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Atene, Lisbona e poi Eurolandia tutti i bersagli della speculazione

di Andrea Bonanni - 09/05/2010

 

Come all´indomani del crac Lehman, molte banche hanno smesso di prestarsi denaro

Erano molti gli spettri che si aggiravano l´altra notte per i corridoi del Justus Lipsius, il palazzo del Consiglio europeo dove si sono riuniti i sedici capi di governo dell´eurozona nel tentativo di scongiurare la fine dell´euro. Più o meno gli stessi che oggi perseguiteranno i 27 ministri delle Finanze della Ue, convocati a Bruxelles per dare il via libera al «meccanismo di stabilizzazione» che dovrebbe permettere di salvare i Paesi più a rischio e, con essi, la moneta unica. Fino alla riapertura dei mercati, lunedì, nessuno è in grado di prevedere se, e soprattutto come, i mercati torneranno a colpire. Perché i fronti di un possibile attacco sono molti, e non riguardano solo i titoli di debito dei Paesi dell´eurozona, anche se questi sono, ovviamente, il bersaglio più facile.

L´ultima tempesta, quella che ha trasformato la riunione di venerdì nel più drammatico consiglio di emergenza della storia europea, non è infatti partita dalle aste dei bond, e neppure dall´Europa. E´ stata Wall Street, giovedì, a innescare un tracollo delle Borse sulle cui cause inesplicabili stanno ora indagando tutte le autorità di sorveglianza, americane ed europee. Dopo mesi di inutili e pericolosi tentennamenti sul caso greco, i leader della Unione monetaria hanno scoperto che le loro incertezze su un fronte possono creare ripercussioni disastrose su un altro, del tutto inatteso, quando le Borse europee hanno proseguito e peggiorato la frana innescatasi in America. In una situazione di incertezza e volatilità, infatti, i capitali cercano porti sicuri. Ma nessun porto europeo appare in grado di offrire garanzie. Così, mentre Wall Street si riprendeva dallo scivolone, Londra, Milano, Parigi, Francoforte chiudevano bruciando in poche ore i guadagni faticosamente accumulati negli ultimi mesi.
E subito, accanto al rischio di un nuovo tsunami delle Borse, se ne è manifestato un altro, ancora più minaccioso: l´immediato inaridimento del mercato interbancario. Come già era successo all´indomani del crac Lehman Brothers, le banche hanno immediatamente smesso di prestarsi denaro. Se allora era il timore di dare credito a istituti troppo compromessi con i mutui subprime a fermare il flusso di denaro, questa volta è stata la paura di un possibile default dei titoli di stato greci o portoghesi a inaridire la circolazione dei capitali.

Nonostante le solenni assicurazioni dei governi, infatti, e nonostante il mega-prestito, i mercati continuano a non credere nella capacità della Grecia di raddrizzare la propria economia. Willem Buiter, già membro del Comitato di politica monetaria della Bank of England e ora capo economista di Citigroup lo dice apertamente al Wall Street Journal: «una ristrutturazione del debito greco è diventata inevitabile». E quegli hedge fund che hanno scommesso pesantemente sul default di Atene non ha certo interesse a vedere il salvataggio della Grecia.

E poi c´è il rischio di contagio. Alcuni Paesi, come il Portogallo, già rischiano di dover prendere sui mercati i soldi da prestare alla Grecia ad un tasso probabilmente superiore al 5% che è stato concesso ad Atene. Venerdì notte il premier di Lisbona, Socrates, ha preannunciato ai colleghi il varo immediato di nuove misure di austerità che, se non bastassero, potrebbero essere l´anticamera di una richiesta di aiuto. E dopo il Portogallo c´è la Spagna in affanno. L´Irlanda sta anche peggio. E la situazione dell´Italia resta fragile, come dimostra il panico innescato dalle dichiarazioni pessimistiche di Moody´s, poi ritrattate.

Al timore del contagio si è aggiunta poi una scoperta agghiacciante. Dopo essersi resi conto all´indomani del crac Lehman che praticamente tutte le banche private erano troppo grandi per fallire, ora i capi di governo si sono trovati a constatare che anche un piccolo Paese come la Grecia è «too big to fail» senza trascinare con sé il tracollo della moneta unica. E che dunque tutta la filosofia «tedesca» del Patto di stabilità sulla responsabilità nazionale e sovrana per i debiti pubblici, una filosofia su cui si è retta per dieci anni la moneta unica, era un pia illusione. Non è solo il Patto che va riscritto, ma tutta la filosofia della moneta unica che andrà ripensata da cima a fondo. Sempre che non sia troppo tardi.