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Le maledizioni sono armi a doppio taglio che ricadono sul capo di colui che le ha scagliate

di Francesco Lamendola - 11/05/2010

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È un giorno afoso di agosto, verso l’una del pomeriggio, e per la strada non si vede anima viva quando l’autobus accosta alla fermata, davanti ai portici, e ne scende una giovane donna dall’aria stanca e preoccupata.

Sta tornando dall’ospedale cittadino, dove si è recata a trovare, come ogni giorno, il marito seriamente ammalato e ricoverato già da alcuni mesi; a casa, l’aspettano due bambini con i quali si è finora sforzata, con successo, di non far pesare la difficile situazione familiare e di tenerli lontani dalle ansie che lei, invece, sta vivendo.

Ed ecco che una zingara, improvvisamente, come sbucata fuori dal nulla, le si avvicina con fare aggressivo e comincia a stringerla, quasi spintonandola, per strapparle del denaro con la scusa di una elemosina per una famiglia indigente. La giovane madre, di animo sensibile e abituata a fare generosamente l’elemosina ai poveri, in quel momento, presa così in contropiede e ancora con il cuore stretto dalla preoccupazione per la salute del marito, non trova la prontezza di liberarsene con qualche spicciolo e, sempre più stretta d’assedio, piomba in un autentico smarrimento, tanto più che la zingara non esita a spaventarla, proferendo le più terribili minacce e invocando contro di lei le peggiori maledizioni.

Le cose stanno ormai per precipitare, il pianto e la disperazione le fanno groppo in gola e la zingara già pregusta un ricco bottino, estorto quasi con la violenza fisica, allorché, quasi miracolosamente, compare un passante, il quale intuisce subito la situazione e interviene con molta decisione, scacciando in malo modo l’intimidatrice che, da parte sua, non cessa di vomitare i peggiori insulti e le più sconce imprecazioni…

Non è la scena di un racconto di fantasia, ma un fatto realmente accaduto a qualcuno che ci è molto vicino e che, del resto, si è verificata chissà quante volte e a danno di chissà quante persone; persone che hanno cercato di dimenticare, di scacciare dalla memoria quel sinistro ricordo, con più o meno successo; persone che, forse, hanno collegato le maledizioni subite a quel modo con qualche lutto o qualche altro fatto drammatico accaduto loro qualche tempo dopo. E come avrebbero potuto non farlo, pur dubitando, magari, fra sé e sé, che si sia trattato di una pura e semplice coincidenza?

La maledizione scagliata da una zingara cui non si è voluto o potuto consegnare del denaro o aprire la porta di casa per farla entrare, è una esperienza che migliaia di persone hanno certamente fatto, nel corso della loro vita.

Ma che cos’è una maledizione? Si tratta realmente di una azione soprannaturale, capace di produrre effetti concreti a danno di un essere umano, né più né meno di un sacrilego rito di magia nera ispirato dalla pura malvagità e dall’odio verso qualcuno?

Scagliare una maledizione non è una cosa da nulla; è un gesto carico di valenze negative, per chi lo subisce ma anche, potenzialmente, per chi lo compie.

Maledire qualcuno significa abbandonarlo in potere di energie distruttive che, secondo le diverse scuole di pensiero esistenti in materia, possono venire sia dall’interno dell’individuo stesso, sia dall’esterno.

In passato, quando i vincoli parentali erano molto forti all’interno della famiglia patriarcale, la maledizione lanciata da un genitore al proprio figlio era assai temuta, perché la si riteneva capace di fungere da catalizzatore una forza soprannaturale di origine divina. Analogamente, il figlio chiedeva frequentemente la benedizione del padre o della madre, quasi con la stessa fiducia e con lo stesso timore reverenziale che se si fosse rivolto ad un sacerdote.

