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Berlino non vende scoperto

di Ilvio Pannullo - 23/05/2010



La recente decisione della Germania di proibire le vendite allo scoperto ha avuto come effetto immediato quello di trascinare il valore dell’euro ai minimi da quattro anni. Risultato: la valuta europea vale poco più di 1,22 centesimi sul biglietto verde. Una presa di posizione unilaterale, decisa dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, il cui obiettivo è di dare un altolà ai mercati. “L’Euro – ha affermato il capo dell’esecutivo teutonico - è in pericolo: l’unione monetaria su cui si basa la crescita in Germania é un destino comune per tutti noi. La nostra decisione va nel senso di preservare quest’idea comune di moneta unica”.

Per il momento dunque nessuna vendita allo scoperto in Germania, una misura che rimarrà in vigore finché non verrà trovato un accordo europeo sulla materia. L’idea pare tuttavia stia già acquistando forza e, spinte dal decisionismo tedesco, le Autorità di controllo sulle borse europee stanno valutando azioni contro le vendite allo scoperto, per contribuire al corretto funzionamento dei mercati.

E' quanto si legge in un aggiornamento pubblicato dall'associazione delle autorità di controllo dei sistemi finanziari dell'Ue - il Cesr - sulle misure adottate nei diversi paesi per questo problema (il c.d. short selling). Tali azioni "saranno adottate per rafforzare la fiducia nei mercati finanziari e proteggere gli investitori". 

Ma cosa sono queste vendite allo scoperto? Perché preoccupano tanto i governi europei, al punto da rendere necessario un tempestivo intervento come quello appena preso dalla Germania? Trattandosi di una misura per il momento valida solo con riferimento alla Borsa tedesca, non c’è migliore esempio per spiegare concretamente quali storture del mercato possa provocare la pratica dello “short selling”, che analizzare quanto accaduto ad un’azienda simbolo dell’efficienza teutonica: la Volkswagen. Si consideri dunque paradigmatica la vicenda che ha interessato quest’azienda, che alla fine dell'ottobre 2008 è riuscita, sia pur brevemente, a diventare la società di maggior valore al mondo senza vendere neppure un'automobile in più rispetto alle previsioni.

Mentre l'economia era ancora in caduta libera, gli operatori di borsa avevano formulato previsioni pessimistiche sul futuro dell'azienda; osservando i dati sui loro monitor, erano giunti alla conclusione che il colosso tedesco, come tutte le altre case automobilistiche, sarebbe andato incontro ad un periodo difficile. S’immagini dunque un trader intimamente convinto che la quotazione del titolo sia destinata a scendere: un modo per monetizzare questa intuizione è vendere subito azioni Volkswagen, per ricomprarle quando il prezzo risale. Dal momento che il trader non va in giro con titoli Volkswagen che gli escono dalle tasche, si rivolge a qualcuno che ne possiede in abbondanza, come un investitore istituzionale, e prende a prestito - a pagamento ovviamente - le sue azioni con la promessa di restituirle a stretto giro.

L'investitore istituzionale è contento perché può guadagnare dal prestito di titoli, che riavrà indietro sani e salvi; il trader è contento perché può vendere le azioni, aspettare che il prezzo scenda, ricomprarle e, con il guadagno, non soltanto pagare il dovuto all'investitore istituzionale, ma saldare anche un'altra rata del suo yacht a Montecarlo. Questo tipo di operazione è chiamata "vendita allo scoperto". In definitiva si vende un titolo che in realtà non si possiede.

Il problema è che il concorrente di Volkswagen, Porsche, aveva cominciato tacitamente a comprare azioni Volkswagen, con l'obiettivo di assicurarsi il controllo di due terzi della società. Quando la portata di quest’ondata di acquisti è venuta alla luce, ci si è resi conto rapidamente che sul mercato non restavano più titoli da scambiare. Il rastrellamento dei titoli Volkswagen operato da Porsche ha impedito che le quotazioni Volkswagen scendessero. I trader stavano dunque vendendo titoli presi a prestito da altri operatori a Porsche e quando quest'ultima ha annunciato la sua intenzione di non rivendere le azioni, tra gli operatori di borsa è scoppiato il panico.

