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Perchè odio la giornata della Terra

di Sharon Astyk - 05/05/2010

   
   


Odio maledettamente la Giornata della Terra. Senza offesa per quelli tra voi che l’adorano. E so che ci sono meravigliosi programmi per la Giornata della Terra là fuori, ma, prima che ci arriviamo, io passo le mie giornate a mettermi al riparo, perché ogni fottuta volta che apro la mia casella di posta, ne esce vomitata fuori la più nauseante poltiglia di greenwashing[1].

Indovinate un po’, una grande catena di negozi, sull’orlo della bancarotta, sta vendendo l’eco-borsa, fatta di pelle di pecora biologica e decorata con la scritta “Think Global, Act Local” a testimonianza di quanto vi preoccupate per la Terra e di quanto ve ne infischiate della grammatica[2]. E non per preoccuparmi, ma giusto per farvelo sapere, i produttori di un disgustoso soft drink pieno di zuccheri ne hanno uno nuovo di biologico, in una speciale bottiglia collezionabile della Giornata della Terra. Non dimenticate di seguire le avventure di Eddie, che sta marciando nudo attraverso il selvaggio territorio dell’Alaska (tranne che per i costosi scarponi da trekking, oh, e la squadra di cameraman è vestita, come anche i conducenti delle sei jeep di supporto che lo seguono a 5 km/h per l’intero tragitto) per accrescere la consapevolezza della migrazione dei caribù.

Ecco che un nuovo sito che aiuta i ricchi consumatori a comprare scorte di anidride carbonica, così se ne sbatteranno dell’impatto dei loro voli verso Cancun, vuole farmi fare un’intervista con il suo amministratore delegato. E non dimenticate la possibilità di incontrare il produttore di un nuovo SUV ibrido ancora più grande dei precedenti che fa…ahh…10 km con un litro!

Questo accade ogni anno, ma ovviamente per il quarantesimo anniversario della Giornata della Terra, i livelli di stronzate raggiungono nuove vette. La mia nuova innovazione preferita è che ora i comunicati stampa in realtà riconoscono il problema del greenwashing, intendendo che non ci si può fidare di quegli altri produttori di stronzate senza senso, ma ci si può sicuramente, indubbiamente e seriamente fidare di chi: a) conosce la parola “greenwashing” e b) se ne frega abbastanza da aggiungere la tua email ad una mailing list di 70.000 persone.

Mi sento frustrata dal modo in cui parole come “biologico”, “locale” e “sostenibile” sono usate da queste aziende. So che la maggior parte di loro hanno solo la più sottile relazione possibile con l’ambientalismo e che molte di loro hanno dato soldi a politici e istituzioni che hanno tentato di ritardare o confondere la legislazione contro il riscaldamento globale. Inoltre la cultura dell’acquisto di abbigliamento nuovo e di alta classe ad ogni stagione o della guida di auto leggermente più efficienti semplicemente non vi può portare dove dobbiamo andare nel tempo opportuno. Alla fine i loro prodotti sono parte del problema. Poi tracciate la storia di molti prodotti green e scoprirete che tanto green non sono. Pensate alla fibra di bambù, pubblicizzata come sostituto del cotone: il processo impiegato per ammorbidirla e lavorarla è incredibilmente inquinante e tossico. O guardate i pannolini e le buste di plastica “biodegradabili”: prodotte da mais coltivato in Cina con dosi massicce di fertilizzanti azotati. Non c’è niente di sostenibile in questo. O negli alimenti biologici coltivati da enormi aziende che usano maggiori quantità di combustibili fossili e maltrattano gli agricoltori.

Colin Beavan, alias “No Impact Man”, diceva che l’ambientalismo deve diventare facile come bere un bicchier d’acqua per coinvolgere la maggior parte delle persone, e in questo c’è del vero. Il problema, naturalmente, è che non può essere così. Non è facile capire quale sia la scelta giusta – e non c’è una scelta giusta universale. Si dovrebbe mangiare carne? Beh, nessuno dovrebbe mangiare carne prodotta da allevamento intensivo. Ma una piccola quantità di carne da bestiame locale allevato a terra? Beh, dipende da dove vivete: il suolo è per lo più coltivabile? C’è abbastanza acqua per allevare bestiame? Vivete su una prateria che ha bisogno di animali al pascolo o sul lato di una montagna dove non si può coltivare frumento? Vivete in una città dove potete crescere pollame o conigli con gli avanzi di cibo che altrimenti servirebbero a produrre metano nelle discariche? Anche se la risposta è sì, ciò non si traduce in un numero illimitato o infinito di mucche – i popoli allevatori devono prendere in considerazione la disponibilità di acqua e un’intera serie di altre cose. Ma significa che non c’è una sola risposta.

E quando c’è una sola risposta ed essa non è complicata, la risposta di solito non comporta nessun acquisto. Comporta usare molto meno di qualcosa: dimezzare la quantità di shampoo che usate e poi dimezzarla ancora e vedere quanto poco se ne può usare per avere ancora i capelli puliti in modo passabile. Significa negozi dell’usato, riparazioni e riuso creativo – e duro lavoro e pensare se avete davvero bisogno di qualcosa.

