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Quei monaci ambientalisti che difendono le foreste

di Giancarlo Paolini - 31/05/2010



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Il Codice forestale camaldolese è oggi consultabile online grazie al lavoro dell’Inea. Racchiude i segreti utilizzati per otto secoli dai religiosi per gestire il patrimonio arboreo del Casentino, nell’Appennino centrale.
Per oltre otto secoli la foresta del Casentino, nell’Appennino centrale, è stato un vero e proprio modello di sostenibilità, in cui la tutela delle risorse naturali si è sposata perfettamente con lo sviluppo economico e sociale. Questa fotografia emerge dallo studio del Codice forestale camaldolese, nel quale per centinaia di anni hanno raccontato i principi utilizzati per gestire la foresta,  trasformandola in quello che oggi conosciamo. 
 
I segreti di questo antico sapere sono stati raccolti in un libro (primo di una serie di quattro) e in una banca dati online (www.codiceforestale.it) dall’Osservatorio foreste dell’Inea, l’istituto nazionale di economia agraria, in collaborazione con il Collegium Scriptorium Fontis Avellanae. Il lavoro è stato presentato  nel Monastero di Camaldoli, presso Poppi in provincia di Arezzo. 
 
«Con questo lavoro abbiamo mostrato in modo concreto che le foreste italiane non sono un museo ma una risorsa ambientale, economica e sociale – dice Raoul Romano dell’Osservatorio Foreste Inea e coordinatore del progetto Codice forestale camaldolese –. Se oggi le foreste del Casentino sono un patrimonio inestimabile dal punto di vista ambientale, lo dobbiamo alla visione di lungo periodo dei monaci che hanno saputo coltivare e utilizzare il bosco senza distruggerlo, trasformandolo in una fonte di sviluppo economico e sociale per la popolazione locale del tempo e per le generazioni che lo hanno abitato e tuttora lo abitano».
 
Le tecniche utilizzate dai camaldolesi erano così all’avanguardia che si possono trovare negli attuali testi di selvicoltura. I criteri oggi individuati a livello internazionale per definire la  gestione forestale sostenibile trovano un riscontro puntuale nelle pratiche raccontate nel Codice. Il principio comune a tutte le tecniche era la gestione responsabile della foresta, per garantire la fruizione della risorsa anche alle generazioni successive. Per ogni albero tagliato ne venivano ripiantati degli altri: così sono stati costituiti veri e propri vivai in grado di fornire da 3.000 a 30.000 nuove piantine. E dopo il taglio, il terreno veniva lavorato e lasciato a foraggio o a coltivazioni cerealicole per un anno, così da garantire l’arricchimento di nuove sostanze nutritive e integrando così il reddito delle popolazioni locali.
 
La foresta veniva vista quindi prima come bene “culturale” più che ambientale. «La maggioranza delle foreste italiane sono ‘artificiali’, – prosegue Romano – cioè sono il frutto dell’azione dell’uomo che per secoli ha presidiato il territorio e lo ha gestito rendendolo una fonte di reddito. Il risultato di questa convivenza secolare è il paesaggio delle nostre montagne, dove l’agricoltura si confonde con la pastorizia e i boschi». Ma negli ultimi cinquant’anni ciò non avviene più e le montagne si sono spopolate; le foreste non sono state più gestite e hanno cominciato a recuperare tutti quegli spazi che l’uomo manteneva e utilizzava per fini agropastorali. «Un’intera cultura rischia di essere dimenticata – spiega il coordinatore del progetto Codice camaldolese –. Attraverso una corretta pianificazione e gestione forestale, equilibrata con le esigenze economiche e ambientali locali e globali, le foreste possono garantire efficacemente sia la salvaguardia del patrimonio naturale che una indispensabile opportunità economica per l’intera società. L’uomo da sempre vive nella foresta e della foresta».  
 
La presentazione del progetto a ricercatori, tecnici, guardie forestali è stata lo spunto per una riflessione scientifica generale sul problema della gestione attiva dei boschi  della salvaguardia della loro biodiversità e della conservazione nel XXI secolo.  Le conoscenze attuali infatti consentono di sostenere un ruolo multifunzionale della foresta. Nella concezione moderna  il bosco non deve soddisfare solo i bisogni ambientali ma anche quelli economici. Deve quindi creare occupazione, essere richiamo turistico, fonte energetica e alimentare. 
 
«Una gestione equilibrata può aiutarci a coniugare le esigenze di salvaguardia con quelle produttive, garantendo tutela e presidio del territorio – conclude Romano –. Esempi di buona gestione da questo punto di vista sono presenti anche oggi nell’Appennino italiano, dove intere comunità vivono grazie al reddito derivante dalla gestione delle loro  foreste: da queste ottengono legname, prodotti alimentari di qualità, biomasse, turismo, ecc. Un modello virtuoso che potrebbe essere replicato in molte altre zone del Paese, fornendo benefici e servizi a tutta la popolazione». 
 
Grazie al puntuale e prezioso lavoro di digitalizzazione del Codice forestale camaldolese, chi studia la silvicoltura da oggi può agevolmente accedere all’intera collezione di libri, fondi, fogli sparsi e lettere prodotti dai monaci in ben 857 anni. 
 
Oltre a consultare i documenti, infatti, è possibile avviare o partecipare a discussioni tematiche nel forum sviluppato dall’Inea per dare vita a una comunità allo stesso tempo viva e interattiva di ricercatori e tecnici forestali.