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Business is business. E non solo...

di Ugo Gaudenzi - 27/04/2010

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Con un certo interesse abbiamo rinvenuto ieri la notizia - tenuta per un paio di settimane ovviamente “in archivio” dai media embedded d’Occidente - di un proficuo rapporto di collaborazione tecnologico-militare-economico tra Turchia e Israele, da un canto, e Colombia, dall’altro.  In gioco c’è la fornitura “fifty-fifty” a Bogotà, per un totale di 250 milioni di dollari, di carri armati Merkava (gli M60A1) progettati dalle industrie militari ed elettroniche dell’industria di Stato Militare di Tel Aviv (Imi) e assemblati dalla Ssm governativa turca.
L’ accordo turco-israeliano siglato l’8 aprile scorso, prevede – dopo la già realizzata produzione congiunta del 170mo “vecchio” Merkava, quale parte del precedente programma turco israeliano comune (2002) per 687,5 milioni di dollari – un nuovo pacchetto (otto anni di produzione congiunta) di forniture militari da destinare, appunto, ai cosiddetti “Paesi del Terzo Mondo”.
A prescindere dall’ “interesse” anche, come dire, personale, sullo stato di salute dei “Merkava” (nel 1982 la bocca di un cannone da 120 mm di quel tipo di tank si appoggiò delicatamente ad altezza della guancia di chi scrive sulle alture di Tiro (Libano) invase dall’esercito israeliano..) , ventotto anni dopo, la domanda che ci poniamo è semplice semplice.
Ma la Turchia, secondo alcuni dotti scienziati geopolitici nostrani, non aveva troncato di netto i suoi rapporti con Israele?
Già. Si afferma così. Il governo islamico di Ankara del primo ministro Recip Erdogan era o è – dicono - “passato” sul “fronte della giustizia”, come dimostrato dalla veemente denuncia del massacro di Gaza del gennaio 2009 e visto che continua tuttora a rigettare, con dure prese di posizione, le minacce – e non solo minacce – militari israeliane contro i palestinesi di Gaza, la Siria e l’Iran. Uno “spostamento di fronte” già determinatosi con la questione irachena e il rifiuto di Ankara di fornire basi di appoggio all’invasione anglo-americana dell’Iraq. E così letto anche per quel che riguarda il “non allineamento” turco nel confronto atlantico attuale contro l’Iran.
No. La verità è che la Turchia resta una testa di ponte, saldamente controllata dagli atlantici, con la Nato, a guardia dell’Occidente mediterraneo e del Mar Nero. E che, di fatto, tra governo integralista (islamico) di Erdogan e governo integralista (ebraico) di Netanyahu, c’è un comune sentire geopolitico. E, naturalmente “comuni interessi” economici, e militari. Come ha dichiarato Amos Yaron, consigliere del Ministero della Difesa di Tel Aviv: si tratta di comuni interessi che implementano i mutui legami militari, anche in momenti di tensione politica e diplomatica.
Ah, già. Gli M60 furono dati in dote dagli Usa a Israele. Israele ne ha migliorato la tecnologia. La Turchia li assembla. Le royalties della vendita di ogni nuovo Mk4 andranno naturalmente agli Usa e gli Stati Uniti avranno anche il diritto di veto e approvazione sulle licenze all’export.
Verso la Colombia del fedele Uribe, sì, naturalmente. Anche a prezzi scontati: ogni tank a 4 milioni, contro  i 9 per un Leopard o un Abrams. Se M60 più vecchi ma ricondizionati anche a 2,5 milioni di dollari...