Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Una caccia sui monti di Cerkno

Una caccia sui monti di Cerkno

di Matija Sterle - 19/05/2010

Matija Sterle
(1870 – 1955)
nobile sloveno,
ricordando una caccia sui monti di Cerkno
nell’inverno del 1894

Quanti anni, quante cose.
Ho vissuto avidamente, ho amato e generato, ho costruito e distrutto, ho provato i piaceri e i dolori del corpo e dello spirito.
Ora sono stanco.
L’Anima resta ciò che è sempre stata e sempre sarà, ma la fiamma del mio vitale è debole, vacilla, si alza per poi cadere, i bordi dal colore sempre più tenue…
I miei genitori mi guardano dall’immagine sul grande mobile di noce, mi chiamano a loro.
Sono quasi morto.
Costretto a letto fisso il candido lenzuolo, che mi riporta a un giorno della mia migliore gioventù, a quella grande distesa di neve.
E a lui, al lupo.
Quel giorno la felicità e la pienezza furono tali da parermi una moneta d’oro che, seppur nemmeno un giorno dimenticata, mai seppi restituire.
Io e Ivo, il mio servo, eravamo usciti nel pomeriggio.
Era ancora chiaro, ma sapevamo che la caccia sarebbe durata a lungo.
Ivo portava nello zaino le fiaccole.
Il lupo aveva fatto strage di animali nelle fattorie alle pendici del monte.
Un lupo bianco, dicevano.
Salivamo, discorrendo di piccole faccende dell’indomani.
Da poco ero divenuto padre, mi sentivo giovane e forte, come se un sole mi raggiasse dentro.
Un sorso di acquavite, a bruciare in quel sole.
Poco sotto la cresta, tacemmo.
Non si udivano che i nostri passi sulla neve dura, il nostro respiro.
Fu allora che lo vedemmo, provando una gioia profonda.
Stagliato contro il cielo del blu profondo che precede la notte, il muso levato verso la luna che verrà, ululando come chi invoca.
Cosa diceva, chi chiamava?
Alzai il fucile e sparai. Un colpo solo.
Un grumo di carne insanguinata volò nell’aria, si udì un ringhio di dolore e si vide il lupo scomparire quasi cadendo oltre la cresta.
Lo inseguimmo, più lenti di lui ma guidati dalle macchie del suo sangue.
Ci vollero due ore per raggiungerlo, rifugiato nello spazio tra tre alberi in una radura.
Ivo, dietro di me, faceva luce.
Disteso su un fianco, respirava ancora, la larga ferita poco sotto la spalla.
Mi avvicinai.
I suoi occhi, occhi albini, erano due gioielli di cristallo che mi fissavano senza paura, come da un altrove.
Guardai, ed in quelli, per un attimo altissimo, come in un luogo che racchiude ogni altro luogo dell’Universo, mi parve di vedere tutto: la bellezza e la maestà del lupo e, in lui, del reale, quel testimoniare di generazione in generazione l’Essere, il suo accettare e riconoscere senza comprendere la morte che veniva come l’avanzare di un’ombra, la sua devozione e il suo amore misterioso verso di noi, gli uomini, e poi ancora il divenire e i mattini del mondo, le stelle, lo sguardo e l’amore di lei, le ere infinite trascorse e quelle infinite che verranno…
Non riuscii a guardare più, indietreggiai di un passo e mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime, sparai nel ventre dell’animale.
Il corpo sobbalzò nell’aria e ricadde.
Stetti un attimo immobile.
Poi tornammo.