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Dilaga la corruzione fai-da-te. La classe dirigente va cambiata

di Marcello Veneziani - 17/05/2010


L’eterna Italia del malaffare ha rialzato la cresta. Non che fosse sparita, per carità, una malapianta così radicata non si estirpa con due mani pulite. Curava i suoi interessi a testa bassa, in ombra. Ora invece è uscita allo scoperto e ci preoccupa, ci disgusta, ci spaventa. È vero, non siamo di nuovo a Tangentopoli. La corruzione allora era un sistema, c’era un’organizzazione politica del malaffare. Oggi no, la corruzione non è un sistema. Ma non perché sia isolata, sporadica, schiacciata dal rigore e dall’onestà; ma perché è privata, pulviscolare, diffusa. Non è organizzata, è fai-da-te, si affida a cricche occasionali, a cordate provvisorie, più sparsi furbetti del quartierino. Piccole furbizie, grande imbecillità. Non si può spiegare diversamente la fine di carriere così prestigiose per qualche vantaggio domestico o finanziario che non ha cambiato loro la vita e che poteva essere benissimo ottenuto con le proprie risorse. Solo la stupidità, la perdita del senso della realtà, il delirio d’impunità possono spiegare questa catena di sciocchezze.
Il malaffare è un problema serio per il governo, per il Pdl e per Berlusconi. Ed è la conferma di due cose che diciamo da una vita: questo centrodestra ha, piaccia o no, un grande leader e un grande popolo di elettori - libero, civile e motivato - ma non ha nel mezzo una classe dirigente degna di questo nome. L’altra: la politica ha bisogno di passioni ideali, altrimenti si fa buia e grigia, e lascia spazio agli appetiti loschi. Ci vogliono contenuti, progetti, visioni.
Esiste un disegno politico-giudiziario, un complotto, dietro questa fiera del malaffare? Non lo so, e vorrei dire che questa volta non mi interessa saperlo. Se devo giudicare dalla meticolosa, scientifica sequenza con cui vengono fuori i casi, direi anche di sì, c’è un disegno. Se la corruzione non è un sistema, le indagini invece sembrano inserirsi in un sistema. Ora che c’è il lodo Alfano, non potendo più direttamente accanirsi con Berlusconi, c’è la caccia ministro per ministro, presidente per presidente, coordinatore per coordinatore. Il risultato, se non il progetto, è far terra bruciata intorno al leader. Ma anche se si provasse che queste inchieste rispondano a un disegno, il problema resterebbe. C’è o non c’è questa corruzione, questo malaffare? Ecco, io credo che in tanti, troppi casi esista. Poi si può aggiungere che non esiste solo a destra e non esiste certo da oggi. Si può pure dire che media e magistrati esagerano la portata del malaffare, che sparano sul mucchio, o confondono il malcostume con l’illecito... Però, diamine, il malaffare c’è. E fa rabbia e disgusto.
Berlusconi è stato finora un gigantesco albero sotto cui sono prosperati in tanti, gramigne incluse. La sua forte personalità e i conflitti tutti accentrati sulla sua persona, hanno fatto dimenticare il resto, che è cresciuto maluccio, a quanto pare. Per tanto tempo i suoi avversari lo hanno accusato di populismo, cioè di avere un rapporto diretto con la gente, tramite piazzate, sondaggi, predellini. Ora, dopo averlo accusato di essere solo col suo popolo, lo accusano del contrario: di aver creato una cricca di potere. E se il populismo nascesse da quella sfiducia nella classe politica?
La responsabilità vera di Berlusconi è di non aver selezionato chi gli sta intorno e una classe dirigente adeguata. Come spesso accade alle personalità forti, centrate su se stesse, ha trascurato che intorno a lui, accanto a gente capace e galantuomini, ci fosse anche gentuccia senza scrupoli o senza qualità. Certo, la tragedia della politica è che spesso i migliori stanno lontano dalla politica, hanno paura di essere travolti nel suo teatrino o sputtanati. E le tragedia aggiuntiva è che spesso le anime belle sono incapaci di governare, non hanno senso pratico; ci vuole tenacia, carattere, fegato per imbarcarsi in certe imprese o gestire cose grevi; e spesso i caratteri forti e tenaci che sanno gestirle, sono senza scrupoli. Ma è da lì che bisogna ripartire. Non con grandi annunci e piccoli tagli ma in modo radicale. Bisogna rifare le convocazioni, avviare la rivoluzione del merito e della qualità. Come? Lancio tre criteri e una proposta. Il primo: esaminate i politici uno per uno e chiedetevi cosa resta di loro quando togliete loro la carica che coprono. Se non resta niente non valgono niente. Buttateli via. Il secondo: riaprite le classi dirigenti a chi pensa, a chi è motivato, a chi ha passione politica. Qui è venuta meno la destra, che un tempo aveva mille difetti, ma aveva forti motivazioni ideali. Non si governa con i pasionari, lo dicevo prima, ma serve tra i criteri di selezione la motivazione politica; se non c’è, se si nasconde dietro l’ossequio al capo, allora è sospetta e pericolosa. Il terzo criterio è di genere: aprite di più la politica alle donne, sono più attente, più meticolose, più oneste con il denaro pubblico. Magari usano la seduzione, a volte il sesso, ma le donne non sono quasi mai coinvolte in casi di corruzione e tangenti. Fate spazio a loro, non per la stupida logica delle quote rosa, ma perché risultano meno inclini al malaffare.
Infine la proposta regina. La selezione si può fare solo se si inserisce in una riforma radicale di sistema: e allora puntate a dimezzare il personale politico. Volontari in politica a volontà, ma incarichi retribuiti dimezzati. Dimezzate il parlamento, dimezzate gli enti locali, dimezzate i consigli, le presidenze, le authority. E nel dimezzare giocoforza si dovrà adottare una selezione. Magari agevolata da una riforma elettorale che preveda come democrazia comanda, che gli elettori possano scegliere gli eletti. Ma sono quelli i passaggi obbligati per risanare la politica e tagliare il marcio insieme ai costi. Ci state? Siete pronti a sobbarcarvi una riforma così ambiziosa e tosta, con tanti effetti collaterali? Se la fate, riacquistate fiducia e chi si riconoscerà in questa battaglia politica e civile, sarà spinto più dal riconoscimento pubblico che da una casa a prezzi sospetti, una ristrutturazione gratis o un conto in banca all’estero. Per quel che vale, vi sosterrò se intraprenderete sul serio questa riforma; in caso contrario mi ritirerò tra i libri e il mare.