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Un mostro si aggira per le nostre strade e penetra ruggendo fin dentro le nostre case

di Francesco Lamendola - 05/05/2010

 

È strano, ma pare proprio che tutti facciano finta di niente.
Non se ne parla; sembra che un tabù impedisca di nominarlo, di evocarne la presenza minacciosa e malefica che, pure, incombe ad ogni istante sulle nostre vite.
Si direbbe che sia considerato di poco buon gusto il fatto di discuterne apertamente, come è di poco buon gusto parlare in tavola di un parente pazzo o degenerato, del quale tutti si vergognano e che preferirebbero ignorare completamente.
Eppure è lì, in agguato, pronto a ghermire le sue prede: si aggira per le nostre strade, penetra nelle nostre case; se ne ride dei sistemi di allarme e delle ronde della polizia; non ha bisogno di abbattere o di forzare le porte, scivola all’interno senza alcuna difficoltà e proprio nel momento in cui nessuno se lo sarebbe aspettato.
Il mostro di cui stiamo parlando non è un assassino seriale come Jack lo Squartatore e nemmeno un leone e una tigre fuggiti da uno zoo; è una malattia della mente e dell’anima che sfugge ostinatamente a tutti i tentativi di catturarla e di domarla: la depressione.
Ormai sono le poche le famiglie in cui non si è presentata a pretendere il tributo di almeno una vittima: uomini e donne, giovani e anziani, ricchi e poveri: non ci sono distinzioni di sesso, di età o di portafoglio; chiunque può cadere nelle sue grinfie.
È il “male oscuro” di cui parlava Giuseppe Berto, nell’ormai lontano 1964 (spesso gli artisti precorrono le “scoperte” della cultura scientifica); ma, dopo di allora, nessuno scrittore si è confrontato con esso; non ne parlano nemmeno i giornali e le riviste di attualità e di cultura; e i programmi televisivi sono in tutt’altre faccende affaccendati. Insomma, la depressione chi la conosce? Da quale pianeta alieno è caduta in mezzo a noi, per un caso del tutto imprevedibile e imponderabile?
Eppure, le statistiche dicono, implacabilmente, che il malessere all’interno delle famiglie è in continuo aumento. In Italia, ormai, un omicidio ogni due giorni avviene fra persone con stretti vincoli di parentela: mariti separati o divorziati che uccidono le ex mogli; madri che uccidono i figlioletti per “proteggerli” dalla cattiveria del mondo; figli che uccidono i genitori per porre fine a una vita insostenibile fatta di litigi, di incomprensioni, di rancori mai sopiti, covati a lungo in solitudine e divenuti degli spettri spaventosi.
Anche l’alcolismo ha a che fare con la depressione; anche il consumo di droghe e la dipendenza da esse; anche molte forme di tabagismo, spinto fino a provocare consapevolmente il tumore ai polmoni; anche molti casi di autolesionismo, molte fughe e scomparse nell’ignoto, molti suicidi o tentati suicidi.
Gli unici a ingrassare sono quegli psichiatri che chiedono parcelle astronomiche per banalissimi colloqui pseudo-terapeutici all’insegna delle deliranti teorie freudiane, magari aggiornate e rivisitate in chiave post-psicanalitica; e, naturalmente, le industrie farmaceutiche, che producono e immettono sul mercato quantità industriali di medicinali di sintesi chimica: ansiolitici, antidepressivi, sonniferi e sedativi di ogni tipo.
Eppure, di tanta sofferenza rinchiusa fra quattro mura, poco o nulla traspare all’esterno, magari fino a quando si verifica il fattaccio da sbattere sulla pagina di cronaca nera. Nel Medioevo della modernità, parlare di certe malattie è visto come una vergogna insopportabile; talvolta ci si preoccupa più di quel che direbbero i vicini, che non di aiutare un familiare in difficoltà.
Quello che maggiormente colpisce è la subitaneità apparente con cui la depressione colpisce le persone e, al tempo stesso, il fatto che essa si abbatta anche su individui che non parrebbero minimanente predisposti a questo tipo di patologia. Da un giorno all’altro, o quasi, noi vediamo persone sane e forti precipitare in un abisso senza fondo: il loro sguardo si appanna, i loro gesti si fanno esitanti, la loro voce si affievolisce e incomincia a ripetere, ossessivamente, sempre le stesse cose, sempre lo stesso delirio, come un disco rotto.
