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Un secolo di guerre civili. L'ora della conciliazione

di Sergio Romano - 13/05/2010


È difficile comprendere la propria Storia anche a distanza di anni. E non è sufficiente neppure viverla per avere pienamente coscienza di quel che sta accadendo e di quali scelte si stanno facendo. Ne sono la prova i sentimenti antisovietici di molte commemorazioni nelle ex-repubbliche comuniste. L'ultima manifestazione dei superstiti delle divisioni Waffen-SS lettoni ne è prova ulteriore. Migliaia di lituani ed estoni si arruolarono nell’illusione di combattere per la causa migliore. Perché negarlo? Dire a posteriore giustificazione che in realtà molti furono costretti ad arruolarsi, mi pare faziosamente riduttivo! Sbagliarono, come si sa, parte, altrimenti non staremmo qui a parlarne in questi termini. Ma se sbagliarono, lo fecero in «buona fede»! Una cosa che per i vincitori di solito ha ben poco significato!


Mario Taliani

 

Caro Taliani, Ernst Nolte, uno studioso tedesco molto apprezzato da alcuni e fortemente criticato da altri, ha spesso sostenuto che si è combattuta, nel secolo scorso, una grande guerra civile europea. Ame sembra piuttosto che il Novecento sia stato il secolo di numerose guerre civili nazionali. Le prime scoppiarono tra comunisti e anti-comunisti alla fine della Grande guerra e colpirono anzitutto i Paesi sconfitti (Russia, Germania, Austria, Ungheria), ma anche un Paese vincitore (l’Italia fra il 1919 e il 1921) e un Paese neutrale (la Spagna fra il 1936 e il 1939). Altri Paesi, politicamente più solidi, riuscirono a evitare il conflitto civile, ma la stessa Francia attraversò dopo il 1934 un pericoloso periodo dei torbidi che si concluse con la vittoria del Fronte popolare nelle elezioni del 1936. La seconda ondata di guerre civili risale al periodo della seconda guerra mondiale e coinvolse quasi tutti i Paesi occupati dalle forze armate tedesche, soprattutto dopo l’inizio del conflitto tra il Terzo Reich e l’Unione Sovietica nel giugno del 1941. In ogni Paese conquistato la Germania trovò alleati tra coloro che temevano la vittoria del comunismo o volevano sottrarsi al potere sovietico o ritenevano (è soprattutto il caso della Francia) che la democrazia parlamentare fosse ormai un modello politico decadente, squalificato dagli scandali, dalla corruzione, dalla mancanza di grandi ideali. Nei Paesi che erano stati annessi dall’Urss dopo il Patto tedesco- sovietico dell’agosto 1939 (le Repubbliche del Baltico) o avevano inutilmente combattuto contro i «rossi» dopo la Grande guerra (l’Ucraina, le regioni del Caucaso) la Germania trovò i suoi alleati fra coloro che speravano di conquistare o riconquistare l’indipendenza nazionale. Molti, soprattutto nel Baltico, scelsero la Germania perché era ai loro occhi il minore dei mali, perché le catene dell’Urss apparivano più pesanti di quelle tedesche. Terminata la guerra, i vincitori prolungarono il conflitto per eliminare ciò che ancora restava del nemico interno. In alcuni Paesi (Francia e Italia) i «collaborazionisti», come vennero sommariamente definiti, furono processati, giustiziati, epurati, sino a quando un provvedimento di clemenza interruppe la fase delle vendette e delle punizioni. In altri (Unione Sovietica, Jugoslavia e altri Stati balcanici) vennero più brutalmente passati per le armi. Dopo il crollo del muro e la morte del comunismo il giudizio su quegli avvenimenti è diventato più distaccato e sereno. Ma gli europei faranno la pace con se stessi soltanto quando i sopravvissuti di quei conflitti e i loro congiunti riconosceranno di essere stati soldati di una guerra civile, vale a dire di un evento di cui tutti, senza distinzioni, debbono portare l’eredità.