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BRIC(k): un mattone in faccia a Obama

di Romolo Gobbi - 22/04/2010


Da alcuni mesi gli USA fanno pressione sulla Cina perchè questa rivaluti la sua moneta, lo yuan. L'11 marzo "il presidente Barack Obama ha esortato la Cina ad assumere un approccio valutario più orientato al mercato". In sostanza, gli USA sono preoccupati del crescente disavanzo commerciale con la Cina, che, secondo il Segretario del Tesoro, Tim Geithner, mantenendo basso lo yuan, favorirebbe l'esportazione delle sue merci negli Stati Uniti. L'accusa da portare davanti al Fondo Monetario Internazionale, sarebbe di "manipolatore di valuta", perchè il governo cinese "stava cercando uno scorretto vantaggio commerciale quando aveva sospeso l'apprezzamento dello yuan". Il premier cinese Wen Jiabao, al termine della sessione autunnale del partito comunista cinese, ha ribadito che la Cina "sulla spinosa questione della rivalutazione dello yuan resta ferma sulla sua posizione. Pechino manterrà il cambio stabile". La questione non riguarda soltanto il futuro, ma anche l'enorme debito accumulato dagli USA; infatti, la Cina ha riserve per circa tremila miliardi di dollari. Una rivalutazione dello yuan nei confronti del dollaro svaluterebbe automaticamente il valore del debito americano: una rivalutazione del 10% "significa una perdita teorica secca del valore di quelle riserve per trecento miliardi di dollari". Secondo i cinesi, gli americani "prima chiedono i soldi in prestito e poi, quando si tratta di restituirli, pretendono lo sconto e non lo chiedono nemmeno come un favore, ma lo esigono battendo i pugni sul tavolo". Inoltre, la rivalutazione dello yuan porterebbe anche ad una caduta delle esportazioni cinesi. "Calcoli del governo sostengono che l'1% di rivalutazione può corrispondere ad un 1% di riduzione delle esportazioni e quindi ad una diminuzione esponenziale dei posti di lavoro". Infatti, secondo i cinesi, "gli americani vogliono risolvere il problema di disoccupazione in casa loro creando disoccupazione da noi e in più minacciano guerre commerciali". Anche l'Europa avrebbe interesse ad una rivalutazione dello yuan per diminuire il valore del deficit nei confronti della Cina, ma: "se le merci cinesi aumentassero di prezzo, i forti acquirenti come Gran Bretagna e USA potrebbero trovarsi con meno denaro da spendere in prodotti europei. Anche i produttori esteri in Cina sarebbero penalizzati. Circa metà dell'export tedesco verso la Cina è rappresentato da macchinari e componenti elettrici, spesso usati nel settore dell'export". Che il comportamento monetario della Cina riguardi anche l'Europa è dimostrato dal fatto che "negli scorsi cinque anni l'euro si è rivalutato sul dollaro perchè i cinesi hanno venduto dollari per comprare molti euro". La questione della rivalutazione dello yuan è comunque un fatto di scelte politiche e non un problema economico: "nonostante un tasso di cambio stabile, negli ultimi mesi il trade surplus ha continuato a ridursi fino a diventare negativo a marzo. Ciò dimostra ancora una volta che il fattore cruciale dell'equilibrio commerciale non è il tasso di cambio, bensì il rapporto tra domanda e offerta sul mercato". L'economia cinese in crescita, anche durante la crisi, ne ha attenuato gli effetti negativi e il vice-ministro del Commercio cinese, Yi Xiaozhun, ha dichiarato che: "L'economia mondiale è ancora in fase di recupero, quindi noi siamo molto preoccupati per la debolezza della domanda globale e per l'aumento del protezionismo".
Dunque, le pretese americane di una rivalutazione dello yuan otterrebbero non solo un indebolimento della crescita economica cinese, ma frenerebbero anche la ripresa globale.
Alla pretesa politica americana ha risposto durante il vertice del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina)il presidente della Repubblica cinese, Hu Jintao: "Ci siamo sempre mossi verso l'attuazione di un sistema a tasso variabile, basato sui principi della nostra iniziativa, in modo controllato e graduale".
Il BRIC è un'alleanza politico-economica, che negli ultimi mesi ha tentato di attenuare la pretesa egemonica degi USA sull'economia mondiale. La dichiarazione del presidente cinese è un vero e proprio schiaffo alle pretese americane: "un quarto di sì e tre quarti di no, insomma, alle pressioni USA per un cambio deciso davvero dal mercato".