Naturalmente non è così, ma tali sono le impressioni che riporta un osservatore esterno, anche molto vicino alle persone colpite. È vero, invece, che la depressione si stava preparando nell’ombra, strisciando come un serpente fra l’erba, e chissà da quanto tempo si preparava a sferrare il suo assalto decisivo, infrangendo d’un colpo ogni difesa. Forse da anni, forse addirittura dall’infanzia: chissà quali traumi lontani, chissà quali squilibri covavano in silenzio, in qualche zona remota della coscienza, accumulando la terribile energia distruttiva che poi sarebbe emersa, cogliendo tutti alla sprovvista.
C’erano stati dei segnali, delle avvisaglie, degli indizi, che si sarebbero potuti leggere per tempo? Probabilmente sì; ma non era poi così facile coglierli, evidentemente. Colui che viene colpito dalla depressione è il primo a non volerci credere: dice e ripete, senza mai stancarsi, che fino a quel certo giorno stava bene, benissimo; che faceva una vita assolutamente normale: andava a lavorare, sbrigava le sue faccende e così via.
Il che è vero, ma solo in superficie: una persona può andare al lavoro e può sbrigare le normali incombenza quotidiane anche se sta incubando un malessere profondo, così profondo che non vuole vederlo, non vuole sentirlo; fino a quando non sarà più possibile metterlo a tacere, ed esso eromperà con la potenza di un vulcano addormentato da secoli.
E tuttavia, osservando bene il fenomeno e confrontando le persone che ne vengono colpite, si finisce per avere l’impressione che un tratto comune vi sia fra di loro; che la depressione non si manifesti, per così dire, a casaccio; che non assalga le persone indifferentemente, ma che scelga con cura, in certo qual modo, le proprie vittime. E questo tratto comune è - esprimendosi in forma senza dubbio schematica, ma, secondo noi, sostanzialmente esatta - lo scarso amore per la vita. Amore per la vita, si badi, nel senso più profondo: vale a dire amore per TUTTO ciò che la vita ci offre, le gioie e i dolori, come un tutto indivisibile; e non le gioie soltanto: cosa troppo facile e che non richiede alcuna maturità affettiva e intellettuale, alcuna capacità di affrontare difficoltà e sacrifici, né alcuna attitudine alla crescita spirituale.
Chi non ha compreso che la vita è una occasione straordinaria di maturazione interiore e anche una offerta di bellezza e di verità che va goduta in se stessa, con animo riconoscente e sempre assetato di nuove rivelazioni, è predisposto alla depressione, che corrisponde a una chiusura verso l’esistente, a un ritrarsi dell’anima in se stessa, a una sorta di resa davanti alla sfida del cambiamento (cosa di cui i depressi hanno un sacro terrore).
Il futuro depresso, quindi, è un individuo che gode di salute apparente, fino a quando la vita non lo mette davanti a situazioni impreviste e difficili e che non possiede alcuna risorsa, alcuna riserva di energia psichica per farvi fronte: per cui, colto alla sprovvista come un esercito che non possieda nemmeno un battaglione in retroguardia da far marciare a sostegno delle prime linee assalite dal nemico, crolla al primo urto.
Ecco perché il decorso della patologia, una volta che un fattore scatenante l’abbia resa palese, è, sovente, così straordinariamente rapido: perché non c’è nessuno a custodia del fortino, le porte sono spalancate e le sentinelle stavano dormendo…
Dicevano che il fattore scatenante - che non va assolutamente confuso con la causa reale - è, in genere, legato ad una esperienza di cambiamento: il trasferimento in un’altra città, un nuovo posto di lavoro, o qualcosa di ancor più semplice, come il fidanzamento di un figlio o di una figlia, per un genitore ansioso e possessivo; o, magari, l’acquisto di un nuovo mobilio, sacrificando il vecchio che era stato, forse, il dono di una persona cara…
Ma la causa effettiva e profonda è, naturalmente, un’altra; e, il più delle volte, essa sembra avere a che fare con la scarsa consapevolezza che la vita è anche imprevisto, difficoltà e, appunto, cambiamento. Ecco perché le persona anziane sono più esposte all’assalto della depressione, anche se non sono certo le uniche: il progresso, se così vogliamo chiamarlo, corre tremendamente i fretta; ogni giorno porta una novità tecnologica, scientifica, burocratica. Tutto cambia continuamente e chi si ferma, è perduto…
La mente umana è portata verso la calma, la stabilità, l’equilibrio. Ciascuno di noi tende a trovare un equilibrio di vita, affettivo, intellettuale, materiale; ciascuno si crea le proprie abitudini e tende a costruirvisi una nicchia. Anche la persona più disordinata o più avventurosa di questo mondo, a un certo momento, ama avere dei punti di riferimento, delle certezze. Tutto questo è normale. Quel che non è normale, è farsi prendere dal panico davanti al cambiamento e cadere in depressione, specialmente se si tratta di un cambiamento puramente materiale.
