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È un errore gridare: spiateci tutti

di Pierluigi Battista - 25/05/2010

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Ci sono due validi motivi per bocciare il disegno di legge sulle intercettazioni.

È pericoloso: costringe in un vincolo troppo soffocante la libertà di informazione. È inefficace: nell`era di Internet e delle frontiere abbattute, sarà impossibile che una legge tanto rozza possa impedire aggiramenti ed elusioni.

A questi due motivi se ne aggiunge un terzo. Questa legge è controproducente perché, ricompattando il giornalismo che si sente assediato e messo sotto accusa, chiude ogni spiraglio di discussione sullo scandalo delle reputazioni devastate dalla pubblicazione di intercettazioni ininfluenti. All`unilateralità dei censori fa da contrappunto l`unilateralità di chi appare sempre più sordo alla complessità del nostro dettato costituzionale. Che tutela con l`articolo 21 la libertà di stampa, ma, insieme, protegge con l`articolo 15 il diritto alla riservatezza, alla difesa della vita privata, alla conservazione di una sfera dell`esistenza al riparo dalle intrusioni dello Stato, degli organi repressivi.

Della collettività, e dunque anche dell`opinione pubblica.

L`articolo 15 della Costituzione repubblicana recita così: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazioni sono inviolabili».

E prosegue: «La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell`autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». La loro limitazione è un`eccezione, non la regola. Deve essere giustificata da un «atto motivato», per impedire abusi e pratiche arbitrarie. E deve prevedere che non siano violate le «garanzie» che solo la legge-può fissare e circoscrivere.

Ma resta il principio generale: l`inviolabilità della libera corrispondenza, la tutela della riservatezza.

L`importanza del valore della «segretezza». Chi esibisce cartelli in questi giorni con la scritta «intercettateci tutti, non abbiamo nulla da nascondere» rivela una concezione autoritaria e primitiva del «segreto»: come se il «segreto» altro non fosse che il velo opaco di pratiche innominabili e inconfessabili. Una concezione fondamentalista e oltranzista della «trasparenza»: l`idea che l`individuo, qualunque individuo, debba vivere senza pareti, nell`impossibilità di una vita privata non esposta agli sguardi intrusivi dell`occhio pubblico.

Una traduzione ingenua del mito del Panopticon di Bentham descritto da Michel Foucault come la quintessenza dell`invadenza totalitaria del mondo mo- derno, dove il Potere guarda tutto, controlla tutto, spia dappertutto. Solo che adesso è l`ora di un Panoptícon non più monocratico ma democratico: dove tutti guardano tutti, controllano tutti, spiano tutti. E naturalmente tutti sono guardati da tutti, sono controllati da tutti, sono spiati da tutti.

Cosa c`entra la segretezza e la libertà della corrispondenza con la legge sulle intercettazioni? C`entra, perché se tutti lamentano la scomparsa delle lettere e l`estinguersi della letteratura epistolare un tempo ricca e smagliante, è perché la forma contemporanea delle epistole sono gli sms, le e-mail, le telefonate effettuate e ricevute con il cellulare. La tecnologia consente un controllo pressoché illimitato su questa nuova corrispondenza. Non c`è più bisogno degli apparati mastodontici di intercettazione di cui faceva uso Gene Hackmann in un film magnifico diretto da Francis Ford Coppola nel lontano 1974: «La conversazione». Oggi si possono registrare, immagazzinare, sbobinare, trascrivere tonnellate di queste «conversazioni». Anche quelle, come si dice, penalmente non rilevanti.

Ma dov`è la differenza con quelle «rilevanti», se poi entrambe finiscono sui giornali? E poi, in teoria, non dovrebbe essere il processo (non l`indagine preliminare) a stabilire la loro eventuale rilevanza come fonte di prova di un reato commesso? E qui si arriva al punto. Innanzitutto per colpa della lentezza della giustizia, oggi il processo mediatico non è solo un`anticipazione di quello propriamente giudiziario: ne è sempre di più il sostituto, il surrogato. Conta sempre meno il «penalmente rilevante», conta sempre di più il «mediaticamente rilevante». Si rendono conto i giornalisti che sono diventati loro, i veri giudici? Che sul piano della reputazione di persone anche non indagate, la pubblicazione delle loro chiacchiere sui giornali assume una valenza di sanzione sociale molto più potente dell`eventuale (e solo eventuale) condanna giudiziaria? E se un`eventuale sentenza assolutoria sul piano giudiziario rappresenta un risarcimento, quale risarcimento potrà mai essere adeguato per restituire a chi viene stritolato dai media (prima e a prescindere dal processo) la dignità irrimediabilmente perduta? La legge sulle intercettazioni non dà risposte a questi interrogativi, proponendo esclusivamente una feroce stretta repressiva.

Ma verrà mai un momento in cui noi giornalisti potremo discuterne liberamente?