Naturalmente, esistono da sempre, per così dire, gli “specialisti” delle benedizioni e delle maledizioni. La benedizione, nella società occidentale moderna e secolarizzata, si è conservata ormai soltanto nell’ambito del sacro ed è impartita dai ministri del culto, tanto nei confronti delle persone quanto nei confronti delle case di abitazione e, più raramente, degli attrezzi di lavoro e dei mezzi di trasporto (benedizione delle automobili). Fino a qualche decennio fa, prima della scomparsa della civiltà contadina, era molto sentita la cerimonia della benedizione della terra e degli animali da allevamento.

La maledizione è, ed è sempre stata, appannaggio dei cultori della magia nera e della stregoneria, specialmente in ambito contadino e popolare, variamente accompagnandosi alla fattura e al maleficio. Già negli autori classici, come Orazio e Virgilio, vi sono ampie testimonianze in proposito; e si sa quale ossessione abbia costituito l’insieme di tali pratiche nei secoli XVI e XVII, sia in Europa sia, un poco più tardi, in America, fino alla caccia alle streghe nella città di Salem, divenuta famosa per i processi che si svolsero nella locale comunità puritana.

Gli Zingari sono frammentati in gruppi marginali i quali, per le loro caratteristiche di nomadismo e per la difficoltà di convivenza con le popolazioni sedentarie presso le quali si sono stabiliti nel corso del tempo, hanno coltivato pratiche magiche o semi-magiche, come la predizione del destino mediante i Tarocchi, la lettura della mano, la preparazione di filtri d’amore e simili e anche, sarebbe ipocrisia negarlo, la facoltà di scagliare maledizioni, o minacciare di scagliarle, al fine di spaventare gli estranei e di ottenere somme di denaro, integrando quelle spontaneamente ottenute chiedendo l’elemosina (sovente simulando vistose infermità), nonché quelle sottratte mediante la diffusa pratica del furto, non di rado utilizzando bambini appositamente addestrati.

Non vogliamo dire assolutamente che gli zingari, nel corso della loro lunga storia, si siano dedicati soltanto a simili attività: è noto che sono sempre stati degli eccellenti violinisti e degli abili ammaestratori di orsi, oltre che artigiani particolarmente apprezzati in alcuni settori, specialmente quello del rame; e possiamo senz’altro ammettere che non tutti i furti verificatisi in presenza di un loro accampamento sono da attribuire ad essi. Lo stesso dicasi per la scomparsa di bambini, anche se è un dato di fatto che, in passato, il rapimento di bambini costituiva una pratica abbastanza frequente: bambini che, come si è detto, venivano appositamente istruiti nell’arte del furto e in quella di chiedere l’elemosina.

Tuttavia, l’aspetto sopra accennato sicuramente esiste e ha da sempre caratterizzato i rapporti degli Zingari, spesso non facili, con le popolazioni residenti.

Può darsi che la pratica di utilizzare la maledizione nei confronti degli estranei alla propria comunità sia caratteristica dei gruppi minoritari che si differenziano, specialmente sul piano culturale e religioso, dal resto della società; sappiamo, ad esempio, che le maledizioni dei rabbini sono un’arma tuttora adoperata, ed estremamente temuta, nell’ambito del giudaismo, e specialmente la “pulsa danura”, la maledizione di morte che si ritiene infallibile entro lo scadere dell’anno e che è considerata da alcuni all’origine, come abbiamo detto in un precedente articolo, della tragica sorte toccata a personaggi come Ytzhak Rabin ed Ariel Sharon.

Sia come sia, questa componente fa parte della cultura rom e l’episodio ricordato all’inizio non è che uno dei tanti che si verificano oggi e si sono verificati in passato; anche se, ripetiamo, non sarebbe giusto ridurre tale cultura a questo solo aspetto.

