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Trattative e minacce. Afganistan, Iran ed intervento USA

di Osvaldo Pesce - 04/05/2010


Sono in corso trattative tra Karzai e telebani. Tutti o solo una parte? E’ un tentativo di dividere i telebani? Se non è così, in caso di accordo gli Usa e la NATO dovrebbero lasciare il paese.
In questi 10 anni gli attacchi degli Stati Uniti e dei loro alleati sono tutti falliti: la loro guerra tecnologica ha provocato ovunque massacri della popolazione e, i telebani si sono ripresi intere regioni del paese: Attualmente l’offensiva americana è nella regione dell’Elmand e, per levarsi di torno testimoni dell’ennesimo massacro e fallimento c’è stato il blitz contro l’ospedale di Emergency: Gino Strada parla apertamente di regia degli inglesi.
Logica vorrebbe che Obama, Brown, Berlusconi ecc. riconoscessero ormai che la guerra è persa.
In Medio Oriente l’Arabia Saudita ed i membri della Lega Araba si defilano sempre più, lo screzio diplomatico USA-Israele su Gerusalemme ed un futuro stato palestinese non li ha convinti più di tanto. In Iraq c’è una ripresa degli attentati, ma diversamente del passato non vengono rivendicati (gli sciiti hanno partecipato alle elezioni): chi ha interesse a tenere alta la tensione ed inchiodare le truppe USA nella regione? In Kirghisistan la recente rivolta è un sintomo che la situazione dell’intera zona è in movimento.
Washington crea tensione contro l’Iran e lo minaccia militarmente perché l’Iran intende esercitare la sua sovranità ed ha una popolazione di 75 milioni di persone, la metà è giovane e possiede un esercito moderno. Un impegno militare americano in quel paese sarebbe assai gravoso e, insostenibile finché sono in corso altre guerre; Obama – che come Bush difende gli interessi dell’imperialismo USA ma è cosciente del suo indebolimento – non riesce a chiudere in Afghanistan ed Iraq.
La supremazie mondiale degli USA è messa in forse dalla loro crisi industriale – dovuta alla globalizzazione – che provoca conseguenze anche in campo militare: gli USA possono ormai fare una guerra per volta. Nel 2008 la Marina americana fece un pronunciamento: se Bush avesse dato l’ordine di attaccare l’Iran, si sarebbero rifiutati di eseguirlo.
Oggi, un attacco all’Iran comporterebbe l’occupazione del Pakistan ed ulteriori perdite di uomini, mezzi e risorse finanziarie, che renderebbero gli USA più vulnerabili e sempre più incapaci di gestire la globalizzazione e mantenere la supremazia militare. Questo indebolimento potrebbe avvantaggiare i paesi emergenti, in particolare la Cina, che continua a sviluppare la sua economia e potrebbe diventare di fatto la prima potenza mondiale a causa del crollo USA.
L’Europa deve finalmente uscire da una visione ottocentesca di spartizione del mondo in sfere di influenza. L’Italia, come altri paesi europei, continua a mandare soldati in Afghanistan (altri 1000 entro il 2010) ed eseguire passivamente gli ordini dei generali USA e, in ciò sono ugualmente corresponsabili maggioranza ed opposizione; questo dimostra che non conoscono la storia né la situazione reale.
La resistenza dei popoli mediorientali all’ingerenza ed all’aggressione viene da lontano: in Iraq, Afghanistan, Palestina ed Iran la lotta per l’indipendenza non è mai cessata; la Gran Bretagna nel 1941 occupò militarmente l’Iraq perché negava il passaggio alle sue truppe; la Francia, che aveva il mandato su Siria e Libano, per domare le insurrezioni popolari bombardò Damasco, negli anni 20 e il 29 maggio 1945; in Iran Mossadeq nazionalizzò l’industria petrolifera strappandola al capitale e direzione britannica e per questo fu incarcerato dall’esercito addestrato dagli USA.
L’Europa deve prendere atto di questa realtà storica e cessare l’appoggio alle avventure belliche USA, deve avere una propria politica estera di disimpegno militare e di rapporti paritari col resto del mondo, in particolare nel bacino del Mediterraneo e Medio Oriente.