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Israele respinge Noam Chomsky

di Luca Mazzucato - 19/05/2010


Noam Chomsky, 81 anni, professore di linguistica al MIT di Boston, è filosofo di fama mondiale. Secondo il governo israeliano, evidentemente, ferisce più la penna della spada: il linguista è una minaccia immediata per la sicurezza dello Stato ebraico e va deportato. Nonostante sia egli stesso ebreo e abbia visitato spesso Israele in passato. “Accadeva soltanto in Unione Sovietica”, il commento del professore.

Nell'intervista rilasciata ad Al Jazeera, Chomsky racconta che “dopo aver atteso per molte ore in una stanza al check point l'interrogatorio, mi hanno comunicato che l'ingresso mio e di mia figlia in Israele  era negato.” Il suo arrivo al checkpoint di Allenby Bridge era ben noto alle autorità, tanto che il giovane soldato di guardia l’ha accolto con un inchino e gli ha confessato di aver letto tutti i suoi scritti. Subito dopo però, Chomsky viene portato nella stanza degli interrogatori, dove risponde per ore alle domande dell'ufficiale israeliano, che riceveva istruzioni per l'interrogatorio in tempo reale, in costante contatto telefonico con il Ministero dell'Interno, come spiega lo stesso Chomsky.

“Ero atteso all'Università di Bir Zeit a Ramallah per una serie di lezioni sugli argomenti di cui mi occupo in questi ultimi tempi: l'America e la sua politica estera.” Chomsky osserva che l'unico motivo dato dall'ufficiale per il suo respingimento è che “Israele non ama quello che lei dice.” Le molteplici accezioni della parola “Israele” in questa frase si prestano ad un'interessante analisi linguistica: il popolo ebraico, di cui fa parte lo stesso Chomsky? Il governo Netanyahu? La comunità ultra-ortodossa, cui appartiene il Ministro dell'Interno? L'esercito, la polizia?

Il professore ha una sua spiegazione per il respingimento e non è quella politica. “Sembrava che fossero particolarmente seccati dal fatto che avessi accettato l'invito a fare lezione a Ramallah,” osserva sornione, “ma non avessi in programma di proseguire per Tel Aviv, dove peraltro sono stato già molte volte in passato.” Nonostante l'incidente diplomatico, che ha avuto enorme rilievo sulla stampa israeliana ma poche menzioni su quella americana, Chomsky si dice contrario al boicottaggio delle università israeliane: “Ero contrario anche al boicottaggio del Sudafrica. Se dobbiamo boicottare, perché non gli Stati Uniti, i cui crimini sono ben più gravi? Sostengo senz'altro il boicottaggio delle aziende americane che collaborano con l'occupazione. Ma se dobbiamo boicottare l'Università di Tel Aviv, perché non anche il MIT?”

Per capire a che punto l'attuale classe dirigente israeliana sia in caduta libera a destra, basta leggere le edificanti dichiarazioni rilasciate dai vari politici di turno, una vera e propria gara di celodurismo. Il clima generale è ben riassunto nel commento di Otniel Schneller, membro del partito Kadima, che dovrebbe rappresentare i centristi moderati. Secondo Schneller, “è un bene che Israele non ammetta uno dei suoi accusatori sul suo territorio. Raccomando a Chomsky di provare uno dei tunnel che collegano Gaza all'Egitto”. C'è da tirare un sospiro di sollievo: almeno non l'hanno torturato.