Nel suo libro autobiografico «Memorie di un veggente» (titolo originale: «Confidences d’un Voyant», Paris, Hachette, 1971; traduzione italiana di Jacopo Comin, Roma, Edizioni Mediterranee, 1972, pp. 70-72), il celebre sensitivo francese Mario De Sabato ha raccontato questo singolare episodio, da lui stesso, peraltro, misteriosamente presentito con largo anticipo, anche se non con tutti i particolari:


«Il 22 luglio, andammo a vedere gli zingari a Sacramento, un villaggio vicino a Granata, in cui tutte le sere davano spettacolo di danze tipiche, al ritmo del flamenco, in case di stile ispano.-arabo, accuratamente messe su a scopi turistici. Uscendo, fummo assaliti da un nugolo di zingari che ci chiedevano soldi. Distribuii tutti i miei spiccioli ed anche qualche biglietto, così in franchi che in pesetas. Accadde che una donna non ebbe nulla perché era arrivata troppo tardi. Ne fu molto malcontenta, se la prese con me con veemenza e mi disse in spagnolo:

“Sei un mascalzone. Ti auguro di morire, visto che non vuoi darmi niente per il mio bambino che ha fame. Guardalo! Povero disgraziato! Domani vedrai la morte!”

E continuò nel suo strano linguaggio dialettale, a invocare tutti i diavoli per farmi subire tutte le pene dell’inferno. Il suo bambino, io l’avevo veduto. Tutti lo conoscevano perché le donne della tribù se lo passavano l’una all’altra per chiedere l’elemosina, tanto quel piccolo, con la sua cattiva cera, poteva ispirare pietà! L’avevano scelto per questo, e dovevano dargli poco da mangiare perché conservasse quell’aria misera e triste. Povero piccolo, pensavo: ma che potevo fare? Avevo già dato molto e, in ogni modo, era tutta una famiglia.

Lascia Sacramento col cuore stretto, pur sapendo che si trattava solo di una commedia per tirar fuori del denaro dalle tasche dei turisti. Ma i sentimenti del cuore sono sempre spontanei.

L’indomani lasciammo Granata con l’intenzione di andare a dormire a Murcia. Faceva orribilmente caldo. a mezzogiorno, ossia alle due, secondo la moda spagnola, avevamo fato “alt” sulla strada e avevamo pranzato nell’affascinante ambiente di un albergo andaluso. Ma io non ero per nulla allegro. Non volevo ripensare alle parole della zingara, ma ero lo stesso inquieto.

Ripresi il volante senza entusiasmo. Traversammo, nella provincia d’Almeria, zone desertiche in cui, per un centinaio di chilometri, non vedemmo praticamente nessuna traccia umana. Andavamo a un’andatura moderata, senza parlare, tutti e due sprofondati nei nostri pensieri.

Verso le 20 decisi di chiudere il tetto della macchina, dicendo: “Non si sa mai, se cadessimo in un fosso…”, e il mio amico continuò: “Se cadessimo in un fosso, come dici, credo che rischieremmo di restarci per un pezzo, perché non ci sarebbe nessuno per tirarci fuori! -. Infatti, ci trovavamo in montagna, in un paesaggio lunare e triste. La terra bruciata, di color ocra,, non aveva vegetazione. La strada, a tratti piena di buche e quasi senza scarpata, si confondeva con la terra di cui aveva assunto il colore. Il sole che declinava all’orizzonte mi impediva di veder bene. Non andavo veloce, avevo paura.

Ad un tratto sbagliai una curva e feci una brusca sterzata al principio di un ponte che passava sopra un ruscello secco. Fu il dramma. L’automobile piombò nel fosso e compì una discesa vertiginosa cappottando continuamente, rimbalzando in tutti i sensi e sollevando una nuvola di polvere. A metà della corsa, il mio amico, per il colpo, fu proiettato fuori delle portiere aperte, come tutto ciò che l’auto conteneva, valigie, sedili, etc. Il bagagliaio era squarciato. Quanto a me, che mi ero aggrappato al volante, non ero uscito dall’auto. Nella discesa avevo avuto il pensiero riflesso di spegnere il contato. È atroce sentire ad ogni secondo, ad ogni capitombolo che si corre il rischio di restarci. Si pensa: “Se si fermasse fino a che sono ancora vivo!”. Ma la caduta a picco continua. Non si vede nulla, non ci si può attaccare a nulla. I secondi sembrano minuti, ma il ritmo delle funzioni cerebrali è decuplicato. Pensai a Dio. Mi affidai a lui, all’idea che me ne facevo, al suo potere d’intervento. L’auto di colpo si immobilizzò. Era finita. Non avevo capito molto bene quello che era accaduto. Mi sentivo come ubriaco e voli cominciare a raccogliere la roba, ma il mio amico? Lo ritrovai seduto per terra, piegato in due, coperto di polvere, che si lamentava di dolori da tutte le parti. Lui era stato fermato nella caduta prima di me ed aveva avuto il tempo di rendersi conto di quel che erra successo!»


