritolare i piccoli produttori, spesso costretti a indebitarsi. Un fenomeno, qui particolarmente drammatico, è l’estrema protesta dei piccoli produttori rovinati, che spesso finiscono per suicidarsi. Solo nel 2004 sono stati 16000 i contadini indiani suicidi perché rovinati dalle logiche dell’economia globale.

 

-Burkina Faso:xxiv Jean Ziegler racconta che il Presidente Sankora negli anni ’80 avviò una serie di riforme federali volte a superare la cronica corruzione e inefficienza tpica dei governi africani post-indipendenza. In particolare decise di far coincidere le varie zone tribali con i confini amministrativi. Il popolo ne fu spronato e lavorò spontaneamente con grande dedizione alla costruzione di opere pubbliche, come lunghe ferrovie. Questo orgoglio e questa presa di coscienza si diffusero anche nei paesi limitrofi: possiamo dire che dal Burkina si ebbe un irradiamento di fierezza indigena, una sorta di primavera dei popoli centro–africani. Ma le potenze neo-colonialiste ovviamente non poterono tollerare ulteriormente la situazione. Così la Francia teleguidò un golpe militare dall’estero, nel corso del quale Sankora perse la vita. L’attuale dittatore è un burattino nelle mani di Parigi.

 


 

Bene: fermiamoci un attimo. Parigi, abbiamo detto. La Francia dai tempi della rivoluzione del terzo stato si considera luce di civiltà e nazione guida dei popoli liberi, che continua a irradiare con la sua storia ed il suo esempio. Ma quanto è credibile questa autorappresentazione?


Ruanda, prima metà degli anni ’90 : l’odio tra le etnie degli hutu e dei tutsi, alimentato da decenni di “divide et impera” operato dai colonizzatori tedeschi e soprattutto belgi, esplode in tutta la sua violenza. Vediamo come si svolsero i fatti secondo la cronaca del giornalista Alberto Sciortino.xxv Nel 1990 i tempi erano maturi perché i profughi ruandesi di etnia tutsi fuggiti negli anni precedenti potessero tornare in patria. La maggior parte di loro si era rifugiata nella vicina Uganda e lì il Fronte ruandese patriottico, che fungeva da coordinamento dei tutsi, aveva la sua base. Ma Parigi non poteva accettare che un movimento con base in Uganda, un paese soggetto agli Usa, prendesse il potere in Ruanda, dove comandava un dittatore filofrancese e di etnia hutu. Quindi, nonostante il Frp raccogliesse anche il consenso degli hutu moderati e perciò una sua affermazione avrebbe rappresentato una buona prospettiva per la pace, la Francia intervenne direttamente e rallentò l’avanzata del Frp. Contestualmente a ciò, provvide ad armare e finanziare gli hutu ruandesi. Negli anni successivi, dopo la morte in circostanze poco chiare dei presidenti di Ruanda e Burundi, la situazione degenerò e si compì il massacro di circa ottocentomila tutsi. I francesi, per volontà del presidente socialista Mitterrand, non solo non intervennero, ma, presenti nella zona con l’operazione Torquoise, impedirono l’accesso di una forza interafricana di interposizione ! Ma non basta: per suggellare degnamente l’opera, pensarono bene di garantire l’impunità ai capi hutu responsabilixxvi dei massacri, permettendo loro di fuggire prima che la capitale Kigali venisse finalmente espugnata!

 

Aldilà di questo caso estremo, in Africa, la Francia dagli anni ’60 è intervenuta militarmente ben ventotto volte. Nel 2004 ad esempio ci fu uno scontro aperto tra l’armè e l’esercito della Costa d’Avorio, il cui presidente, colpevole di voler limitare gli interessi economici delle aziende francesi, fu redarguito e “richiamato all’ordine” dall’allora presidente Chirac addirittura durante un incontro pubblico.xxvii Più in generale, dopo la decolonizzazione i francesi hanno mantenuto un legame di forte dipendenza verso una serie di stati vassalli, di cui si servono ad esempio nel corso delle assemblee dell’Onu, facendoli votare conformemente agli interessi della “patrie”. Questo, essenzialmente, attraverso l’appoggio economico e militare ai dittatori e la gestione e lo sfruttamento delle materie prime. Siano le miniere di ferro della Mauritania o il gas del Gabon, lo schema è sempre lo stesso: l’azienda francese, nel caso degli idrocarburi leader del settore è ad esempio l’azienda “Elf”, gode dei proventi delle risorse naturali, che spartisce con un limitato e corrotto ceto locale. Niente male per la patria delle “libertè”! Se poi consideriamo, solo di sfuggita, i conflitti con l’altro paese delle libertè per eccellenza, gli Usa, nel predominio sul continente nero, le cose si fanno grottesche. Spesso infatti dietro alle guerre che insanguinano l’Africa ci sono gli interessi economici degli occidentali, che vendono armi ai belligeranti e, talvolta, li usano strumentalmente per risolvere i loro contrasti e ridistribuire il potere imperialista! Ci limiteremo a fornire un solo esempio: prima della guerra del Congo, gestivano le risorse di idrocarburi solo la agip e la elf, ora sono riuscite ad inserirsi anche la Exxon ed altre ditte americane.xxviii

