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Libertà va cercando

di Fabio Falchi - 13/05/2010

 

Senza libertà dagli Usa i popoli europei, quello italiano in particolare, sono destinati a scomparire dalla storia.


Scrive Carl Schmitt, nelle “Categorie del politico”, che «sarebbe sciocco credere che un popolo inerme abbia solo amici, e sarebbe ridicolo pensare che il nemico potrebbe forse essere commosso dalla mancanza di resistenza. Nessuno ritiene possibile che gli uomini possano condurre il mondo, ad esempio, ad uno stato di pura moralità [...]. Il “politico” non scompare dal mondo per il fatto che il popolo non ha più la forza o la volontà di mantenersi nella sfera del “politico” stesso: scompare semplicemente un popolo debole» (C.Schmitt, “Le categorie del politico”, Il Mulino, Bologna, 1972, p. 127). Questo lucido giudizio del grande filosofo tedesco del diritto sembra particolarmente valido per il popolo italiano, dacché in Italia (ma anologo discorso si potrebbe fare per l'Europa) il crollo dell'Unione Sovietica e la scomparsa del Patto di Varsavia, vengono ancora considerati non come la fine della guerra fredda e l'inizio di una lotta per l'egemonia planetaria che vede contrapposto l'Occidente (ossia l'America e i suoi principali alleati) al resto del mondo, ma come una nuova fase di un processo storico cominciato con la Seconda guerra mondiale, intesa come la lotta del bene contro il male. E le categorie morali sono tanto più necessarie, in quanto, pur ripudiando la guerra, si è delegata la propria sovranità ad un Paese, gli Stati Uniti, che dalla Seconda guerra mondiale ad oggi, non hanno mai praticamente cessato di combattere, intervenendo direttamente contro altri Paesi oppure sostenendo, militarmente ed economicamente, Stati o movimenti politici "amici", senza farsi scrupolo di ricorrere, quando lo abbiano ritenuto opportuno, al terrorismo (come, ad esempio, in Nicaragua). Peraltro, le cosiddette "guerre umanitarie", oltre ad essere un ottimo strumento per favorire l'imperialismo economico statunitense, forniscono un buon motivo per giustificare la presenza nel nostro Paese di un centinaio di basi della Nato, nonostante siano completamente scomparse le ragioni per le quali l'Italia aveva aderito al Patto Atlantico. Ma soprattutto impediscono di prendere atto che sia l'antifascismo sia l'anticomunismo celano quale sia l'autentico scopo che l'America persegue proprio a partire dalla Seconda guerra mondiale, indipendentemente dalle ragioni ideologiche che opposero fascismo e comunismo e che furono alla base della guerra civile in Italia. Tanto è vero che non pare azzardato affermare che la storia del secondo dopoguerra è la migliore conferma che negli anni Quaranta del secolo scorso, gli Usa colsero l'opportunità di insediarsi stabilmente in Europa per assicurarsi il pieno controllo politico ed economico del Vecchio Continente. Da allora è sempre più evidente che l'imperialismo americano è la logica conseguenza del fatto che ciò che si designa (in verità, alquanto genenericamente) come civiltà occidentale in realtà altro non è che la civiltà dell'homo oeconomicus, costantemente alla ricerca di nuovi mercati e che non può tollerare alcun sistema sociale che non si adegui alle regole del mercato, o, se si preferisce, alla "libertà" del mercato. Ciò non significa però che il Politico sia una mera sovrastruttura dell'Economico. Il ruolo poltico, militare e culturale degli Stati Uniti sarebbe altrimenti incomprensibile. Si dovrebbe invece tener presente che, se solo l'America è riuscita a strutturare l'intero sistema sociale secondo le ragioni dell'Economico, questo è stato possibile grazie ad una singolare “concezione del mondo” che nemmeno l'Inghilterra, pur essendo una talassocrazia, aveva potuto sviluppare coerentemente, non fosse altro che per i suoi maggiori legami con gli "altri" Paesi europei. Già Hegel intuisce la caratteristica essenziale dell'America: «Gli Stati liberi nordamericani non hanno nessuno Stato confinante [...]. Il Canada e il Messico non incutono loro alcun timore» (G. W. F. Hegel, “Lezioni sulla filosofia della storia”, La Nuova Italia, Firenze, 1963, vol. I, pp. 231 e 233). Perciò, ad Hegel gli agricoltori americani appaiono come "marinai" che occupano nuovi territori, mossi da una volontà di potenza "barbarica", come una "ondata" inarrestabile, destinata a travalicare i "confini" della "grande Isola" e tale da poter distruggere ogni precedente "ethos" e "sommergere" ogni terra. E' in questa "pre-potenza" che affonda le proprie radici l'american way of life, espressione di una civiltà talassocratica, che non conosce praticamente alcun “attrito” tra l'Economico e il Politico; mentre è innegabile che non si possa comprendere la storia dell'Europa moderna senza considerare il conflitto tra la funzione politica e quella economica, sia