Arriviamo così alla conclusione che l’unica strategia veramente efficace contro la depressione è quella preventiva, che consiste nella consapevolezza della necessità di affrontare alcuni cambiamenti nel corso della propria vita; e, al tempo stesso, nella capacità di individuare quegli elementi di certezza che nessun cambiamento proveniente dall’esterno potrà mai alterare: primi fra tutti, quelli di ordine spirituale e affettivo.
Una persona che possieda solidi punti di riferimento morali ed esistenziali e che, al tempo stesso, apprezzi tutto ciò che la vita offre, anche nella dimensione del quotidiano, è premunita, in una certa misura, contro la perdita di equilibrio dovuta a bruschi cambiamenti; a patto che essa sia, però, consapevole che l’arte di vivere richiede una certa elasticità e non la difesa rigida e passiva di abitudini e punti di vista.
La vita è dinamismo, è trasformazione incessante, in tutti i sensi: perfino la sostanza del nostro corpo, le cellule che lo costituiscono, cambiano più e più volte nel corso della nostra vita; per non parlare delle situazioni affettive, delle idee politiche, morali, filosofiche e religiose e perfino dei gusti in fatto di estetica, di cucina, di sport e di utilizzo del tempo libero.
Certo, la vita moderna ha assunto dei ritmi di cambiamento un po’ troppo veloci, per non dire quasi folli; per cui è comprensibile che un numero crescente di persone si trovino esposte al male oscuro della depressine. Ma è un male tipicamente moderno, oppure è sempre esistito, magari sotto altri nomi? Potrebbe essere lo stesso male che i latini chiamavano «taedium vitae», i rinascimentali «melancholia» e i medici del XVII secolo «umor nero»?
Difficile rispondere a questa domanda. L’impressione, comunque, è che si tratti di una malattia dell’anima (e non solo della mente) tipicamente moderna; e non solamente perché i ritmi del cambiamento si sono fatti, nella modernità, sempre più stressanti e a volte insostenibili, ma anche perché l’uomo moderno, per il tipo di vita che conduce e per il tipo di valori cui tende a fare riferimento, è maggiorente squilibrato dal punto di vista spirituale e, pertanto, più esposto agli urti delle sollecitazioni esterne.
D’altra parte, non si deve scambiare l’angoscia con la disperazione; non si deve confondere l’inquietudine e la malinconia con la depressione. L’angoscia esistenziale non è un male: è la reazione dell’anima davanti alle contraddizioni dell’esistenza e l’indizio del nostro destino trascendente. Nemmeno l’inquietudine e la malinconia sono dei mali: grazie ad esse, noi siamo sollecitati a rivolgere i nostri passi verso la fonte perenne dell’Essere, distogliendoli dal pantano della contingenza e della provvisorietà.
La disperazione è il male; la depressione è la spia di un malessere profondo, dovuto a una impostazione sbagliata del nostro orientamento vitale. Il suo insorgere ci fa avvertiti che non eravamo sulla strada giusta, ma che ci stavamo rinchiudendo nelle nostre abitudini in maniera sempre più stanca e passiva, sempre più povera di entusiasmo e gratitudine verso la vita. Che stavamo perdendo l’incanto del mondo.
Prevenire la depressione significa conservare l’incanto del mondo e ricordarsi di quali siano le cose importanti che devono costituire i punti di riferimento nella nostra vita, la quale è fatta anche di tenebre e nebbia.
Non sappiamo che cosa ci riserva il domani e dobbiamo essere pronti al cambiamento.
Ma, se siamo in pace con noi stessi, nessun cambiamento riuscirà a sconvolgere il nostro equilibrio.