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Rileggere Malthus

di Francesco Lamendola - 04/05/2010

 

Malthus!
Sembra un insulto…
In verità, sono in pochi ad aver letto il «Saggio sul principio di popolazione», apparso a Londra per la prima volta, anonimo, nel 1798; e del quale poi, ristampato e ampliato, si venne a sapere che era l’opera di un oscuro pastore di campagna, preoccupato dallo spettacolo della miseria crescente della popolazione all’epoca della prima Rivoluzione industriale.
La persona di media cultura sa, di Malthus, quasi soltanto che egli sostenne che la popolazione umana tende a cresce in progressione geometrica: 1, 2, 4, 8, 16…, mentre i mezzi di sussistenza crescono in progressione aritmetica: 1, 2, 4, 6, 8… Ogni 25 anni - l’arco di tempo di una generazione - la popolazione tende a raddoppiare; mentre i mezzi di sussistenza aumentano con un ritmo molto più lento. Risultato: ogni qualvolta l’incremento demografico oltrepassa una data soglia, la popolazione piomba nella miseria, poiché le risorse non sono sufficienti a sfamare tutti. Di conseguenza, se si vuole evitare che l’umanità vada incontro a un disastroso impoverimento, è necessario che essa impari a regolare il meccanismo delle nascite.
Malthus era stato molto esplicito nell’esporre le proprie convinzioni, ciò che aveva acceso un fervente dibattito intorno al suo libro:

«La popolazione, quando non è arrestata da alcun ostacolo, si raddoppia ad ogni periodo di 25 anni, crescendo così in progressione geometrica. […] I mezzi di sussistenza, nelle circostanze più propizie all’umana industria, non potrebbero crescere che in proporzione aritmetica. […] La forza generativa supera talmente la produzione dei viveri che, per mantenerla ad uno stesso livello in modo che la popolazione esistente trovi sempre gli alimenti indispensabili, occorre che in ogni momenti una legge superiore formi ostacolo ai suoi progressi» (Malthus, «Saggio sul principio di popolazione», traduzione italiana Torino, U.T.E.T., 1953, pp. 6-8).

E ancora:

«Io credo che l’intenzione del Creatore si è che la terra sia popolata, ma credo pure che egli la voglia popolata da una razza sana, virtuosa, felice, non da una razza sofferente , viziosa, miserabile. Se, sotto pretesto di ubbidire all’ordine del Creatore, noi popoliamo la terra con quest’ultima specie di uomini, e se perciò saremo in preda a tutti i mali ai quali ci siamo volontariamente esposti, non avremo alcun diritto di accusare la giustizia dei comandamenti divini»non possiamo attribuire le nostre pene che alla maniera irragionevole in cui avremo eseguito le sue sante leggi» (Ibidem, p. 561).

Non basta:

«Tutto ciò che la società è in diritto di domandare a ciascuno dei suoi membri si riduce a non avere una famiglia quando non si sia in gradi di alimentarla.» (Ibidem, p.  500).

