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Il disastro della BP

di Michele Paris - 14/05/2010


La fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico, seguita all’esplosione della piattaforma sottomarina della British Petroleum, continua al ritmo di almeno cinque mila barili al giorno, dopo il fallito tentativo di bloccarne il getto posizionando sul fondo una enorme cupola di metallo. La marea nera, che si sta inesorabilmente avvicinando alle coste americane, non è tuttavia l’unica minaccia all’ecosistema del golfo. A sollevare forti dubbi tra esperti ed ecologisti c’è anche la probabile tossicità degli ingenti quantitativi di sostanze chimiche utilizzate nel disperato tentativo di diluire il greggio nelle acque oceaniche.

Sulla superficie dell’acqua e direttamente in profondità vengono impiegati degli agenti disperdenti che agiscono un po’ come un detersivo per piatti sul grasso, “rompendo” la trama del flusso di petrolio trasformandolo in minuscole particelle, così da farle disperdere dalle correnti oceaniche. La quantità di disperdenti di cui si sta facendo uso nel Golfo del Messico risulta senza precedenti nella storia dei disastri petroliferi, tanto che i dati più recenti raccolti dalla Guardia Costiera americana parlano di quasi un milione di litri già versati.

Svariati media americani - tra cui, in particolare, l’agenzia giornalistica investigativa ProPublica e la testata on-line Grist - da qualche giorno hanno iniziato a pubblicare ricerche sulla pericolosità dei prodotti chimici usati. Gli agenti disperdenti sarebbero essenzialmente due, entrambi riconducibili ad una linea denominata Corexit, prodotta dalla Nalco, un’azienda dell’Illinois facente parte fino al 2004 del comparto chimico della Exxon.

Che i benefici del Corexit portino con sé qualche conseguenza a dir poco sgradita lo riconoscono anche esponenti del governo e della stessa BP impegnati nelle operazioni di tamponamento della perdita. A loro parere, si tratta di scegliere il male minore, cercando di impedire, o quanto meno ritardare il più possibile, l’arrivo sulla costa di una marea nera che avrebbe conseguenze disastrose sulla fauna marina. I danni che i disperdenti potrebbero causare hanno però dato vita ad un dibattito molto acceso, alimentato dalla mancanza di esperimenti approfonditi circa il loro impatto. A ciò va aggiunto poi il fatto che alcuni ingredienti del Corexit, per motivi commerciali, vengono tenuti segreti dall’azienda produttrice.

Tanto per cominciare, ad esempio, questo prodotto è stato bandito in Gran Bretagna da circa dieci anni, poiché causerebbe gravi danni a determinati tipi di molluschi che abitano le scogliere. Difficile però dire se l’impiego in mare aperto possa avere gli stessi effetti. Al largo delle coste, sostengono gli esperti, l’agente disperdente crea una scia tossica che, sebbene disciolta con una certa rapidità dalle acque, risulta pericolosa per la fauna marina che potrebbe eventualmente entrare in contatto. Preoccupati dall’insufficienza di dati certi sulle conseguenze a lungo termine, alcuni paesi vincolano così l’uso dei disperdenti a speciali approvazioni da rilasciarsi caso per caso.

Il governo americano ha da poco reso pubbliche le schede di sicurezza dei due prodotti in questione. Dall’analisi di esse risulta come una delle caratteristiche più preoccupanti sia il cosiddetto bioaccumulo, il processo per cui le sostanze tossiche si accumulano all’interno di un organismo ad un livello più elevato rispetto a quello del mezzo circostante. Questa concentrazione aumenta man mano che si sale nella catena alimentare, con evidenti rischi per l’uomo nel momento in cui dovesse nutrirsi dei pesci provenienti dal Golfo del Messico.

Le proprietà tossiche del Corexit appaiono poi evidenti, nonostante anche in questo ambito non esistano test significativi. Sempre secondo le schede di sicurezza, una eccessiva esposizione dell’uomo al prodotto può causare “danni al sistema nervoso centrale, nausea, vomito, effetti narcotici o anestetici”. Addirittura, la ripetuta esposizione tramite inalazione o contatto con il principio attivo del butossietanolo può produrre danni ai globuli rossi, al fegato e ai reni. Svariate sono in ogni caso le sostanze chimiche pericolose, anche se non viene specificato in quali quantità esse siano presenti nel Corexit.

Se l’impiego di agenti disperdenti è pratica corrente per contrastare le fuoriuscite di greggio in superficie, sia pure per eventi di dimensioni decisamente inferiore, pressoché inesplorato è il loro utilizzo in profondità. Secondo un tossicologo dell’Università di Davis, in California, questa pratica risponderebbe al tentativo di unire il disperdente al petrolio mentre sale verso l’alto, così da diminuirne la quantità che giunge in superficie. I risultati sono però tutt’altro che garantiti a causa delle basse temperature e della pressione più elevata in profondità, tanto da rendere improbabile o più lenta la reazione chimica voluta.

Mentre l’Agenzia federale per la Protezione dell’Ambiente (EPA) e altri organismi governativi hanno avviato ricerche specifiche sugli effetti dei disperdenti, settimana scorsa una sostanza viscosa meno densa del greggio è approdata sulle coste di alcune isole della Louisiana. Secondo alcuni, essa sarebbe precisamente il risultato dell’azione degli agenti disperdenti. Se così fosse, gli effetti sulla fauna che popola un delicato ecosistema si starebbero già facendo sentire. Ad essere interessate sarebbero numerose specie, tra cui almeno una ventina che le autorità statali avevano solo recentemente rimosso dall’elenco di quelle a rischio di estinzione, come l’airone o il pellicano bruno.

Oltre ai danni che il greggio fuoriuscito dalla piattaforma Deepwater Horizon ha già causato all’ambiente, andranno aggiunti insomma anche quelli dei disperdenti chimici impiegati per cercare di contrastarne l’avanzata, la cui reale entità potrebbe però rimanere oscura per molti anni a venire.