Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Meccanica celeste: la bellezza salverà il mondo

Meccanica celeste: la bellezza salverà il mondo

di Giorgio Cattaneo - 17/05/2010

Fonte: libreidee


«Sono in Garfagnana, la terra dei miei cugini silvestri, la mia casa ancestrale». Se qualcuno avesse dubbi su cosa ancora aspettarsi, oggi, dalla letteratura italiana di narrazione, può tentare di leggere “Meccanica celeste”, il romanzo con cui Maurizio Maggiani torna in libreria dopo cinque anni, dall’epoca de “Il viaggiatore notturno”, premio Strega 2005. Tentare di leggere: perché non è detto che si riesca ad arrivare fino in fondo, fino alla fine della lettura. “Meccanica celeste” soffre di un morbo miracoloso e rarissimo: eccesso di bellezza. Ci si deve fermare spesso, frastornati.

Maggiani narra cantando, non stilizza, non chiacchiera: scolpisce, suona, dipinge. Che cosa? La sua terra d’elezione antica e ribelle, che accanto alla Maurizio Maggiani 3nativa Lunigiana risale l’Appennino aggirando la vertigine delle Apuane, gli abissi bianchi affacciati alla riviera. Dalla conquista romana all’occupazione nazista: la storia non è che una valle di profughi, di orfani migranti, di genti ferite ma libere e, a modo loro, felici. Senza più genitori è il narratore, così come il protagonista del romanzo. Orfana anche la sua donna, scampata alla strage della stazione di Bologna. Vivono al limitare del bosco, a contatto con l’umanità della contrada: uomini e donne che si ostinano a bere vino velenoso, portando ancora alla cintola il pennato, l’antico falcetto tramandato da generazioni, che un tempo era l’arma personale di ognuno.

Maggiani innesta gesti epici e memorabili sull’elegia inesauribile del paesaggio umano: il prete dinamitardo don Gigliante; la mitica madre, la Duse, eroica maestra camminatrice delle selve, cui si consacrò l’immortale Santarellina, all’ombra di forre selvagge dove appare e scompare l’Omo Nudo, scampato al lager e malato di nostalgia per gli anni ruggenti del Novecento, che rivivono nell’amicizia di un leggendario campione inglese di automobilismo e si spalancano sulle incognite del nuovo millennio: «La notte che ho messo incinta la mia donna – è l’incipit del romanzo – Barack Obama è stato eletto quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America».

Il concepimento e l’attesa, il presente e il futuro di un amore selvatico. Come quello della madre per il padre che il figlio non ha mai conosciuto: era un ragazzo brasiliano, soldato in Italia, venuto nel ’44 a liberare l’Europa. “Meccanica celeste” è una storia di storie, di uomini che volano come uccelli, dalle rupi, sognando il mare greco dell’Iliade. Uomini venuti da lontano, oppure nati e cresciuti tra le gole del Serchio, come i tecchiaioli, i funamboli delle cave: «Il tecchiaiolo è l’acrobata che si arrampica e striscia e si appende a sanare e pulire il sito apuane 1della vena marmifera dopo che l’esplosione della mina ha lasciato detriti a sfasciume che potrebbero ammazzare la gente che dovrà lavorare al taglio». Estate e inverno, nudi e scalzi, «alzando polvere come tempesta, grandinando graniglia e sasso».

I tecchiaioli, che poi «si fracassano e muoiono». E le femmine, che salgono in pellegrinaggio a Orto di Donna, dove gli Apui lottarono per resistere alla conquista: «Quel posto è un luogo di verginità, un tabernacolo petroso di candida bellezza, innocente e aerea sul limite del crinale che butta la montagna di là, verso il mare», dalle parti della cava diciassette, «la fonte più limpida del marmor statuarius niveus». Una cava «già coltivata secoli prima che gli antichi invasori se la accaparrassero come cosa loro e sperperassero un capitale per presidiarla con tre centurie di truppe scelte antiguerriglia. E questo solo per garantire un paio di tonnellate di candore eterno per ciascuno dei loro cazzo di cesari».

Sono sempre le femmine a raggiungere Orto di Donna, «bercianti e scanzonate con quelle loro scarpette sempre così inadatte». Salgono dalla foce della Rifogliola fino alla Serenaia e «iniziano il cimento vero, valicando, a rischio di dirupare, le doline edificate dallo sfasciume glaciale», nell’ombra del bosco di cornioli «cresciuto sopra gli scogli di granito» e scivolando tra menhir «erti nella forra infrangibile di more e sambuchi» fino ad accedere al santuario naturale: «Quello che vedono è una conca di timo, carlina e aquilegia, un prato che si è colmato nelle ere con i grani di terra portati dalle meccanica celestecorrenti contrastanti ai piedi delle tre vette matrici dell’Apua mater: Pizzo d’Uccello, Grandilice, Pisanino. Montagne dentute come pescicani».

Se l’ultima stagione letteraria ha regalato ai lettori italiani il sorprendente Baricco di “Emmaus” e gioielli come “Il peso della farfalla” di Erri De Luca, due libri che raccontano con lingua rarefatta l’intensità dolente di comunità chiuse e struggenti, Maggiani si abbandona con pudore e devozione alla narrazione di un’intera stirpe, una nazione silvestre che coltiva castagneti come monumenti e si onora silenziosamente di essere al mondo: «Tutta questa vallata è piena di tempo ed è stata popolata di uomini che hanno tirato avanti diffidando del tempo, sospettando che ce ne fosse più di quanto non gli avessero venduto insieme ai calendari».

Perché la Garfagnana può essere il mondo, un mondo aspro e amico che ti adotta e a cui ci si arrende, nello splendore severo di memorie private e collettive, lungo stagioni senza tempo. Un mondo da cantare smisuratamente, alla maniera di Omero, fiutando il mistero della “meccanica celeste” nel silenzio indifeso delle sue notti: «Se anche passasse ora un’automobile, giù nella statale lungo il fiume, farebbe lo stesso rumore di sessant’anni fa, e non romperebbe questo silenzio, che è il suono in cui sono cresciuto. Come la nota che ancora propaga nell’universo il suono della creazione; si spegnerà quando si spegneranno le galassie e tutto il resto».