Il punto è che è possibile coinvolgere la gente con queste strategie più complesse. Lo storico Timothy Breen sostiene che questi “rituali del non consumo” emergono in tempi difficili per sostituire la soddisfazione che la gente ottiene dal consumo. Ma sono comunitari, collettivi e implicano conversazioni e pratiche che essi sostituiscono piuttosto che semplicemente eliminare. Non basta dire “Smettete di comprare”: dovete piuttosto dare a qualcuno qualche cosa da fare che sia tanto appagante quanto fare shopping e una comunità in cui farla. Quando io e Miranda Edel abbiamo fondato il Riot for Austerity[1], abbiamo scoperto che questo era l’elemento essenziale: che potevamo indurre la gente a ridurre i consumi del 70, 80, 90% rispetto alla media degli americani, e senza grandi interventi politici o l’acquisto di un impianto solare da 20.000 dollari. Ma quello che era necessario era una buona storia su come fossimo tutti parte di qualcosa.

E questo è il motivo per il quale sono scettica riguardo la Giornata della Terra e l’Ora della Terra e qualsiasi cosa che vi fa essere green per un fine settimana o un giorno o un’ora. Sì, sono la ragazza originale del poster “your personal choice makes an impact”[2], ma non una volta l’anno. E sì, insegnare ai bambini i fondamenti dell’ambientalismo è meraviglioso e organizzare dei festival è buona cosa. Ma la verità è che non la vedo durare.

Vedo la Giornata della Terra come la Festa della Mamma o del Papà o San Valentino. Ma la realtà della Festa della Mamma non sembra ispirarci ad essere più rispettosi delle necessità delle madri: quello che risulta dalla Festa della Mamma non sono più richieste di posti per l’allattamento e di politiche a favore dei bambini, ma un “ti abbiamo detto che ti vogliamo bene domenica scorsa, non siamo ancora a posto?” Lo stesso vale per San Valentino: non c’è una ragione convincente per credere che una volta all’anno cioccolatini e sesso speciali facciano quel granché per abbassare il tasso nazionale di divorzio.

Il problema di vivere in una cultura il cui messaggio dominante è che il consumo è tutto – che noi non siamo cittadini ma consumatori – è che impariamo a pensare a noi stessi come a uccellini con il becco aperto. Il nostro compito è creare mercati, comprare le cose giuste, spendere soldi. E come spendete i vostri soldi conta di certo. Ma conta insieme a come votate e vi comportate e vivete la vostra vita e dimostrate e parlate e modellate un importante stile di vita. Ci viene semplicemente chiesto di più che aprire i nostri becchi.

È celebre ciò che disse Isak Dineson: “Ogni sofferenza è sopportabile se vista come parte di una storia”. Il vuoto che la gente sente quando vive una vita primariamente da consumatore non è un caso: il problema è che la storia nella quale siamo coinvolti non è molto interessante. Una storia dove il nostro compito principale è quello di creare un mercato, consumare e tornare di nuovo alla carica è incredibilmente noiosa: provate a scriverne una, un giorno. Ma la buona notizia è che c’è una storia utile da raccontare, e non una che possa essere raccontata un giorno all’anno. Ha tutti gli elementi migliori che possiate immaginare: la sopravvivenza a dispetto delle avversità e il coraggio ed i viaggi attraverso difficili circostanze. Ha eroi e atti di eroismo e passione e dramma. È la storia delle nostre vite nella situazione in cui ci troviamo – e non è un caso che, nonostante il fatto che miliardi di dollari vengano spesi per dirci che siamo solo consumatori e che questa è tutta la storia che ci potrebbe servire, migliaia e a volte addirittura milioni di persone siano frustrate e cerchino una storia migliore. Che è qui.

Non è neppure un caso che le corporation e gli altri stiano cercando di trasformare la storia del nostro futuro, del nostro viaggio verso e attraverso una difficile e notevole transizione, nella storia di un semplice altro giorno di shopping.

Vi meraviglia, se voi vivete come un uccellino con il becco aperto, che quello che viene scaricato dentro ogni volta sia un verme? Tenteranno di rimodellare il vostro verme e di convincervi che stavolta è super saporito, ma continua ad essere un verme. E la storia dei consumatori continua ad essere noiosa.

Se siete intenzionati a fare di meglio, allora dovremo partecipare, uscire e cercare nuove fonti e risorse e opzioni, dovremo sostituire buona parte del nostro consumo con i rituali del non consumo. Dovremo scrivere una storia buona e convincente con le nostre vite. La buona notizia è che è molto più divertente essere cittadini che consumatori e che i rituali del non consumo sono tanto appaganti quanto la terapia dello shopping. La buona notizia è che ci sono storie migliori là fuori per quelli che le pretendono e che vivono, e che gli eventi stanno cospirando per mantenere interessanti i nostri tempi. La buona notizia è che possiamo avere di meglio dei vermi.

NOTE DEL TRADUTTORE

[1] La diffusione da parte di un’azienda di informazioni ingannevoli che nascondono il suo abuso dell’ambiente per presentare al pubblico un’immagine aziendale positiva

[2] La versione grammaticalmente corretta sarebbe “Think Globally, Act Locally”

[3] Letteralmente “Rivolta per l’austerità”

[4] La tua scelta personale ha un impatto

Titolo originale: "Why I Hate Earth Day"

Fonte: http://www.countercurrents.org
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22.04.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SOPHIE BLOOM