 

La guerra civile in Congo, in ogni caso, presenta molte problematiche che si sovrappongono le une sulle altre. La causa principale è il commercio di un minerale detto tantalio, che serve anche per costruire ritrovati tecnologici. E, per molti anni, almeno fino al 2007, è stata commercializzata dal gruppo farmaceutico tedesco Bayer, a sua volta proprietario di H.C. Starck. Vediamo come il giornalista austriaco Klaus Werner ha dimostrato i tramesti di questa multinazionalexxix. Fingendo di avere dei contatti con i ribelli congolesi, egli ha offerto via email delle quantità di tantalio a un dirigente della HC, che, a nome della Bayer, ha ammesso di essere interessato ! Si, con questo semplicissimo trucco, Werner ha dato un piccolo esempio di come le multinazionali non rispettino le regole internazionali, e di come rimangano impunite: infatti il governo tedesco non si è poi curato, ovviamente, di prendere provvedimenti contro l’azienda!


 

Eppure...

 

Il 6 giugno 2009, in Normandia, si è festeggiato il 65° anniversario dello sbarco che avrebbe mutato le sorti del secondo conflitto mondiale. I presidenti Obama e Sarkozy, l’uno accanto all’altro, hanno rinverdito i fasti di una storia gloriosa: nelle loro patrie due rivoluzioni liberali, nell’ultimo squarcio del XVIII secolo, distrussero l’aberrante antico regime e aprirono le strade alla luce della modernità.

 

E le loro armi, tra il 1939 e il 1945, hanno sconfitto il “male ab-solutus” rappresentato dai fascismi. Sembrerebbe davvero incredibile che realtà statali fondate su sì nobile storia e ideologia (sic) si staglino, a ben vedere, dietro alla maggior parte dei guai che stanno passando gli africani, gli asiatici e gli altri abitanti del terzo mondo. Mi chiedo se le migliaia di persone accorse con la bandierina a stelle e strisce a festeggiare l’evento ne siano consapevoli.

 


Conclusione (?)

 

L’uomo occidentale, sottomesso alle logiche del mercato, è diventato un homo oeconomicus, un consumatore. E - citando ancora una volta Massimo Finixxx- un consumatore neanche consapevole, ma in balia della pubblicità offerta da tv e altri mezzi di comunicazione di massa.

 

Il culto del mercato ed il profitto economico elevato a unica regola sono le caratteristiche più pregnanti della nostra epoca, e sono alla base della più grandi ingiustizie globali. Dopo la seconda guerra mondiale gli Usa hanno imposto definitivamente la civiltà del mercante al mondo europeo, ma non è vero che non ci siano alternative a questo modello. Certo, se criticare la società liberale è tutt’altro che impossibile, passare alla fase costruttiva e proporre validi sostituti è assai più complesso. Come già detto, la democrazia liberale presenta sé stessa come il bene tout court: ciò implica che tutto ciò che con essa contrasta sia il male. E’ ad esempio funzionale agli interessi della liberal-democrazia bollare determinate realtà storiche come “male assoluto” e perseguire moralmente (e talvolta anche penalmente) chi si propone come “revisionista”. Così facendo essa taglia le gambe a qualsiasi esperienza politica che si proponga di rivedere lo stesso concetto di democrazia. A questo proposito è di vitale importanza ribadire che ciò non significa una volontà di proporre, sotto qualsiasi forma, regimi autoritari già conosciuti in passato, bensì cercare nuove forme di rappresentanza, promuovere forme diverse di partecipazione sociale, più attive e consapevoli...

 


Abbiamo potuto fare un’analisi solo parziale delle dinamiche dello sfruttamento globale dei più deboli, dei suoi presupposti, delle sue ipocrite giustificazioni. Tanto meno si può pensare in questa sede di parlare dei rimedi, degli antidoti alla degenerazione economicista, che trova i suoi fondamenti nel liberalismo politico e nel liberismo economico.