Ad ogni modo, lo scagliare una maledizione di morte è un atto estremamente grave, tanto più se fatto per pura malvagità e in assenza di alcuna giustificazione, oppure per motivi estremamente meschini, come nel caso riportato da De Sabato, ossia per vendicare un torto immaginario.

Presso gli aborigeni australiani, la maledizione di morte si esercita mediante l’atto di “puntare l‘osso” e siamo a conoscenza di diversi casi stupefacenti, che mostrano come le vittime siano state infallibilmente raggiunte da essa, per quanto lontano avessero cercato di fuggire. La stessa cosa si può dire per le vittime delle maledizioni di morte degli stregoni africani o degli sciamani asiatici.

Qualunque principiante di arti magiche sa, tuttavia, che una maledizione di morte scagliata in piena consapevolezza e con l’intento deliberato di sbarazzarsi di un nemico personale, mette in gioco delle energie potenti ed estremamente temibili, le quali, se non riescono a raggiungere la vittima designata - come può accadere, ad esempio, se questa si è premunita ricorrendo a una contro-magia, in prima persona o con l’aiuto di uno stregone - finiscono per ritorcersi immancabilmente a danno di colui dal quale essa è partita.

Stiano bene attenti, dunque, coloro i quali si incamminano spavaldamente sul sentiero rosseggiante della Mano Sinistra. In principio essi saranno in grado di acquisire certi poteri, perché non si tratta che di tecniche da padroneggiare e da eseguire correttamente; ma, come ha riferito anche Milarepa, si tratta di una strada molto pericolosa che può causare seri danni materiali e, più ancora, destinata ad inquinare fatalmente le sorgenti della vita spirituale.

Il mago nero finisce per trovarsi risucchiato in un vortice distruttivo, al termine del quale altro non c’è che la follia o la morte.

È piuttosto nota, ad esempio, la fosca vicenda di Leonarda Cianciulli, meglio nota come “la saponificatrice di Correggio”, la quale, nel 1939-40, uccideva le sue vittime facendole poi bollire nei pentoloni e ricavandone saponette e “ingredienti” per torte e dolciumi. Perseguitata dalla maledizione di sua madre, che le appariva in sogno minacciandola di farle morire i figli, la donna accumulava orrendi delitti con la mente sconvolta dal fantasma della madre. Sarebbe poi morta in carcere, dopo trent’anni di reclusione, senza che il mistero del movente dei suoi crimini venisse interamente chiarito, poiché impossessarsi dei beni delle vittime non sembra essere stato il solo. Chi può dire quanto abbiano inciso le maledizioni di sua madre nel sospingerla verso il suo tragico destino di assassina seriale?

Le persone spiritualmente evolute sanno che i poteri supernormali possono essere acquisiti praticamente da chiunque, ma possono essere saggiamente controllati ed, eventualmente, utilizzati, solo da quei pochi i quali non cercano alcun vantaggio personale ed egoistico, ma soltanto un bene di ordine superiore.

Esiste una legge universale, seconda la quale ogni azione malvagia finisce per ricadere sul capo di colui che l’ha compiuta; così come, del resto, ogni azione virtuosa finisce per premiare chi ne è stato l’autore.

Chi ha abusato dei poteri magici insiti nell’atto di lanciare una maledizione, presto o tardi avrà modo di pentirsene amaramente; anche perché quei poteri non vengono dal nulla, ma da Qualcuno o Qualcosa che non li elargisce spontaneamente e gratuitamente, ma si rivelerà un padrone esigente e spietato, al momento di riscuotere il prezzo convenuto.