Più chiaro di così…
Molti si sono immaginati Malthus come uno studioso freddo e insensibile, un campione di quel liberismo distaccato e un po’ inumano che non si preoccupa dei costi umani dell’economia di mercato; immagine che è molto lontana dal vero. Ma, al di là del fatto che Malthus era un uomo sinceramente e onestamente preoccupato per la miseria di tanti suoi concittadini e che, teologo più che economista, ne aveva individuato l’origine in una sorta di destino biblico («Crescete e moltiplicatevi»; ma anche: «Ti guadagnerai il pane col sudore della fronte»), secondo la cultura del suo tempo e con gli strumenti intellettuali e spirituali che le sue letture e la sua formazione di pastore anglicano gli consentivano, resta il fatto che la sua teoria non solo non è stata smentita dai fatti, ma, anzi, abbondantemente confermata.
Perfino Marx, che ha sbagliato nel modo più clamoroso quasi tutte le sue previsioni, conserva un agguerrito manipolo di estimatori e di sostenitori; mentre il nome di Malthus, che ha avuto il torto di aver detto una cosa fin troppo vera, continua ad essere pronunciato con un misto di imbarazzo e di disagio, come quello di un cattivo profeta e di un pensatore politicamente scorretto.
Il suo discorso, oggi anche più di allora, non piace: nonostante che, dai suoi tempi ad oggi, esso sia stato confermato oltre le più nere previsioni, essendo la popolazione quasi decuplicata, col risultato che un buon quarto dell’umanità vive in condizioni di estrema povertà, e altri due terzi devono accontentarsi delle briciole che cadono dalla tavola del primo quarto.
Il malthusianesimo (un termine che ha acquistato, non si capisce perché, una sfumatura neanche troppo vagamente dispregiativa) è stato criticato da ogni parte, ma specialmente dalla cultura marxista e da quella cattolica. Da quella marxista, perché è stato visto come la tipica teorizzazione egoista del liberalismo, che non si preoccupa delle legittime esigenze dei poveri, ma solo della stabilità sociale; dal cattolicesimo, perché il richiamo alla continenza e al controllo della nascite, come mezzi per limitare la crescita vertiginosa della popolazione, specie nei Paesi del Terzo e Quarto Mondo, è sembrato un modo disinvolto  per togliere a quelle popolazioni l’unica ricchezza che tuttora possiedono: la prolificità, intaccandone la sfera della libertà personale e la stessa dignità della persona umana.
Insomma: non ci si prenda il disturbo di confutarlo; ci si limita a denigrarlo o, se possibile, ad ignorarlo.
Certo, la povertà nel mondo è anche una questione di distribuzione della ricchezza e, più in generale, di modelli economici: un modello sviluppista, basato sul continuo sfruttamento delle risorse e delle energie non rinnovabili, non può che produrre miseria in certe zone del pianeta e in certe classi sociali. Ma è davvero solo questione di realizzare una più equa distribuzione delle risorse? È davvero solo questione di rinunciare allo sviluppo, per orientare la società verso una decrescita armoniosa della produzione e del consumo? Non è forse vero che, anche riuscendo a realizzare questi cambiamenti, la situazione non migliorerebbe, o tornerebbe ad aggravarsi entro pochi decenni, qualora non si decida di agire sull’aumento esponenziale della popolazione, specialmente là dove più gravi sono gli effetti della miseria?
Il risultato della rimozione dei problemi posti da Malthus ormai più di due secoli fa è che, mentre la miccia della bomba demografica continua a bruciare e si avvicina ormai il momento della catastrofe, gli unici a porsi seriamente il problema di limitare l’aumento incontrollato della popolazione mondiale sono… i signori del Gruppo Bilderberg, della Commissione Trilaterale e di altri centri del potere occulto, ancora più inquietanti. Henry Kissinger, per esempio, aveva fatto preparare, a suo tempo, un piano che prevedeva l’infezione batterica di milioni si esseri umani nei Paesi del Sud del mondo, per contenerne l’aumento demografico e prevenire lo sconvolgimento planetario che esso avrebbe provocato, disturbando i lucrosi affari delle multinazionali e della finanza internazionale…
C’è bisogno di aggiungere che, a parere di alcuni “cospirazionisti”, tale strategia criminale è già in atto, ad esempio mediante la diffusione della sindrome da immunodeficienza acquisita, che sarebbe il risultato di un preciso disegno di sterminio fra le classi sociali e fra le popolazioni più misere, come quelle africane: tutte bocche da sfamare sostanzialmente inutili, perché non produttive e non suscettibili di alimentare il mercato?
Del resto, di che cosa meravigliarsi? Se la cultura “ufficiale” è così ipocrita da fingere di non vedere che il problema demografico è ormai, agli inizi del terzo millennio, il problema dei problemi, il più urgente, il più drammatico, il più improcrastinabile: ebbene, allora non c’è tanto da stupirsi se a prenderlo sul serio sono simili centrali del potere occulto, che lo studiano senza porsi alcuna remora morale e si preparano ad affrontarlo nel modo più disumano e brutale.

Scrivono J., M. Poursin e G. Dupuy in «Malthus» (titolo originale: «Malthus», Éditions du Seuil, 1972; traduzione di Gabriella Nebbia Menozzi, Roma, 1974, pp. 32-36):

