Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Fisco: tassiamo il lusso

Fisco: tassiamo il lusso

di Alessandro L. Salvaneschi - 29/04/2010

Fonte: Liberaopinione.net


 

La notizia di un signore scoperto a possedere cinque Ferrari pur dichiarando al fisco 500 euro annui riporta in primo piano il problema dei problemi: l’equità del fisco. L’intervento di Carlo De Benedetti su Il Foglio del 22 aprile (http://www.ilfoglio.it/soloqui/4973) proponeva un riequilibrio del peso del fisco. Secondo l’imprenditore si deve passare da una tassazione sui redditi a una tassazione sui consumi. L’attuale tassazione sui redditi ci consegna i lavoratori con i salari più bassi d’Europa e al contempo i più costosi per gli imprenditori. Secondo le analisi da lui evidenziate la quota di gettito fiscale proveniente dal lavoro è in Italia pari al 20,6 per cento del prodotto interno lordo, mentre in Spagna è del 16,6 e in Inghilterra del 14,4. E’ vero che, attualmente, più della metà (51 per cento) delle entrate tributarie gravano chi produce (imposte sui redditi dei lavoratori 184 miliardi, sul reddito delle società 52 miliardi, su un totale di 463). Abbiamo cinque aliquote 23, 27, 38, 41, 43 per cento a tassare il lavoro. L’aliquota minima sul reddito da lavoro è quindi al 23 per cento, l’aliquota minima sulle rendite finanziarie è al 12,5. La sinistra propone di tassare le rendite finanziarie con una aliquota unica pari al 20 per cento (attualmente si varia dal 12, 5 - cedole, capital gains - al 27 per i c.c. bancari). Ma anche le cedole dei Buoni del Tesoro - Buoni che servono a finanziare il pesante debito pubblico - sono tassate al 12,5. Come sappiamo, gli interessi sul debito pubblico rappresentano la seconda voce del bilancio dello Stato con un peso pari al 15,7 per cento (79 miliardi) sul totale, una percentuale superiore persino a quella della spesa per le politiche previdenziali (15,3 per cento, 77 miliardi), che è quindi seconda solo alla voce relazioni finanziarie con le autonomie territoriali che assorbe il 23 per cento (117 miliardi). Aumentare la tassazione sui Buoni del Tesoro servirebbe solo ad aumentare il costo degli interessi sul debito pubblico, perché per garantire lo stesso rendimento netto ai sottoscrittori lo Stato si accollerebbe dei maggiori oneri. Una maggiore tassazione sui capital gains, farebbe un danno ancora maggiore facendo fuggire capitali che servono a sostenere l’economia reale. Quindi, sono da valutare con molta cautela eventuali tassazioni aggiuntive o “armonizzazioni” nel settore finanziario. La tassazione sui redditi da lavoro è fondata essenzialmente sul sostituto d’imposta. Il datore di lavoro trattiene, alla fonte, le tasse dalla busta paga del lavoratore e le versa direttamente allo Stato. I lavoratori autonomi, che non hanno un sostituto d’imposta, possono dichiarare ciò che vogliono. Si può però allargare la base imponibile, cioè recuperare al fisco molti elusori o evasori - così come fece la riforma Reagan nel 1986 - che pur riducendo la percentuale delle aliquote vide un aumento del gettito fiscale, perché andò appunto a recuperare larghe fasce di elusione ed evasione. Le altre entrate dello Stato vengono dall’IVA per il 22 per cento (102 miliardi), che è solo il 7 per cento del PIL. Il PIL rappresenta la somma dei beni e servizi prodotti in un anno, diminuita dei consumi intermedi e aumentata dell’IVA, ed è pari a 1.550 miliardi. Le aliquote IVA sono tre (4, 10 e 20 per cento). Allora come si possa avere una aliquota media sul totale del PIL pari al 7 per cento sarebbe un mistero, se non fosse evidente che c’è una buona parte del giro d’affari italiano che non viene fatturato e che quindi non paga questa imposta, ne, quindi, le altre imposte. E’ il cosidetto nero, che oltre a sottrarre risorse al fisco alimenta la corruzione e quindi il costo finale di beni e servizi. In paesi civili come la Finlandia e la Svezia l’aliquota massima per l’IVA è rispettivamente al 22 e al 25 per cento. Ed è proprio qui che si potrebbe agire, aumentare l’imposta sul valore aggiunto perlomeno sui beni di lusso (immagino che per le Finanze non sia difficile predisporre un elenco di beni costosi, quanto superflui). Bisogna togliere poi le detrazioni per automobili e gli altri benefit per i lavoratori autonomi, considerato che i pendolari possono recuperare solo 50 euro all’anno del loro abbonamento e viaggiano assai più scomodi che su una berlina. Sembra talmente ovvio che un fisco federale, cioè imposto e controllato da livelli di governo molto vicini al territorio in cui si consuma il bene, non possa che aiutare alla emersione del nero, oltre che a ridurre gli sprechi e gli abusi nella spesa pubblica. Al momento, mentre si valutano tutte le soluzioni per un fisco più equo e più giusto basterebbe adeguare la tassazione su alcuni beni di proprietà, quali ad esempio il bollo per automobili, al loro reale valore. Non è certamente di buon senso che una vecchia Mercedes di 20 anni, che vale mille euro,  paghi lo stesso bollo auto - la tassa, ora regionale, è basata sulla potenza del motore - di una appena uscita dal concessionario, che vale cinquanta o sessanta mila euro. Ecco quindi la risposta al nostro incipit, se in Italia ci fosse un po’ più di buon senso quel signore con cinque Ferrari innanzitutto pagherebbe cinque bolli sulle sue automobili rapportati al vero valore delle sue auto. Poi, come è di fatto successo, la circostanza che possiede auto di lusso aiuta anche a scoprire che evade le altre imposte.