 

Per oggi ci accontentiamo di divulgare una denuncia, domani proveremo a vedere come si può arrestare questo sistema perverso.

 

Note

i Solo nella guerra d’Algeria (1954-1962) si contarono 1000000 di vittime. Fonte: Vernassa-Tamburini, Lineamenti di storia e istituzioni dei paesi del Maghreb post-coloniale, pisa,plus,2005

ii Dal preambolo della costituzione della IV repubblica francese del 1946. Fonte: http://www.dircost.unito.it/cs/docs/francia194.htm

iii Secondo l’ente dello sviluppo dell’Onu, Undp, le 500 persone più ricche del mondo hanno un reddito annuale superiore ai 416 milioni di persone più povere; nel 1962 il reddito dei 20 paesi più ricchi era 54 volte superiore a quello dei 20 più poveri, nel 2002 era 121 volte superiore; sono circa 25000 i bambini che muoiono di fame ogni giorno. Fonte: “Il libro che le multinazionali non ti farebbero mai leggere” Klaus Werner Lobo, Newton Compton Editori, 2008

iv Fonte: Massimo Fini, Il vizio oscuro dell’occidente. Manifesto dell’antimodernità, Marsilio, 2004

v Fonte: Massimo Fini, Sudditi. Manifesto contro la democrazia, Marsilio, 2004

vi Fonte: Introduzione alla sociologia, a cura di M.A.Toscano,Editore Franco Angeli, 2006

vii Fonte: Fonte:Vandana Shiva, Il bene comune della terra, serie bianca feltrinelli,2006

viii Fonte: ibidem

ix Fonte: Vandana Shiva, Ritorno alla terra, Fazi editore, 2009

xFonte:Alessandro Magnoli Bocchi Matteo Piazza,La banca mondiale,Il Mulino,2007

xiFonte: ibidem

xiiFonte: De Michelis Ferrari Masto Scalettari,No global, zelig editore, 2001

xiii A riprova del fatto che il colonialismo, se non migliore, di certo non fu peggiore del neocolonialismo possiamo citare “Impero” di Niall Ferguson, Mondatori, 2009, per il quale il pil pro-capite britannico al termine del periodo coloniale era 7 volte superiore a quello dello Zambia, e ora lo è ben 28 volte. E lo schema si ripete per tutte le ex colonie inglesi in africa sub-sahariana a eccezione del Botswana

xiv Fonte: Massimo Fini, Il vizio oscuro dell’occidente. Manifesto dell’antimodernità, Marsilio, 2004

xv A questo punto il lettore attento potrebbe obiettare che quasi tutti gli stati africani sono governati da regimi infidi e corrotti, tutt’altro che democratici. Il che risponde a verità. Ma per fare affari a spese dei loro popoli questi dittatori, spesso figure patetiche, hanno rapporti organici con le nostre democrazie. Per essere corrotti bisogna essere in due…

xvi Jean Ziegler, La fame del mondo spiegata a mio figlio, Pratiche editrici, 1999

xvii Sic: il profitto economico elevato a legge razionale e morale di vita, fa si che queste bestie vivano immobili l’intera loro vita. Ma in questa sede non possiamo approfondire a dovere i danni all’ambiente e le sofferenze agli animali generate dal capitalismo senza regole

xviii Fonte:Romino Arena,Il neoliberismo, breve storia sui metodi per affamare il mondo, tratto da www.ariannaeditrice.it


xix Fonte: De Michelis Ferrari Masto Scalettari, No global, zelig editore, 2001

xx Fonte: ibidem

xxi Fonte: Centro nuovo modello di sviluppo. Nord/sud. Predatori, predati e opportunisti. Editrice missionaria italiana, Bologna 1996

xxii Fonte: Jean Ziegler, La fame nel mondo spiegata a mio figlio, Pratiche editrice,1999

xxiii Fonte:Vandana Shiva, Il bene comune della terra, serie bianca feltrinelli,2006

xxiv Fonte: Jean Ziegler, La fame nel mondo spiegata a mio figlio, Pratiche editrice,1999

xxv Fonte: A.Sciortino,L’Africa in guerra. I conflitti africani e la globalizzazione. Baldini Castaldi Dalai Editore, 2008

xxvi Fonte: ibidem

xxvii Fonte: ibidem

xxviii Fonte: ibidem

xxix Fonte: K.Werner Lobo, Il libro che le multinazionali non ti farebbero mai leggere.Newton Compton editore, 2008

xxx Fonte: Fonte: Massimo Fini, Il vizio oscuro dell’occidente. Manifesto dell’antimodernità, Marsilio, 2004