«La dottrina a cui il pastore Malthus ispira la sua teoria e su cui fonda le sue regole morali più rigide è una dottrina teologica elaborata molto prima di lui: la pressione della popolazione sulle risorse, la tendenza a moltiplicarsi oltre misura - con la precarietà dei mezzi individuali che ne risulta e la lotta per l’esistenza che ne è la conseguenza -  sono situazioni legate allo svolgersi della vita, dipendenti da leggi della natura; l’equilibrio che nasce dal gioco di queste leggi rappresenta un certo ordine, valido sempre e dovunque,  e ogni trasgressione di questo ordine non può essere che provvisoria, portando ala catastrofe. Ma queste leggi, dette naturali, sono in realtà le leggi create da Dio e costituiscono i mezzi attraverso cui si realizzano i fini assegnati dalla Provvidenza alla specie: l’accettazione di queste regole è indispensabile sia per la salvezza del singolo individuo che per la prosperità  dell’interra specie umana.
La dura legge del bisogno è, in questo senso, essenziale per l’evoluzione dell’umanità:
“Tutto ci porta a credere che l’intenzione del Creatore  sia stata quella di popolare la terra, ma appare chiaro che fine non avrebbe potuto essere raggiunto altro che dando alla popolazione un accrescimento  più veloce di quello delle risorse alimentari… Se, infatti, queste due quantità aumentassero secondo un rapporto identico, non vedo quale ragione  avrebbe potuto vincere la naturale indolenza dell’uomo  e spingerlo a coltivare sempre più terre: la popolazione del territorio più vasto e più ferule si sarebbe potuta  arrestare indifferentemente a 500 abitanti, a 5.000, a 5 milioni o a 50 milioni: questo rapporto, dunque, non poteva corrispondere ai disegni del Creatore.
Qualsiasi mezzo artificioso e contrario alla legge di natura messo in opera per contenere la popolazione sopprimerebbe anche la spinta al lavoro e alla creatività”(Malthus, cit., pp. 450-51).
Proprio per l’implacabilità del suo potere di moltiplicarsi, l’uomo è sempre stato condannato al lavorio e grazie a questo ha potuto costruire attraverso i tempi quella civiltà che gli ha permesso di espandersi su tutta la terra, secondo io comandamento espresso da Dio nel primo libro del “Genesi”: “Crescete e moltiplicatevi. Coltiverete la terra con il sudore della vostra fronte”. Su questa doppia esigenza si è fondato il processo della presa  di possesso della terra da parte dell’uomo, secondo gli ordini del Signore.
Questa totale sottomissione al suo Dio, operò, presenta nell’uomo un carattere particolare perché, mentre l’animale è completamente condizionato dalle leggi di natura, l’essere ragionevole può - e pertanto deve - controllare e guidare la sua riproduzione, pur nel pieno rispetto dei disegni della Provvidenza. Più di un freno esiste, secondo Malthus, come abbiamo visto, ad un aumento incontrollato del’umanità: la miseria con il suo seguito di carestie, epidemie e guerre, ecc.; il vizio o la continenza dentro e fuori del matrimonio, mas il pastore Malthus si piega  rigorosamente ai principi morali della tradizione cristiana e poiché crede nella dottrina del peccato originale e della redenzione, si oppone assolutamente alla teoria della perfettibilità della natura umana: l’uomo è quello che è  sempre stato e tale sarà anche in futuro. Segnato dalla colpa originale, con il marchio del male e da una vita che è “uno stato di prova e una scuola di virtù che prepara a una condizione superiore di felicità”, il suo destino  in terra sarà la miseria, con tutto che ad essa si accompagna, come per tutte le altre specie, se egli cederà  alla tentazione di una moltiplicazione incontrollata. Ma se, per contro, deciderà di sopprimere artificiosamente  gli effetti normali dell’istinto seguendo  quelle pratiche che Malthus congloba  sotto il nome generico di “vizi” (e che spaziano dalla dalle peggiori deviazioni sessuali al controllo delle nascite), ci sarà lo spopolamento totale, perché il vizio significa distruzione, sia nelle sue conseguenze più immediate, sia nella riduzione di ogni attività produttiva, perché priva il lavoro del suo stimolo più importante.
In questo senso Malthus è risolutamente popolazionista e sarebbe, per sua stessa ammissione, ignorare deliberatamente i suoi principi considerarlo nemico della popolazione: “I nemici che io combatto sono il vizio e la miseria”. Messa di fronte al doppio pericolo di una popolazione troppo numerosa, frutto della miseria,  e di una popolazione troppo ridotta in conseguenza del vizio,  l’umanità può trovare scampo in un’unica soluzione, piuttosto malagevole, il già citato”moral restraint”, che consiste in una stretta osservanza della virtù. Sappiamo come si esprime, in questo campo, la legge morale:  castità assoluta al di fuori del matrimonio; rinvio delle nozze ad epoca in cui si disponga di mezzi sufficienti per mantenere una famiglia; eventuale limitazione delle nascite, nel matrimonio stesso, ottenuta con una rigorosa continenza. La proposta di affidare alla legge morale  il compito di regolare il movimento demografico permette di conseguire due scopi nello stesso tempo:  sfuggire ad un aumento sconsiderato della popolazione, attraverso la moderazione dell’istinto e un calcolo ragionevole dei mezzi a disposizione di ciascuno, ad evitare l’estinzione della specie, dal momento che la limitazione costituisce il compenso  del sacrificio e dell’austerità  degli individui. […]
Fra la miseria e il vizio, fra questi due mali ugualmente  estesi, si deve scegliere il minore: pur ritenendo ideale il regno della virtù, Malthus indica la soluzione pratica che corrisponde  alla realtà della natura umana quale ce la  mostra la dottrina teologica che ispira il suo pensiero e che lo fa propendere, suo malgrado, verso il vizio piuttosto che verso la miseria.
Portato al pessimismo circa le vie e i mezzi  della dinamica della popolazione, Malthus ritiene che tutta la storia della popolazione sia dominata dalla stessa fatalità:  “È chiaro che il momento in cui gli uomini sono  di gran lunga più di quanto consentano i mezzi di sussistenza a loro disposizione è arrivato ormai da molto tempo”. […]
La prolificità dell’uomo e l’avarizia della terra sono i dati permanenti del nostro destino: per quanto lontano possiamo spingere la nostra ricerca, vediamo che l’uomo sempre e dappertutto  ha dovuto cozzare contro l’inadeguatezza dei mezzi a sua disposizione. Sarà possibile schiudere questa morsa? Ogni conquista di nuove terre, ogni progresso nelle tecniche  di coltivazione portano in realtà  un certo sollievo alla pressione di base,  ma, dato lo scarto fra la velocità caratteristica  di ciascuna delle due progressioni,  questo sollievo non può essere che temporaneo; la lepre farà presto ad arrivare all’altezza della tartaruga e il numero degli uomini ad arrivare al livello dei mezzi  di sussistenza. Il pericolo è costante, il danno immediato e oggi, come ieri e domani, la causa è una sola “(…) Questa necessaria oscillazione,  questa causa permanente di miseria periodica  esiste fin dalle origini della storia  umana e continuerà ad esistere  a meno di un cambiamento decisivo nella costituzione fisica della nostra natura”. Malthus teologo riprende qui la terribile maledizione che insegue l’uomo dalla notte dei tempi  e lo seguirà senza posa, mentre Malthus economista ricava da questa base dottrinale delle conclusioni non meno rigorose, ma a tutto vantaggio delle ideologie  del suo tempo e del suo ambiente.»