per quanto concerne i singoli Stati, sia per quanto concerne la lotta che ha contrapposto potenze di terra - Spagna, Francia, Germania, Unione Sovietica - e talassocrazie - l'Inghilterra e poi gli Stati Uniti (vedi C. Schmitt, “Terra e Mare”, Giuffrè, Milano, 1986). Una lotta che può cessare definitivamente solo se gli Stati dell'Europa continentale rinunciano a "mantenersi nella sfera del Politico", cancellando ogni traccia della propria “iconografia", che Carl Schmitt definisce come una visione identitaria, che articola un insieme di differenze culturali, economiche e sociali e che non coincide necessariamente con il territorio di uno Stato, ma piuttosto delimita uno "spazio politico-geografico", che può comprendere anche più Paesi (vedi C. Schmitt, “L'unità del mondo e altri saggi”, Antono Pellicani editore, Roma, 1994, p. 336). Si tratta cioè di una nozione "elastica", che può riguardare sia una piccola comunità politica che una zona geografica assai ampia, quale l'area dei Paesi mediterranei, il Continente europeo o la stessa Eurasia. Vale a dire "luoghi" non separati dall'Oceano, ma i cui confini sono il segno di una storia comune, "cicatrici "di profonde ferite, di conflitti, ma anche di scambi e relazioni di ogni tipo. Segno di una "terra" abitata da popoli "diversi", secondo la logica del reciproco riconoscimento, che è l'esatto opposto di quel melting pot, che, non a caso, è il tratto distintivo della società americana. Non sorprende allora che la supremazia delle “ragioni del mercato”, per la particolare “iconografia” che si è venuta a creare negli Stati Uniti, sia un fattore di coesione sociale per gli americani, almeno finché la "spinta imperialistica" è in grado di garantire a questo Paese il ruolo di gendarme internazionale e la maggiore fetta della torta da spartire; mentre non può non essere un fattore di disgregazione sociale per quei Paesi, come l'Italia, la cui "iconografia" si caratterizza per aver sempre cercato di "incastrare" l'Economico in un complesso di istituzioni politiche e sociali, affatto estranee ad una logica mercantile. Ne consegue che le parole di Carl Schmitt, precedentemente citate, suonano veramente come una "sentenza di morte" per il popolo italiano, se si considera che la classe dirigente italiana sembra ritenere fattori di modernizzazione (e quindi positivi) la progressiva perdita della propria identità culturale e la riduzione del Politico a pubblica amministrazione, lasciando che la funzione politica (compresa, come ormai dovrebbe essere chiaro dopo venti anni di privatizzazioni, la gestione politica dell'apparato tecnico-produttivo) venga svolta dall'America e dai suoi principali alleati (Israele e Gran Bretagna). Ci si può consolare con le ciance da educande chiamando i soldati "costruttori di pace" e il supporto logistico alle guerre degli americani "missioni di pace", ma la "sostanza politica" del nostro Paese è che la nostra classe dirigente (politici, burocrati, industriali, banchieri, magistrati, intellettuali, giornalisti) si è “convertita” all'atlantismo (e ciò vale, in particolare, per coloro che “provengono” dalla destra neofascista e dalla sinistra marxista) e collabora pienamente con gli americani, affinché il mercato possa colonizzare tutti i mondi vitali. Un processo di mercificazione e massificazione che equivale a trasformare un popolo in una massa informe di consumatori, politicamente "passiva" e dipendente dalle scelte d'Oltreoceano. Per questo motivo si cerca con ogni mezzo di estirpare una cultura politica che difende e valorizza il senso di appartenenza ad una “comunità” ed alla "terra"- e prima di tutto a quella "zolla eurasiatica" che ha dato vita alla civiltà europea - dato che, pur essendo evidente che è ancora la funzione politica a decidere il destino di un popolo, il Politico non può prescindere dal "con-senso", da quel che si denomina un orizzonte di senso intersoggettivamente condiviso. Ma non è certo con la cultura delle tre "i" (impresa, informatica e inglese) che le nuove generazioni potranno ridefinire il Politico, in modo da integrare le "differenze" secondo una prospettiva spirituale comune, rispettando le molteplici "iconografie" che contraddistinguono la complessa storia della civiltà europea. Nessuna "Unione europea” potrà mai essere un soggetto politico, se i singoli Stati che la compongono non si libereranno dall'egemonia politica, economica, militare e culturale degli Usa. Oggi questo, non altro, significa "mantenersi nella sfera politica", per noi italiani (e per gli europei continentali). E' un "aut aut" a cui non ci si può sottrarre, anche se, purtroppo, si deve ammettere che è indubbiamente più facile continuare a credere di essere ciò che non si è e di non essere ciò che si è, piuttosto che scegliere il rischio del Politico, ossia il rischio della libertà e della responsabilità.