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Ecco un altro salvataggio bancario

di Silvano Andriani* - 13/05/2010


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Alla fine i governi interessati si sono decisi a stanziare, in collaborazione con il Fondo monetario internazionale (Fmi), un fondo di 750 miliardi di euro, mentre la Banca centrale europea ha dato la disponibilità ad acquistare titoli pubblici. Gli interventi potrebbero riguardare, oltre la Grecia anche altri paesi in difficoltà: Irlanda, Portogallo, Spagna.


Vale la pena ricordare che un paio di mesi fa i governi europei dichiararono che non avrebbero consentito il fallimento della Grecia, ma, trainati dalla Germania, dissero anche tre no: no al salvataggio; no al trasferimento del problema al Fmi; no all’uscita della Grecia dall’euro.

È naturale allora che i mercati si siano convinti che il rischio di default della Grecia stesse aumentando. E ora, va tutto bene? Non proprio. Chiariamo subito che questo intervento trasferisce i rischi relativi ai paesi in crisi dalle banche, che avevano fatto loro credito, ai contribuenti; si tratta di un altro salvataggio bancario. E questo, oltre ad essere ingiusto, oltre ad alimentare ulteriormente l’azzardo morale delle banche, lascia grossi dubbi sull’efficacia dell’intervento: si sta cercando di curare il pericolo di un eccesso di debito pubblico con un aumento del debito pubblico.

Conviene fare una precisazione. È vero che oggi pericolo principale appare il generale aumento del debito pubblico, ma questa crisi non è nata nel settore pubblico. Anche se è evidente l’irresponsabilità del precedente governo di destra greco, il caso ellenico non è tipico: i livelli del debito pubblico degli altri paesi europei in grave difficoltà era nettamente inferiore alla media europea. E la crisi ha avuto origine in Usa e Inghilterra due paesi con debito pubblico nettamente inferiore alla media.

All’origine di questa crisi vi è stato l’eccesso di indebitamento privato, il fatto che un gruppo di paesi ricchi abbia vissuto a lungo al di sopra dei propri mezzi indebitandosi pesantemente sull’estero e il modo come sistemi finanziari sono intervenuti in questo enorme processo di indebitamento. La crescita dell’indebitamento pubblico non è causa, ma conseguenza della crisi, giacché gli Stati sono dovuti intervenire per impedire il collasso dei sistemi finanziari e il crollo dell’economia reale.

Tornando alla Grecia: esisteva un’altra via? Esisteva: si poteva negoziare una ristrutturazione del debito, cioè una forma morbida di default.

Questo avrebbe comportato perdite rilevanti per le banche creditrici, ed è per questo che è stata esclusa, ma la riduzione del debito avrebbe consentito politiche di austerità più sopportabili e avrebbe reso meno difficile alla Grecia adempiere le condizioni poste.

L’imposizione di una austerità terrificante, a partire dalla riduzione delle retribuzioni, non solo è ingiusta, ma rende molto improbabile il successo di questa manovra giacché la riduzione della domanda interna che ne conseguirà ostacolerà la crescita economica senza la quale la Grecia non sarà in grado di onorare il suo debito; il default sarà stato solo ritardato, ma le sue conseguenze sarebbero molto più pesanti.

E poiché politiche di austerità di questo tipo varranno per tutti i paesi in difficoltà nell’Unione, mentre non è prevista alcuna politica di sviluppo comune, il risultato sarà una ulteriore riduzione delle possibilità di crescita dell’Europa. Sapevamo tutti che una moneta senza uno Stato non era mai esistita. Ma abbiamo dato per scontato che una volta unificata la moneta i paesi interessati avrebbero unificato le politiche economiche.

Non è stato così e l’unico grande tentativo di dare all’Europa una politica di sviluppo comune e un modello di sviluppo diverso da quello di marca neo-liberista, il “ libro bianco” voluto da François Mitterrand e Jacques Delors, è stato abbandonato con grave responsabilità delle generazioni della sinistra europea che sono state al potere negli ultimi venti anni.

Ora è il momento della verità: o i paesi dell’euro traggono dalla crisi la volontà di fare un decisivo passo avanti nell’unificazione delle politiche di sviluppo, dandosi come obiettivo anche la riduzioni delle divergenze esistenti fra i diversi paesi, o è meglio rendersi conto che forse si è fatto il passo più lungo della gamba anche per evitare che una eventuale crisi dell’euro possa ripercuotersi sulla tenuta complessiva dell’Unione.

*presidente Cespri