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Dalla Grecia alla Spagna, il default è della finanza?

di Lucia Venturi - 05/05/2010


 

A momenti disperati, misure disperate. Scrive oggi Martin Wolf dalle colonne del Sole24ore. «Dopo mesi di costosi rinvii, la zona euro ha partorito un colossale pacchetto di aiuti per la Grecia. Coinvolgendo, su ingiunzione della Germania, l'Fmi, ha ottenuto un po' di risorse in più e un programma migliore. Ma funzionerà? Al riguardo, ahimè, nutro fortissimi dubbi».

E il pessimismo di Wolf, che argomenta in maniera chiara nel suo articolo, non riguarda solo l'incertezza sulle capacità della Grecia di risollevarsi in tempi ragionevoli dal rischio default, scongiurato per il momento grazie all'intervento previsto, ma l'intera eurolandia.

«Questo piano di salvataggio- scrive Wolf- sicuramente non basterà per far tornare la Grecia sul mercato, a condizioni accettabili, nel giro di pochi anni. Serviranno altri soldi se non si vuole prendere in considerazione, poco saggiamente, la via della ristrutturazione del debito. Per gli altri membri della zona euro, il programma previene, nell'immediato, il rischio di uno scossone a sistemi finanziari già fragili: ufficialmente è un salvataggio della Grecia, ma in realtà è un salvataggio delle banche».

E avverte che  «Non è affatto chiaro però se tutto questo potrà aiutare altri paesi membri attualmente nel mirino. Gli investitori potrebbero facilmente giungere alla conclusione che, viste le proporzioni del pacchetto di aiuti che è stato necessario varare per la minuscola Grecia e le enormi difficoltà incontrate nel giungere a un accordo, sarà molto difficile varare altri interventi del genere. Altri membri dell'euro potrebbero finire abbandonati a se stessi».

Qualcuno potrebbe ravvisare del catastrofismo in quanto sostiene Martin Wolf, ma la situazione non sembra essere tanto lontana dalla realtà, per il fatto che al di là del difficile accordo sull'intervento di salvataggio della Grecia, nessun altro intervento sembra essere stato preso per cambiare i meccanismi al contorno. Ovvero l'economia è ancora in piena balia dei sistemi finanziari che continuano ad operare allo stesso modo che ha condotto alla crisi attuale e che non è affatto terminata, come qualche inguaribile ottimista vorrebbe farci credere.

L'atmosfera di questi giorni, con i 144 miliardi bruciati in poche ore sulle piazze economiche europee, l'euro sceso al minimo (1,30 sul dollaro) registrato dall'aprile del 2009, il crollo dei titoli nelle borse europee «ricorda quella pesante della crisi del credito nell'autunno 2008» scrive sempre dalle pagine del quotidiano economico Walter Riolfi, che osserva che «come allora sono stati i titoli bancari a mostrare le perdite maggiori» nessuno escluso, neanche i paesi emergenti.

«La crisi dei debiti sovrani si sta proponendo come la conseguenza della precedente crisi del credito e come quella potrebbe essere altrettanto distruttiva»continua Riolfi che segnala che «c'è parecchia strumentalità nell'attuale atteggiamento degli investitori che sarebbe più appropriato descrivere, senza alcuna implicazione moralistica, come grandi speculatori internazionali».

E forse - viene da aggiungere- non sarebbe sbagliato metterci anche una implicazione moralistica, dal momento che mentre si continua a permettere che questi speculatori internazionali continuino a muovere i fili dell'economia finanziaria c'è dall'altra parte una economia reale che continua ad andare a rotoli portandosi dietro persone in carne ed ossa, famiglie, imprenditori e una società ormai alla deriva, il tutto reso ancora più plumbeo dalla crisi ecologica su cui è andata ad intrecciarsi.

Quando, scrive sempre Riolfi parlando dei «presunti cospiratori» ovvero i burattinai della speculazione internazionale «sebbene non abbiano un nome certo, sono identificabili» e sono «tutti quei gestori di hedge fund (che) si riunirono (a febbraio) per studiare un attacco combinato all'euro e, attraverso i credit default swap e i futures sui titoli di stato, probabilmente anche contro le obbligazioni del debito pubblico dei paesi europei più a rischio. Non erano pericolosi sovversivi ma investitori che legittimamente (a parte l'ipotesi di una azione concertata che non è lecita) avevano individuato una proficua occasione per speculare al ribasso offerta dai trucchi contabili della Grecia».

E non sono noti forse, ormai, anche i meccanismi con cui le agenzie di rating tengono sotto scacco non solo le imprese ma addirittura gli stati? E il fatto che è sufficiente una A in più o in meno accompagnata o no da segno più a far vacillare la tenuta economico finanziaria di paesi in difficoltà? E' successo con la Grecia, poteva succedere ieri alla Spagna dove rumors di probabili richieste di aiuti all'Unione europea hanno fatto cadere a picco i titoli di Stato, ma «meno male-scrive Michele Calcaterra -a salvare la giornata è arrivata la buona notizia che Fitch e Mody's hanno confermato il rating con la tripla A della Spagna con out look stabile».  Se così non fosse stato le conseguenze sarebbero state anche peggiori.

Ma nonostante tutto questo sia ormai a conoscenza e alla portata di qualsiasi analista, si continua a discutere se le regole le debbano scrivere i tecnici o sia meglio che le scrivano i politici , tema della querelle che dalla crisi in poi è in onda tra Mario Draghi e Giulio Tremonti.

Quando è certo, come dice Riolfi «che tutte le esitazioni dei politici europei ( e non solo, potremo aggiungere) e delle autorità monetarie viste in queste settimane hanno offerto alla speculazione una imperdibile occasione per scatenarsi». Con l'aggravante che dietro a tutto vi è come conseguenza una macelleria sociale quale quella che abbiamo sotto gli occhi.