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Se Okinawa val bene una crisi. La corvetta sudcoreana è un'operazione 'false flag' degli Usa?

di Enrico Piovesana - 07/06/2010






Per Pechino dietro l'affondamento della corvetta sudcoreana c'è un'operazione 'false flag' degli Usa, volta a scongiurare la chiusura della loro base in Giappone

L'ex premier giapponese Yukio Hatoyama (appena rimpiazzato dal suo ex ministro delle finanze, Naoto Kan) aveva solennemente promesso di chiudere la grande base americana di Okinawa, come da tempo chiede a gran voce la popolazione dell'isola. Ma la grave crisi coreana seguita all'affondamento della corvetta 'Cheonan' lo ha costretto a fare marcia indietro, con tanto di dimissioni.
La sofferta decisione di tradire le aspettative che lui stesso aveva alimentato è giunta dopo la pubblicazione (lo scorso 20 maggio) dei risultati dell'inchiesta sudcoreana che sosteneva la tesi del siluramento nordcoreano, e le successive accorate telefonate con cui il segretario di Stato Usa Hillary Clinton e lo stesso presidente Obama hanno invitato Hatoyama a cambiare idea viste le circostanze. ''Mi scuso per non poter mantenere la mia promessa - aveva poi dichiarato il premier giapponese in lacrime - ma la base di Okinawa deve rimanere poiché la sicurezza regionale rimane molto fragile, come dimostra quanto accaduto in Corea''.

La chiusura della base sarebbe stato un bruttissimo colpo per la strategia militare Usa in estremo oriente: una vera e propria sciagura che Washington ha scongiurato solo grazie alla nuova crisi coreana, scoppiata così a proposito da far sorgere, sopratutto a Pechino, forti dubbi sulla sua matrice.
La conclusioni della commissione d'inchiesta sudcoreana sull'affondamento (commissione formata da esperti militari locali, statunitensi, britannici e canadesi) sono state accettate come definitive e inconfutabili dai governi e dai media occidentali, ma non dalla Cina.
In base alle proprie informazioni d'intelligence (Pechino monitora costantemente le attività navali attorno alla penisola coreana), le autorità militari cinesi sono giunte a conclusioni molto diverse, rispetto a quelle ufficiali, su quanto accaduto lo scorso 26 marzo.

La corvetta 'Cheonan' non sarebbe stata affondata da un siluro sparato da un sottomarino nordcoreano. Non tanto perché i resti mostrati dalla commissione d'inchiesta sarebbero in realtà rottami di un siluro Dm2 di fabbricazione tedesca (come tra l'altro era stato ipotizzato nei primi giorni). Quanto perché nessun sommergibile nordcoreano si sarebbe potuto avvicinare inosservato alla zona dell'incidente: uno stretto tratto di mare sorvegliato dai sofisticati sonar dell'isola di Baengnyeong, che ospita una base navale segreta congiunta coreano-statunitense.
Ma il fatto più interessante è che quel 26 marzo, nella zona e dell'incidente, erano presenti cinque navi de guerra Usa, tra cui la 'Usns Salvor' con a bordo squadre di sommozzatori delle forze speciali (Navy Seals) specializzati nella posa di mine subacquee e magnetiche. Nei giorni precedenti questa flottiglia aveva preso parte a un'esercitazione navale anti-sommergibili (nome in codice, Foal Eagle).

In conclusione, la tesi che circola negli ambienti militari cinesi (ancora al vaglio del governo di Pechino) è che la 'Cheonan' è stata affondata dall'esplosione di una mina navale piazzata dagli americani, e che i 46 marinai sudcoreani sono quindi stati vittime di un'operazione Usa sotto falsa bandiera ('false flag') volta a far ricadere la colpa sulla Corea del Nord per far salire la tensione regionale. Il tutto, sospettano a Pechino, per convincere il Giappone della necessità di mantenere la base di Okinawa.
I cinesi non hanno ancora dimenticato l'incidente del Golfo del Tonkino del 1964 : la falsa aggressione navale nordvietnamita che giustificò l'escalation militare Usa in Vietnam.