Si è prodotta così un'ondata di "ricopertura di scoperto": gli investitori, cioè, si sono precipitati a chiudere le posizioni che avevano imprudentemente aperto con titoli che non possedevano. I trader avevano scommesso sul fatto che le quotazioni Volkswagen, come quelle di qualsiasi altra casa automobilistica durante una recessione, sarebbero scese; quando invece hanno capito che, nonostante la cattiva performance dell'azienda nel mercato automobilistico, le azioni dell’azienda avrebbero continuato a sconfiggere la forza di gravità, gli speculatori si sono precipitati a ricomprare i titoli prima che il prezzo salisse ulteriormente.

Ma quest’ondata di acquisti non ha fatto altro che spingere le quotazioni ancora più in alto. Il prezzo è aumentato talmente tanto che il titolo Volkswagen è entrato nell'indice Dax 30, l'indice che comprende le maggiori società quotate nella borsa tedesca e questo, a sua volta, ha scatenato un'altra corsa all'acquisto, che però ha avuto come protagonisti non più gli speculatori di borsa, ma gli investitori istituzionali, tradizionalmente più prudenti.

Per capire meglio quanto accaduto anche in questo caso può venire in aiuto un facile esempio: i fondi pensione. I fondi pensione sono investitori istituzionali che investono con l'ottica di conseguire rendimenti a lungo termine, privilegiando un'accumulazione lenta e certa della ricchezza rispetto ad operazioni speculative molto più rischiose (dunque molto più redditizie). Per mantenere il proprio portafoglio in equilibrio gli investitori istituzionali come i fondi pensione tendono ad acquistare soltanto azioni di società cosìdette "blue chip", che sono certamente le meno vulnerabili agli shock che colpiscono i titoli azionari, e che si trovano, generalmente, fra le 30 maggiori società quotate nei mercati. Quando la Volkswagen ha fatto il suo ingresso nella schiera del Dax 30, uno  stormo di investitori istituzionali è entrato automaticamente nella partita, acquistando i titoli della società a qualsiasi prezzo.

Il risultato? Il prezzo delle azioni è salito da 200€ a 1000€ nel tempo di una settimana ed il valore della società è aumentato di 300 miliardi di euro. Sia pur brevemente, Volkswagen con un valore contabile di appena 343 miliardi di dollari é diventata più grande della Exxon Mobil, una delle più influenti compagnie petrolifere del mondo. E, in tutto questo, l'azienda non ha alzato un dito. Alla fine - come nelle migliori favole - le regole del Dax sono state modificate, il prezzo si è stabilizzato e, nel 2009, Volkswagen ha acquistato Porsche.

Ora, se si osserva più attentamente la storia appena raccontata ci si accorge di come il problema stia nel fatto che tra il prezzo e il valore dei beni ci sia - nel sistema in cui siamo costretti a vivere - una discrepanza cui gli economisti non possono porre rimedio. Questo perché si tratta di un problema insito nell'idea stessa di prezzi determinati dal profitto e non dall’intrinseco valore del bene che si prende in considerazione.

Siamo dunque tutti costretti ad osservare, impotenti, le continue ed immotivate oscillazioni delle borse, ormi completamente scollegate dalla dimensione di una realtà produttiva purtroppo in  costante declino. Intanto gli stregoni della finanza fanno la fila per spiegare al popolo bue che la crisi è ormai alle spalle ed il gioco può ricominciare. Ci raccontano che il gioco è leale e che loro giocano sempre a carte scoperte.

Quello che non dicono, tuttavia, è che le carte sono scoperte perché è il tavolo ad essere truccato e per cambiare il tavolo serve una politica forte e credibile, capace di imporre regole intelligenti che sia poi in grado di far applicare. Ma politica significa popolo e per sperare in una politica più seria una conoscenza diffusa di quelli che sono i meccanismi del grande gioco della finanza è essenziale. Solo una collettiva consapevolezza di quali sono i problemi comuni da affrontare e da risolvere per scongiurare un ulteriore crisi ancor più drammatica di quella ancora in atto, potrà spingere le classi politiche europee a mettere da parte i facili egoismi ed affrontare insieme e coerentemente il problema di regolare i mercati.