Una conclusione?
Il rimedio che Malthus proponeva, in accordo con la sua visione teologica cristiana, fa oggi sorridere gli esponenti della cultura “progressista”; eppure sfidiamo chiunque di essi a proporre concretamente qualcosa di meglio. Che una famiglia non dovrebbe crescere oltre i limiti della capacità dei genitori di sfamare la prole e soddisfarne le altre esigenze primarie, è cosa talmente ovvia che non dovrebbe necessitare di ulteriori spiegazioni. Sostenere il contrario, vorrebbe dire cadere nella peggior forma di demagogia: quella di promettere tutto a tutti, sapendo benissimo che ciò è impossibile.
La polemica di Malthus era diretta essenzialmente contro due avversari: da un lato Condorcet e i teorici della perfettibilità indefinita del genere umano; dall’altro William Godwin e i propugnatori di riforme sociali a favore dei poveri. Il suo sano buon senso, il suo robusto realismo e la sua istintiva ripugnanza per ogni forma di quello che oggi si chiamerebbe populismo, lo rendevano ugualmente critico e sospettoso sia verso l’ottimismo razionalista degli illuministi, sia verso l’ottimismo antropologico degli anarchici e del pensiero protosocialista. Può darsi che egli non abbia visto con sufficiente chiarezza l’importanza del fattore della distribuzione della ricchezza; discepolo di Adam Smith, i suoi strumenti culturali e la sua prospettiva filosofica non si spingevano fino alla radice ultima del problema della povertà, ma si fermavano al livello statistico del rapporto popolazione-risorse.
Pur con questi limiti ben precisi, il pensiero di Malthus è un pensiero chiaro, lineare, basato su dati inoppugnabili e non su fumosi ragionamenti; ha la robustezza della “verità effettuale” di Machiavelli e la consequenzialità rigorosa del modo di ragionare tipico di Spinoza, specialmente lo Spinoza dell’«Ethica more geometrico demonstrata».
È una buona lettura, quella del suo «Saggio sul principio di popolazione»; una lettura stimolante, anche se non tutte le pagine possono trovare d’accordo il lettore moderno. E tuttavia, è difficile non coglierne la tremenda onestà intellettuale, che lo rende più che mai attuale.
Rileggere Malthus, dunque?
Sì, certo.
Anche per non lasciare che a rileggerlo siano solo i signori del Bilderberg o uomini politici come Henry Kissinger o i teorici del noeconservatorismo americano, come Paul Wolfowitz, l’ex presidente della Banca Mondiale.
Loro sì, che ne farebbero un uso criminale.