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Biofuel sotto accusa

di Giuliano Rosciarelli - 28/04/2010



Uno studio dell’Unione europea, a lungo occultato e ora pubblicato dall’agenzia Reuters, accusa i biocarburanti: il loro utilizzo produce quantità di gas serra superiori a quella dei combustibili tradizionali.

I biocombustibili, come il biodiesel ottenuto dalla soia, possono emettere una quantità di gas serra anche quattro volte superiore a quella generata dalla combustione del petrolio e del gasolio. A rivelarlo è un documento dell’Unione Europea tenuto in un primo momento nascosto e pubblicato solo dopo che Reuters ne ha ottenuto una copia facendo ricorso alle leggi sulla libertà d’informazione. Secondo il documento Ue, prima allegato ad un rapporto di dicembre poi misteriosamente eliminato, il biodiesel ricavato dalla soia in Nord America avrebbe un impatto in termini di produzione di CO2 quattro volte superiore a quello diesel standard. Un dato che, se confermato, metterebbe in discussione l’intera politica ambientale dell’Unione e gli obiettivi che si è fissata: l’Ue ha imposto infatti ai paesi membri di ottenere, entro il 2020, il 10 per cento dei carburanti per il trasporto su strada da fonti rinnovabili, concentrando gli sforzi maggiori proprio sui biocarburanti.
 
Una scelta che a questo punto risulterebbe quantomeno affrettata non avendo prestato attenzione all’impatto ambientale che ne deriverebbe. La Commissione Europea, da parte sua, si difende sostenendo di non aver stralciato il documento per nascondere delle prove, ma solo per consentire analisi più approfondite prima della pubblicazione. Ma i dubbi restano. Considerando anche gli enormi interessi dei giganti industriali che da tempo hanno messo le mani sulla manodopera a basso costo nelle coltivazioni della canna da zucchero brasiliana ad esempio o al frutto della palma sud africana. Non ultima la nostra Eni, che con la brasiliana Petrobras ha recentemente stretto accordi per la produzione di biocarburanti e la produzione di petrolio in sud America.
 
L’impatto ambientale dei biofuel è attualmente oggetto di numerose ricerche non sempre univoche. Secondo Federico Beretta ad esempio, ricercatore del Cnr presso l’Istituto di ricerche della combustione: «I dati così riportati risultano poco credibili e i biocombustibili rappresentano comunque una alternativa validissima all’attuale modello di produzione». Più prudente invece l’ingegnere nucleare ed esperto di energie rinnovabili Alex Sorokin, che confermando la validità della scelta dei biofuel come alternativa al petrolio mette comunque in guardia sui rischi che tale scelta può comportare dal punto di vista ambientale e non solo:«Il dato riportato nel rapporto effettivamente risulta un po’ esagerato – ha commentato – ma sicuramente ha una sua fondatezza.
 
Il problema non sono i biocombustibili ma l’attuale catena di produzione che prevede l’utilizzo di forme tradizionali di energia come appunto il petrolio. Già dalle prime fasi della produzione vengono utilizzate tecnologie arretrate, pensiamo alla benzina nel trattore o ai pesticidi e fertilizzanti utilizzati per salvaguardare le colture, come la soia appunto. O a quanta Co2 viene emessa dagli stabilimenti che producono biocarburanti. Gli stessi obiettivi fissati dall’Ue sono controproducenti. Fissare un limite del 10% con lo stato attuale dei trasporti (dominato da quello su gomma) significa incentivare la produzione intensiva (e quindi aumentare l’impronta ecologica che ne consegue) alimentando anche una serie di effetti collaterali come l’eccessivo sfruttamento del territorio ».
 
Il dibattito sui biocarburanti ruota intorno ai risultati di alcune ricerche, che studiano anche le conseguenze indirette causate dall’aumento della domanda e quindi del prezzo delle materie prime usate per produrre i biocombustibili. In particolare, l’aumento della domanda di questi beni agricoli potrebbe anche incentivare i contadini a disboscare aree boschive e forestali. «Per arrivare al 10% fissato dall’Ue – avverte Sorokin - si dovrebbe impegnare più del 20% della superficie agricola europea. Qualora non si riuscisse a farlo internamente la domanda di biocombustibile sarebbe rivolta ai paesi in via di sviluppo innescando un meccanismo di sfruttamento del territorio con politiche agricole devastanti».